Il 2013 ci impone cambiamenti radicali. A tutti e a tutto. Questo non a causa della crisi, ma più che altro delle opportunità che non possiamo più cogliere. Ho fatto di questa missione un vero mantra per me e per la piccola struttura che mi sono inventato in questi tanti anni; ho intenzione di “rigirare” questa missione su tutti coloro che ci seguono in questa rubrica. Spesso, le sensazioni sono personali, sicuramente influenzate da quello che osserviamo, che pulsa accanto a noi, che vediamo all’orizzonte, e quindi le conclusioni che facciamo nostre sono figlie di un’analisi collettiva, come dovrebbe essere (molti traggono conclusioni sulla base dell’analisi solo personale, e quasi mai è una sfaccettatura significativa).
Raramente, però, ci capita di leggere esattamente un articolo come quello che avremmo potuto scrivere che – pur con parole diverse – rappresenta la stessa sintesi alla quale saremmo arrivati noi nel trattare lo stesso discorso. In questi casi, forse si tratta di un segno del destino, di qualcosa che deve essere forte e determinante. Specialmente se la coincidenza esce allo scoperto poche ore dal dover trattare lo stesso tema, quindi quello che facciamo è quello di riportare (e commentare sulla nostra realtà, italiana e specifica di “utenti creativi”) quanto scritto da James Altucher, uno scrittore, programmatore e giornalista che merita secondo noi la vostra (nostra) attenzione (lo potete seguire qui, oppure sul suo account Twitter). Il titolo del post è lo stesso, il contenuto è un mix tra la sua e la nostra visione.
Di cosa si parla? Della necessità di cambiare lavoro: ci sono forse ben più delle 10 motivazioni che sono state segnalate dall’articolo, e forse alcune che non sono riportate sono anche altrettanto o più importanti, ma non pensiamo che questo debba essere un vademecum da seguire alla lettera, o come dei comandamenti, ma che possa essere uno stimolo adeguato per iniziare l’anno con il piede giusto, trovando le motivazioni e le forze personali per compiere questa rivoluzione. In questi giorni tutti parlano di elezioni e di politica, io ho tanta ammirazione (ma anche un po’ di diffidenza) per le persone che pensano che qualcosa possa cambiare scegliendo una o l’altra forza politica, credo che la sola politica giusta sia quella di fare il nostro compito, dando forza, impegno e serietà in tutto quello che facciamo, cercando il meglio per noi senza dimenticarci degli altri, senza egoismi ed egocentrismi, ma con una carica di positività costruttiva. Ed è per questo che, probabilmente, per riuscirci, dobbiamo analizzare e personalizzare i punti che segnaliamo qui sotto.
- 1) La classe media è finita. Sembra demagogia, ma non è così. Molte persone, in questi anni, sono scese nella classe economica e sociale, sprofondando in una situazione di difficoltà, ma molti sono invece saliti. Molte volte, nemmeno ci siamo accorti che ci siamo posizionati al di sopra della nostra “vera classe”, se ci guardiamo attorno scopriamo che abbiamo fin troppo, ma ci lamentiamo comunque. Il nuovo paradigma è che comunque la classe media non esiste più, e James Altucher scende nell’approfondimento della realtà sociale americana, dice che il sogno americano non esiste più, e che forse non è mai esistito, è stato solo un miraggio inventato dal marketing, e forse è proprio così: il marketing ci ha portato a credere di avere diritto a tutto, che tutto il “lusso” potesse essere a nostra disposizione, che la normalità era il poter avere tutto, subito e sempre. Oggi ci accorgiamo che conosciamo un modo di vivere che non corrisponde alla nostra potenzialità, e dobbiamo adeguarci. Come? Per esempio, cambiando lavoro (o cambiando modo di lavorare, l’analisi di James Altucher è più proposta per un pubblico generico, nel nostro caso dobbiamo capire più nel dettaglio cosa significa cambiare lavoro, che secondo noi assomiglia più al concetto del cambiare MODO di lavorare).
- 2) Tu sei stato sostituito! Causa evoluzione tecnologica, sfruttamento dell’outsoucing e addirittura della robotica, negli ultimi 20 anni, molti lavori sono stati sostituiti, non sono più necessari. E’ una fetta consistente di lavoro che è sparito, e che si posiziona proprio nel settore della middle class, che appunto sta sparendo. Molti analisti (anche della domenica… quindi come il sottoscritto che scrive di domenica ahahahah...) tendono a dichiarare che ormai nessuno vuol più fare dei mestieri, in parte è vero, ma è anche vero che molti di questi lavori che hanno dato sostegno a milioni di famiglie, ora di fatto non esistono più. Nel nostro settore, questa è una grande verità: non siamo stati sostituiti dai robot, ma dalla tecnologia che ha reso accessibile a tutti la realizzazione di immagini di adeguata qualità, senza l’esigenza di un esperto. Tutti sono sostituibili, anzi: tutti sono già stati sostituiti. James Altucher arriva a dire che siamo carta igienica: confronto antipatico, ma realistico.
