Siamo in un periodo in cui si “respira” un’aria di “crisi” che genera una perdita di valori, crea un approccio egoistico e spesso meschino che mette al centro gli interessi personali, e non quelli di una comunità. E’ una sensazione di malessere che mi sta dando molto fastidio e che cerco di superare scrivendone, perché questo è l’unico tipo di terapia che conosco, ma non lo faccio solo per questo, ma per cercare di contribuire ad una sensibilizzazione collettiva. E non lo faccio nella convinzione di avere delle risposte, di essere per qualche motivo titolato per trattare l’argomento: solo perché penso che la risposta sia quella che ciascuno di noi, con le nostre specifiche capacità può contribuire in piccolo a fare qualcosa nell’interesse di tutti. Io scrivo, altri fotografano, altri raccontano storie, altri sono bravi a fare lavori di bricolage. C’è dentro di noi, ognuno di noi, un seme che potrebbe dare una risposta al problema di questa mancanza di valori; peccato che sono poche le persone che lo fanno, che dedicano una piccola porzione del loro tempo al “dare qualcosa”. La crisi è quanto più acuta quanto meno c’è voglia di creare una forza comune basata, appunto, sui valori.
Camminando per le strade di Milano si notano le saracinesche chiuse: negozi, anche storici, che non riescono più a tenere aperta l’attività: superati dai grandi centri commerciali, dalla riduzione globale dei consumi, da un mondo che è cambiato e di cui non si è riusciti a seguire l’evoluzione. Quelli che non hanno chiuso, si possono vedere, passando dal loro punto vendita, con la faccia di un pugile bastonato; sanno che saranno i prossimi, a chiudere. Ieri, davanti ad un negozio aperto da poco (qualche mese) ho letto il cartello “Chiuso per riorganizzazione aziendale”, un modo poco trasparente per dire Abbiamo chiuso e ora non sappiamo cosa fare. I negozi sono le realtà commerciali più visibili, in tutta la loro crisi: ci sono molte aziende, studi, istituti che chiudono, che stanno chiudendo, che stanno male… ma non sono realtà così pubbliche, non sono aperte a tutti: nascono, crescono, si flettono, spariscono, ma sono percepite solo dal microcosmo al quale si rivolgono. I negozi invece sono oggi la più evidente cartina al tornasole della situazione attuale del mercato proprio per questo, e per questo mi concentro sulle sensazioni che sento forti in questo momento, e del perché penso che sia necessario fare qualcosa: ognuno di noi ha un’attività di qualsiasi tipo, al tempo stesso siamo tutti consumatori e persone che escono per le strade, che vedono le serrande che si chiudono, che perdiamo progressivamente i nostri riferimenti che ci hanno accompagnato per una vita (sia questa una vita giovane o anziana). Vedere la crisi in modo così evidente e plateale, ogni giorno, ci mette un’angoscia addosso molto forte, ci fa toccare con mano un’ombra che si allunga fino a lambire noi stessi, una morte silenziosa dalla quale sembra che niente e nessuno possa ritenersi escluso. E, come difesa, si mette in atto quello scudo di egoismo e di meschinità che citavamo all’inizio di questo post. Ci chiudiamo in noi stessi, facciamo scudo, spegniamo l’interruttore della sensibilità, pensiamo che dobbiamo essere più furbi per guadagnare spazi, usiamo un istinto di sopravvivenza animalesco che però non rispecchia la contemporaneità: non sopravviveremo, da soli. Riusciremo a farlo solo se riusciremo tutti insieme a fare qualcosa.
Ma cosa possiamo fare? Da sempre cerchiamo di essere “pratici”, in questo spazio di dialogo, non sempre ci riusciamo – ne siamo coscienti – ma almeno ci proviamo. Non siamo di quella categoria di persone che tendono a parlare per concetti astratti (la pace del mondo, tutti buoni, smettiamo di usare l’energia elettrica così non consumiamo petrolio)… crediamo che ci debbano essere delle evoluzioni che si fanno a piccoli passi, ma che possano essere “passi” realizzabili da subito. Cosa ci accomuna, come utenti di questo spazio? Il fatto che siamo creativi, che usiamo la mente, le idee, l’istinto per creare o evolvere qualcosa. Sono convinto che la crisi che viviamo sia, essenzialmente, una crisi di idee, di voglia di fare, di superare barriere (sociali, architettoniche, economiche) che gli altri non riescono a superare. Se ci tiriamo indietro noi, quelli che dovrebbero essere coloro che creano è ovvio che nulla si muove. In periodi in cui l’economia è trascinante, c’è spazio per tutto e per tutti, anche per gli egoismi, anche per la falsità, anche per la meschinità. Oggi questo non funziona: chi si muove con meschinità non solo farà del male al mondo che lo circonda, ma avvelenerà soprattutto se stesso.
