Foto: © Olga Lyubkina/Shutterstock
Lo so, questo SJ ci porterà ad una pioggia di pomodori (preferisco, se proprio devo scegliere, quelli piccoletti, chiamati ciliegino, e belli maturi: perché li preferisco per gusto e perché fanno anche meno male). Spero non si arrivi a tirarci le pietre, ma ricordatevi che solo chi è senza peccato… (per questo abbiamo scelto una foto con pietra e fogliolina, per dare un senso “zen”).
Quello che importa, però, è che abbiamo una posizione di dialogo con i fotografi professionisti unica, in Italia, e se queste cose le diciamo noi forse qualcuno ci ascolta, ed è importante dirle. Lo sapete che non solo siamo dalla parte dei fotografi (non potremmo fare altrimenti, è da quando avevo 5 anni che mi occupo di fotografia, non saprei da quale altra parte stare…), ma specialmente questa sezione è letta quasi solo da fotografi professionisti, siete oltre 5000, ma siamo tra di noi, non ci sono molti “esterni”, quindi possiamo parlarci a bassa voce, senza farci ascoltare da “altri”, ed è una delle meraviglie delle nicchie in un mondo super aperto ed ampio come è Internet.
Veniamo a bomba, e vi parliamo di tre spunti che abbiamo raccolto in settimana, e come spesso capita in questo spazio li abbiamo messi insieme per fare un discorso unico, per proporre una prospettiva diversa e figlia del nostro modo di pensare (speriamo condivisibile… ahiaaaaaa…. la prima pietra è arrivata, preventiva! Lo so, siete preoccupati!). La prima riguarda un post letto l’altro giorno in rete: un fotografo amico del titolare di questo blog ha scritto per segnalare un fatto “da discutere”: in pratica, si segnalava un fatto che coinvolge la rivista internazionale “GUP Magazine“, prestigiosa ed interessante pubblicazione dedicata all’avanguardia creativa che si propone di essere Guide to Unique Photography, stampata e inviata ogni due mesi in tutto il mondo per far conoscere la creatività che vive e si sviluppa on line. La discussione è questa: pur apprezzando la rivista, il fotografo si lamentava che una sua foto era stata inserita nella pubblicazione (con tanto di crediti e indirizzo web) nell’area bkmrks (bookmarks) senza avere fatto una specifica richiesta. In pratica, l’hanno presa e pubblicata. Orrore… chi si permette di prendere una foto pubblicata on line (su Flickr, sul proprio sito, su DeviantArt…)? Ma che fine fa il copyright? I diritti dell’autore, chi può decidere cosa e come pubblicare le proprie opere? Beninteso, in teoria, nel mondo questo sarebbe ed è lecito: la legislazione ci viene incontro, e specialmente se scriviamo che “Tutti i diritti sono riservati“, deve essere così: se vuoi “usare” le mie immagini, devi chiedere, devi pagare, devi avere una mia autorizzazione scritta.
L’ho scritto? Che tutto questo è ingiusto? Che dovrebbe essere rispettoso del copyright? Bene… allora posso dire: “smettiamola di fare i bambini!” (ecco, arrivano i pomodori, arrivano le pietre… arrivano gli insulti… e tutti a scrivere: Luca si è bevuto il cervello!). Ma porca la miseria, vogliamo capire quali sono i “diritti”? Quali sono i nostri vantaggi? La storia dice, la viviamo tutti i giorni, che il web ha rivoluzionato le logiche, e se da una parte è necessario difenderci con armi affilate da tutti gli “stronzi” che ci rubano le foto per pubblicarle, usarle, stravolgerle per un loro vantaggio e business (leggi: non pagare le foto), al tempo stesso dobbiamo essere aperti alla condivisione del nostro lavoro laddove, invece, questo può andare a nostro vantaggio. Il fatto che una rivista prestigiosa, in una rubrica che segnala giovani creativi pubblichi una nostra foto E‘ UNA COSA VANTAGGIOSA, o no? Sono 30 mila copie che vanno in tutto il mondo, che raccontano qualcosa di voi, che dicono dove trovarvi, che vi mettono in una lista di contatti utili. Potrebbero – direte voi, dicono anche nei commenti del post – chiedere autorizzazione, e forse è vero, ma l’editore risponde che questo viene fatto sempre, ad esclusione di questa rubrica bkmrks, perché sono troppi i contatti che ogni numero andrebbero fatti, e molte volte le persone non rispondono, non prestano attenzione. Possiamo controfirmare: non vi immaginate quanto spocchiosi possono essere alcuni fotografi (e non solo), che se non ti chiami “rivista-strafiga” non ti leggono, non ti ascoltano, non ti considerano, un esempio è una discussione che ho avuto anni fa legato al mondo della Musica, che Fegiz ha pubblicato sul suo blog (per chi vuole divertirsi…). Il senso della rubrica di bookmark è analoga a quello che si può fare in una lista di bookmark pubblici (come Delicious, per esempio): non serve autorizzazione per segnalare, in un bookmark, il lavoro di un bravo fotografo alla propria comunità. E se si pubblica un bookmark, ci si “appropria” di un contenuto (nome, url, fotografia) di chi segnaliamo, e se lo facciamo va a vantaggio principalmente di chi viene segnalato: viene scoperto da altri, il link diventa elemento di valutazione per il ranking sui motori di ricerca, verrà segnalato da altri… eccetera. Allora, smettiamola di accanirci ciecamente su alcuni “diritti” che tolgono vantaggi a noi, invece che garantirci e proteggerci da qualcosa. E’ possibile che non siamo capaci di distinguere uso “positivo” da quello “negativo”? Vogliamo imparare ad essere contemporanei? Allora iniziamo, invece che dire “Tutti i diritti riservati”, invece che perdere tempo per arrabbiarsi pubblicamente non facciamo opera di “modernariato” individuando la migliore licenza Creative Commons che permetta a tutti di fare quello che vogliono con le nostre opere, ad esclusione di quelle che, invece, non vogliamo consentire? Tipo: non puoi vendere le mie opere, non puoi modificarle perché voglio che venga mantenuta l’integrità (ma anche questo non è detto: la filosofia del “remix” è molto interessante: menti che lavorano sul nostro lavoro e lo migliorano… mica possiamo sempre pensare che quello che facciamo sia sempre “perfetto”, no?).
Veniamo all’ultimo punto. Proprio ieri notte ho letto un post che è bello per chiudere: un messaggio che ci vuole ricordare perché sono state inventate e si continuano ad inventare le fotocamere. E’ un messaggio che dobbiamo rifare nostro, in un mestiere che sembra ormai puntare solo su argomenti di polemica, o di tecnica, o che comunque vive di smarrimento. Si producono fotocamere, e di fanno foto per creare, ricordare, trasmettere emozioni. A volte, proprio perché semplici, difficili da raccontare.