- 3) Le società non vi vogliono. James cita le sue fonti, ma anche io ho le mie, che non sono più piccole: in un viaggio di lavoro ho conosciuto il grande capo di una grandissima catena di negozi (proprio grande) al quale ho chiesto come mai assumessero dipendenti spesso incapaci di essere di reale supporto e consulenza al cliente, in pratica poco più che robot in grado di consegnare una scatola, ma di non fare altro. Mi ha risposto che è esattamente quello che vogliono, perché un dipendente o un collaboratore troppo capace fa sentire – quando se ne va via – la sua mancanza, o poi pretende troppo, diventa punto di riferimento più della struttura e quindi è negativo. Se una pedina vale più della struttura, finisce con creare disequilibrio, e quindi negatività (nelle grandi, ma anche nelle piccole realtà). Se vogliamo essere e mostrare il nostro valore, non c’è più spazio per noi: nelle aziende, ma anche nelle strutture con le quali collaboriamo, dobbiamo costruire qualcosa di nostro, e specialmente dobbiamo fare, non c’è più modo di creare economia senza fare, senza vendere, senza proporre cose nuove e innovative.
- 4) I soldi non fanno la felicità. Ok, questa è una dichiarazione populistica e teorica, ma non leggetela in modo banale, sappiamo tutti che la mancanza di soldi più facilmente genera più infelicità e problemi, ma in modo più concreto: talvolta siamo di fronte a una scelta, un lavoro o una commessa che ci porta più soldi, e un’altra che ci garantisce maggiore entusiasmo e passione. Gli studi dimostrano che l’aumento di stipendio genera solo un’apparente maggiore felicità, perché siamo animali ingordi, spendiamo quello che guadagnamo, e quindi dopo un istante torniamo allo stadio di partenza (con maggiori problemi e responsabilità, causati dalla posizione “più remunerativa”). Se guadagniamo 5000 euro in più, li spendiamo, e un giorno dopo (magari pur felici possessori di un nuovo computer, più sereni per avere fatto una vacanza o simili) l’effetto sparisce perché semplicemente abbiamo elevato la nostra visione e prospettiva. Insomma, non dobbiamo rimanere ancorati ad un lavoro nella semplice speranza che questo possa darci delle crescenti sicurezze economiche perché potrebbe non permetterci di essere noi stessi, di liberare il lato migliore della nostra competenza e della nostra sensibilità.
- 5) Fate il conto di quante persone possono rovinare la vostra vita con una semplice decisione Che sia un datore di lavoro, un cliente importante, un editore, un produttore TV… se ci sono persone che in un si o in un no possono cambiare la vostra vita in meglio o in peggio, questo è un grande rischio, ma se queste persone che possono influenzare e determinare il nostro futuro sono tante, questo rischio diventa eccessivo, prima o poi la ruota si fermerà nel punto critico. Ovviamente non si può cambiare senza organizzarci, senza creare un percorso che possa metterci al sicuro, prima di fare il grande passo di abbandonare sicurezze e rischi (se non quelli che abbiamo contando solo su noi stessi).
- 6) Il lavoro soddisfa le vostre esigenze? I “bisogni” sono di vario genere: sono quelli di pagare le bollette, la scuola dei figli, il mutuo, ma anche di soddisfare le proprie esigenze mentali e psicologiche. Diciamolo, il nostro lavoro ce lo siamo trovati per passione, non per strategia (altrimenti, non avremmo scelto questo mestiere, giusto? Oppure, saremmo matti!), e poi cosa succede? Che diventiamo impiegati di un ciclo di lavoro che non ci porta felicità e soddisfazione, non succede come quello avevamo sognato non si trasforma in realtà, che se siamo arrivati a voler vivere di creatività vuol dire che non potevamo accettare di lavorare in banca, e quello che succede nella realtà è che lavoriamo per pagare la banca, che è ancora peggio. Non si tratta di un’analisi poetica, ma concreta: il mondo è troppo pieno di creativi senza stimoli che fanno lavori che fanno schifo, che non danno alcun contributo al mondo e alla società, e nemmeno a se stessi. E, nella realtà economica attuale, non c’è spazio per creativi che non sanno essere davvero creativi, e nemmeno per tecnici che sanno fare quello che sanno fare tutti. La soddisfazione e gli stimoli creativi sono fondamentali, per sopravvivere, non per voler sognare un mondo migliore.
- 7) Il vostro piano pensionistico fa schifo. Beh, qui potremmo fare una lezione noi, all’amico James Altucher… l’Italia è la più evoluta in questo argomento… c’è forse un piano pensionistico peggiore di quello italiano? Più che riportare quello che è scritto nell’articolo originale, quello che possiamo dire è che nel nostro mestiere si pensa poco al “futuro”, non solo a quello (fondamentale) di riuscire a sopravvivere quando non avremo più la testa e la forza di continuare a rimanere sul mercato, ma anche il proseguire il lavoro che abbiamo “iniziato”, passare la mano, fare in modo che possiamo dire di avere costruito qualcosa, che possa rimanere – se non a noi stessi, forse è una pretesa solo di alcuni visionari, come il sottoscritto – almeno negli anni della vecchiaia. Invece, se facciamo affidamento sul lavoro solo su noi stessi, se ci posizioniamo sul mercato con egocentrismo, poi non possiamo pretendere che, quando vogliamo fare un passo indietro, i clienti continuino ad esserci. Dobbiamo cambiare modo di lavorare perché dobbiamo creare qualcosa di più solido della nostra persona.