Qualche esempio, vicino al nostro mondo? In questi giorni ho letto – su una rivista nuova del nostro settore, che usa logiche vecchie e superate – che per affrontare il futuro della fotografia di matrimonio è necessario comprare una fotocamera medio formato di alto costo. Cielo! siamo ancora a questo? Alle marchette per cercare di ingraziarsi potenziali inserzionisti che vendono apparecchiature costose? Come si fa a dire, a un settore che sta soffrendo in modo evidente, che la soluzione è investire tanti soldi… senza nemmeno dare motivazioni concrete? Personalmente sono convinto che si può anche dare un consiglio che porta ad investire dei soldi in attrezzature costose, ma bisogna dare elementi di concretezza. In che modo un fotografo di matrimonio che si trova tra le mani un’attrezzatura che costa 2, 3, 5 volte di più può ottenere un ritorno economico reale? Certo che ci possono essere valutazioni intelligenti in merito a questa scelta, ma non è tollerabile che l’analisi possa fermarsi al bieco interesse di chi scrive per fare bella figura nei confronti di un’azienda che vende quel prodotto, perché non si tratta di un servizio serio e utile neanche per questa azienda, anzi… si crea un effetto che rende per nulla credibile il messaggio, di conseguenza il consiglio, la scelta, la marca. A meno che non si pensi di rivolgersi sempre ad un pubblico di beoti condizionabili dal parere della carta stampata. Uno dei vantaggi delle crisi è che le persone sono obbligate a pensare, ad approfondire e se questo non viene fatto, di fatto mandare messaggi di questo tipo non porta a nulla, se non ad allontanare. I beoti sono già morti, sono rimasti quelli più forti, che non si fanno condizionare da parole di circostanza.
Io credo che oggi serva etica, serietà e creatività. Serve uno sforzo comune da parte di tutti, per dare, e non solo pretendere, voler ricevere, fare solo quello che porta (apparentemente) solo vantaggi a noi stessi. Bisogna fare qualcosa per gli altri, per aspettarsi (forse) che qualcuno faccia qualcosa per noi. E non bisogna farlo nell’ottica del “dare per ricevere”, ma nel “dare perché serve al mondo che ci sta attorno, di cui anche noi facciamo parte”. Non è uno spirito di puro volontariato (che pur sarebbe gradito ed utile), ma di uno spirito che vuole creare qualcosa di buono, che poi sarà di vantaggio – in vario modo – a tutti (NOI compresi).
Torniamo ai negozi: il mio primo lavoro è stato quello in un negozio di fotografia e ottica, avevo 18 anni, volevo fare il fotografo e l’occasione di poter essere vicino al mondo della fotografia era comunque positivo, con il mio piccolo stipendio ho comprato fotocamera, obiettivi, accessori. E ho conosciuto il mondo degli utenti della fotografia: non quelli che volevano farlo di mestiere, ma per passione, e ho imparato molto che mi è servito poi in questo mio mestiere di narratore di questo settore. Lavorare in un negozio mi ha aperto la strada per il mio primo “lavoro serio” quello di redattore di una rivista di settore, Fotonotiziario, ed è tutto partito da lì. Sono legato al mondo dei negozi di fotografia, che sono in difficoltà, perché manca spazio, mancano strumenti di formazione, di supporto marketing. Per assurdo (non è un assurdo, in realtà) l’unica cosa di cui non si ha bisogno è di “Notizie”, di News: l’informazione c’è in eccesso, chi non la riceve vuol dire che non vuole essere informato, che ha la testa altrove (speriamo da qualche parte migliore). E, specialmente, non ha bisogno di informazione “marchettara”: non vuole sapere che per avere successo nella produzione di fotografia di matrimonio deve comprare una fotocamera più “costosa” (semmai perché comprarla e in che modo farla rendere!), e non deve essere informato su ogni prodotto (pubblicizzato), mostrando i loro punti di forza, ma cercando di capire come vendere un prodotto rispetto all’altro.
Perché vi diciamo tutto questo? Perché ci fa male vedere che nuove idee siano così ancora ancorate al passato. Ve lo diciamo perché ci interroghiamo ogni giorno su quello che possiamo fare di utile, perché siamo convinti che non ci sarà futuro per nessuno, se non si crescerà tutti, e bene. Perché serve che tutti noi, se siamo creativi dobbiamo creare, ci tocca come missione e come impegno. E in questi mesi molti mi hanno chiesto di fare qualcosa per questo settore, per aiutare il mondo del trade fotografico, che non può scomparire, inghiottito da una realtà fatta da venditori di scatole, di strumenti come volantini promozionali da 3×2 che intasano le nostre cassette della posta, da falsi informatori che non parlano con passione per questo settore e per i suoi “abitanti”. Un negozio – che sia una macelleria, un panettiere, una drogheria: settori per il quale non posso fare nulla, o un negozio di fotografia – non è una vetrina e basta: è fatta di rapporti, di relazioni, di persone. Queste persone vanno aiutate ad uscire da questa crisi, ma non hanno forse la creatività e gli strumenti adeguati. Le aziende di questo settore hanno bisogno di un aiuto a creare valore attorno al proprio prodotto, ma attorno a tutto il settore.
Quello che faremo è iniziare a riunire attorno a noi persone, aziende, realtà che sono sinceramente interessate a questo settore, che lo amano realmente, che vogliono contribuire alla sua sopravvivenza, e costruiremo qualcosa di buono, con tutti loro (con tutti voi). Individuando una metodologia basata su una “Carta dei valori” che indica i termini di un approccio finalizzato a tutti, e non solo ad alcuni. Mettendo in luce quello che ciascuno mette sul piatto, quali sono i propri interessi, e quello che è disposto a dare in cambio di cosa. Dobbiamo ricreare fiducia, dobbiamo mettere nell’angolo chi pensa solo al proprio vantaggi, al proprio interesse. Vorrei che insieme inaugurassimo questa nuova era di collaborazione e di crescita, di trasparenza e di impegno (sul mercato e nell’etica). Senza questo, tutto sarà inutile. Lo faremo, lo stiamo facendo…