Siamo alla fine di questo anno, che non solo è nato bisestile, per chi ci crede e ha quindi iniziato con questa preoccupazione, ma ci ha anche mostrato le fragilità che fanno parte della nostra esistenza, e ci ha però anche mostrato e orientato verso le strade per superarle. In questo Sunday Jumper, con cui ci salutiamo per poi tornare ad incontrarci all’inizio di gennaio, cerchiamo di tracciare un percorso che possa aiutarci a comprendere meglio, a guardare con occhi meno accecati (dalla paura, dalla crisi, dal dolore) un 2020 che è certamente, stato diverso da tutti gli altri, e non sempre e non solo “terribile”.
Per fortuna il male è lontano… e a noi non arriverà mai
Abbiamo iniziato subito con una visione distopica del mondo: a gennaio, febbraio, abbiamo pensato che quello che “succedeva dall’altra parte del mondo” non ci avrebbe mai colpito. Semmai, in molti sentendo che in Cina si stava morendo per “un virus” hanno smesso di andare nei ristoranti cinesi, a guardare con diffidenza chiunque avesse gli occhi a mandorla, come se questo potesse in qualche modo causare un contagio: purtroppo le persone reagiscono sempre nel modo peggiore, quando hanno paura, mettendo in luce una mancanza di umanità.
Poi ovviamente il contagio è arrivato, e dalle persone asiatiche abbiamo (avremmo) dovuto imparare come essere rigorosi, a proteggersi – i giapponesi usano le mascherine da sempre e li abbiamo presi in giro da sempre… – a chiudere le attività ancor prima che diventasse un obbligo “per legge”. Abbiamo imparato, o almeno avremmo dovuto imparare, questo rigore, e farlo nostro, capire che non siamo soli, che la nostra salute e benessere dipendono anche dal come ci relazioniamo con gli altri. Abbiamo imparato, o almeno ci auguriamo che questo valga almeno per un numero maggiore di persone, che non siamo invincibili, abbiamo dato maggiore valore all’informazione di qualità e non al “sentito dire”, e che bisogna accettare di guardare con maggiore attenzione al futuro dove la tecnologia sì può aiutare, ma senza diventarne schiavi.
La fotografia non è sostenibile?
Abbiamo visto, in questo 2020, che il mestiere di chi si occupa di immagine, deve cambiare, ci sono stati parecchi discorsi che abbiamo trattato, in questo anno, all’interno del Sunday Jumper che ci mostrano una traccia abbastanza sostanziosa di queste valutazioni (non è un commento auto referenziale: crediamo che a volte sfogliare all’indietro una “rivista” che ci raccontava in tempo reale la cronaca di un anno, a distanza di mesi, nel momento in cui un anno si deve archiviare, è utile per tutti, anche per verificare quello che forse in tempo reale non era così chiaro o addirittura condivisibile, può prendere una piega diversa). Si parlava a gennaio dell’azione di Vogue nei “confronti” della sostenibilità, puntando il dito contro la fotografia che – a detta della redazione – inquina molto a causa del suo processo di shooting, ne abbiamo parlato qui:
La fotografia non è sostenibile? Pensieri, risposte e azioni per rispondere a Vogue Italia.
A quell’epoca, non si parlava ancora di Covid-19 e il tema, per apparire “eticamente corretti” era quello di parlare di sostenibilità, con approcci tipici da green washing, ovvero di “ecologia di facciata”, che imporrebbe poi una visione più matura; per esempio, tanto si parla di auto elettriche come la soluzione di tutti i mali, e diventano argomentazione politica per guadagnare voti, quando poi se si guarda alla realtà dei fatti ci accorgiamo che le auto elettriche rischiano di generare molto più inquinamento, ne ha parlato il presidente della Toyota che ha proprio accusato i politici di non sapere cosa dicono (spesso è così, spesso lo sanno benissimo, ma suona bene dire bugie).
Comunicare a distanza, come si fa?