- 8) Nessuna scusa Spesso accettiamo una situazione di lavoro (e non solo) dichiarando a noi stessi e agli altri: “Sono troppo vecchio”, “il mercato non mi capisce”, “non ci sono soldi”… tutte balle, non sono i fattori esterni che condizionano la nostra vita, siamo noi che ci appoggiamo sul morbido giaciglio delle scuse che ci permettono di giustificare le nostre limitate azioni. Se c’è qualcosa che non va, dobbiamo cambiare, subito e concretamente. Altrimenti, significa che ci va bene cosa facciamo e chi siamo. E allora non dobbiamo creare tristezza attorno a noi, con lamenti: diciamo che va tutto bene, che siamo contenti… e basta!
- 9) La vita è una maratona, non i 100 metri. Cambiare non è un processo violento, ma costante e lungo. Abbiamo già detto che non si può cambiare da un minuto all’altro, serve programmazione. E serve un percorso. Una maratona è fatta così: sappiamo da dove partiamo (ora e qui) e dove dobbiamo arrivare (nel caso sportivo, 42 Km e 195 metri… non l’ho dovuto cercare su Google, lo so bene: ero un maratoneta, e forse nel cuore lo sono ancora adesso). Dobbiamo dare motivazioni alla nostra maratona, capire perché stiamo seguendo un determinato percorso, e dove vogliamo arrivare. Le tappe di questo viaggio sono sogni, aspirazioni, desideri. Qui vale l’approccio del mio caro amico Lenny, che dice sempre: “ogni sera, prima di addormentarci, dovremmo guardare il soffitto per capire cosa abbiamo fatto, nella giornata appena passata, per avere fatto un passo in avanti, come persone, come sognatori, come maratoneti”.
- 10) L’abbondanza non arriverà mai direttamente dal vostro lavoro. Non sarà il vostro studio, il vostro ufficio, la vostra attività che direttamente vi creerà abbondanza, ma quello che riuscirete a fare attorno a voi, la strada della ricerca continua del miglioramento: delle persone che amate, che vi sono vicine, che lavorano insieme a voi, ma anche quelle più lontane, come i vostri clienti, le persone che ancora non conoscete e che potete aiutare a migliorare (magari, anche scrivendo queste cose, come cerchiamo di fare noi). In questo modo – e queste sono parole proprio di James – Diventa un faro di miglioramento e poi, quando la notte è grigia, tutte le imbarcazioni si muoveranno verso di voi, portando le loro abbondanti ricchezze.
Si può non credere a tutto questo. Si può ancora credere che l’economia attuale, che ci portiamo avanti da decine di anni e che sta distruggendo tutto, possa ancora avere un senso. Lo leggiamo tutti i giorni, che non funziona, che non funziona più. Lo viviamo sulla nostra pelle, non siamo felici di quello che siamo, di quello che abbiamo, di dove stiamo andando. Vogliamo che tutto crolli su di noi, per la sola, grande paura di non cambiare? Vogliamo credere che solo i finti cambiamenti possono farci uscire dal torpore? Noi abbiamo iniziato il 2013 con uno spirito tutto nuovo, e specialmente ci siamo guardati attorno, scoprendo sempre di più che ci vengono proposte cose piccole e prive di concretezza, bocconi che ingoiamo nella speranza di essere o diventare migliori. Piccoli ingredienti, che non cambiano i fatti. Se vogliamo una torta, non ci basta avere lo zucchero, se vogliamo che sia davvero buona, non bastano gli ingredienti, se vogliamo vendere quella torta e fare soldi con questa attività nuova, non possiamo limitarci a fare qualcosa che non conosciamo alla perfezione in tutti i suoi elementi (ingredienti, dove trovarli, come confezionarli, come scaldare il forno, come regolarsi per la cottura, come decorare, come scegliere gli utensili, come tagliare una fetta alla perfezione). Vogliamo dire che in giro ci sono false sirene che cercano di farci comprare qualche semplice ingrediente, ma noi siamo convinti che per fare (e per vendere) una torta bisogna diventare pasticceri provetti, non semplicemente persone capaci di preparare un dolcetto. Il 2013, per chi vorrà seguirci, sarà fatta di percorsi, di strade per arrivare ad un obiettivo (cambiare lavoro, acquisire un nuovo lavoro, cambiare la propria posizione sociale e professionale). Non crediamo che tutto si possa riassumere in tecnica, tanto per fare un esempio, ma in capacità di dominare un percorso e un lavoro, essere capaci di posizionarsi, di vendere, di farsi conoscere.
Per questo, passo dopo passo, cambieremo il nostro lavoro, per rispondere a delle esigenze che sono quelle che avevamo in mente, che abbiamo potuto confermare dopo aver letto l’articolo di James Altucher che vi abbiamo raccontato e interpretato in questo post, e che crediamo possa dare felicità e serenità anche a noi. Buon anno, a presto!