Siamo entrati comunque poi a marzo in piena pandemia, con le conseguenze che ben conosciamo, tutto si è fermato, in questo blocco molti sono rimasti senza sostenibilità di base, non quella citata dai proclami dell’ecologia (beninteso: noi siamo assolutamente dalla parte di una coscienza ecologica, ma pensiamo solo che per risolvere i problemi serva molto più che una reazione di facciata che aiuta solo a vestirsi di un bel vestitino alla moda), ma quella del pagare le bollette e l’affitto o il mutuo.
Abbiamo dato il nostro contributo con un JumperCamp che davvero ha avuto il maggiore successo di sempre, dedicato al come acquisire competenze nel campo della comunicazione a distanza, un mestiere che assolutamente qualsiasi professionista dell’immagine dovrebbe dominare, e non solo in questo periodo, ma d’ora in avanti. Ne abbiamo parlato qui:
Comunicare a distanza: un JumperCamp per fotografi che guardano lontano.
E se non avete ancora fatto questo passo, vi consigliamo di acquistare questo corso, ha aiutato oltre un centinaio di professionisti a trovare un proprio spazio e delle opportunità di lavoro, in tutti i campi professionali dell’immagine… potreste regalarvelo per Natale.
Svendere e regalare cultura?
Oltre alle opportunità di comunicare a distanza, abbiamo visto un fenomeno che all’inizio sembrava virtuoso, ma che poi ha generato un effetto negativo: quello del creare contenuti per chi era “in lockdown” e che voleva sfruttare il tempo “libero” per aggiornarsi. Molti hanno creato contenuti, alcuni di altissimo livello, altri meno di valore che hanno generato un fiume infinito di corsi, iniziative online, che hanno creato grande dispersione e anche il pensiero collettivo che tutto debba essere “accessibile e gratuito” che non è una soluzione “sana” per chi crea contenuti. Ne abbiamo abbiamo parlato qui, se volete recuperare… e come detto nell’ottica dei mesi passati forse sarete ancora più d’accordo con noi.
Il virus da debellare: svendere cultura.
Abbiamo anche detto che bisogna pensare ad altre modalità di creare economie, che possono anche essere legate alla creazione di contenuti, ma con una visione più matura e costruttiva: siamo schiavi del tempo, e dobbiamo prevedere che abbiamo bisogno di ottimizzarlo. Abbiamo parlato di nuove economie qui:
Economie alternative per il futuro.
Tecnologie per il presente, strade per il futuro
E’ stato anche un anno di sdoganamento di tecnologie che sempre più faranno parte del nostro mestiere: dalla super alta risoluzione video, che abbiamo trattato in due Sunday Jumper, uno che proponeva una visione di insieme, qui, e poi un salto indietro di 11 anni – da quel famoso video di presentazione della Canon Eos 5D Mark II diretto da Vincent Laforet – che ci ha permesso di capire quanti passi in avanti sono stati fatti in un decennio, ma anche di quello che abbiamo perso. Se volete, il link è questo:
Da Reverie di Laforet alla Canon R5 di McKinnon: 11 anni di storia in movimento…
Libertà per essere “leggeri”
Andiamo all’ultimo periodo. Abbiamo annunciato (e lo stiamo verificando nei fatti) che possiamo finalmente pensare che il mestiere di chi produce fotografie, video e comunicazione non richiede più necessariamente strumenti molto costosi. Certo, ci sarà ancora chi penserà che “essere professionisti significa usare strumenti professionali”, ma oggi gli strumenti informatici che nascono per un uso “generico” riescono a risolvere pienamente le esigenze di moltissime applicazioni per l’immagine professionale.
Abbiamo abbandonato un MacBook Pro di nuovissima generazione (poco più di un anno) per un MacBook Air di ultima generazione con processore Apple Silicon, senza ventola e decisamente “amatoriale” e abbiamo una resa in termini di potenza ed efficienza abissale, ma specialmente ci fa male vedere quanto i professionisti siano ancora legati a macchine che sono pesanti, ingombranti, costose e che che sono pazzescamente più lente e più inefficienti rispetto a questi “oggettini”. Anche l’esigenza di RAM va ripensata, con lo sviluppo delle memorie unificate, ma specialmente nell’ottica dell’uso di applicazioni che davvero faranno la rivoluzione, nate per il mondo mobile e ora usabili anche su computer, ne abbiamo parlato qui: Strumenti “pro”, ma costi light? Come gestire il futuro dei fotografi.
E come detto, lo stiamo verificando concretamente, con i fatti e posso aggiungere un’esperienza fatta di 17 giorni senza un computer… usando solo un iPad (ho venduto il mio computer prima che mi arrivasse il nuovo, e questa “sfida” l’ho accettata per capire se davvero oggi un iPad può sostituire un “computer vero”). Bene, posso dirvi che la risposta è difficile da dare, per quello che riguarda me… beh, no: non lo ha sostituito e mi sono trovato in grande difficoltà in certe situazioni, che però sono probabilmente diverse dalla media di chi sta leggendo (che potrebbe, al contrario, fare questa evoluzione senza grandi drammi se non l’abituarsi alla diversa logica di gestione del flusso di lavoro).
Io uso il computer per davvero mille attività, e pur avendo configurato il mio iPad Pro collegandola ad uno schermo esterno da 25 pollici, tastiera e mouse bluetooth, hub per collegare diversi hard disk da molti Tb, ci sono state situazioni che mi hanno imposto delle lungaggini di tipo procedurale, e altre funzionalità che mi sono mancate, di sicuro quello che non mi è mancata è stata la potenza, e la gestione nei campi della fotografia e del video, della gestione delle attività di ufficio.
Ora che sono “finalmente” tornato su un computer vero, apprezzo molte sfumature, ma anche le rivoluzioni che mi sono state offerte: da una tastiera che finalmente è “giusta” (per troppi anni le tastiere dei MacBook sono state terribili, le mie mani doloranti ne sanno qualcosa), ma ad avere una macchina praticamente sempre fredda, anche senza ventole di raffreddamento (il che significa che si tratta di una macchina perfettamente silenziosa, ideale nelle situazioni di comunicazione a distanza), e una autonomia stellare: sono due giorni che non ricarico la batteria e ho ancora oltre il 50% di batteria disponibile… chiaro, si tratta di week end, di uso non eccessivamente sotto pressione, ma è una grande libertà.
Per finire, abbiamo capito che quest’anno ci chiede di pensare in modo digitale, ma anche umano. Abbiamo spostato tutte le nostre attività formative e di consulenza verso questa visione “umanistica” del digitale, e siamo sicuri che sarà la chiave del successo per i prossimi anni. Tecnologia e cultura digitale, ma con al centro la persona, l’umanità (brutto parlare di “uomo”, troppo poco inclusivo). Per questo, vi lasciamo ad una promessa: torneremo con iniziative di sostenibilità economica e umanistica al nostro ritorno a gennaio, e sarà un viaggio che faremo non da soli, ma con buoni compagni di viaggio. Tra questi, l’amica Santina Giannone, che da anni si occupa di argomenti legati alle attività di comunicazione digitali, e che ha da poco pubblicato un bellissimo libro che vi segnaliamo Comunicare human to human (abbiamo partecipato in una piccola parte con un nostro contributo scritto), che vi consiglio come regalo di Natale, per voi, per il vostro futuro, da costruire con saggezza e concretezza. Passate questi giorni di “calma” leggendo questo libro, è un buon punto di partenza per un futuro, che come promesso potremo vivere insieme.
Noi di Jumper, di cui il sottoscritto è solo la voce più “chiacchierona” , vi auguriamo buone feste, e un buon inizio di un 2021 che possa mettere a frutto quello che abbiamo imparato in questo 2020, indimenticabile… da tutti i punti di vista.