Sembra che questa settimana non si possa parlare di altro: tutti, ma proprio tutti, parlano e fremono per Clubhouse, il fenomeno social del momento, montato come la panna montata da una serie di strategie che fanno riflettere e che, secondo noi, hanno alcune tematiche che meritano di essere condivise con voi, perché aiutano a mettere a fuoco una serie di elementi che fanno parte del marketing, del business e della cultura contemporanea.
Cos’è Clubhouse?
Prima di tutto, in due parole Clubhouse è una piattaforma social che permette di “ascoltare” contenuti; per certi versi è una via di mezzo tra un podcast e una piattaforma tipo Zoom. Si può entrare in una “stanza” dove qualcuno parla (quindi come Zoom, Meet, o altri) ed ascoltare, come se fosse un convegno, ma al contrario di un podcast si tratta di “trasmissioni” live, quindi si può anche alzare la mano per intervenire (se viene concesso), oppure applaudire. E’ un’app che si sta facendo strada, al momento ci sono circa 2 milioni di utenti, sebbene la filosofia sia stata orientata su un approccio ad inviti e facendo leva sull’esclusività; al momento è disponibile solo per iOS, quindi niente Android e c’è gente che paga fino a 100 dollari per avere un accesso, come se fosse oro che luccica. In questi giorni, una politica di marketing la sta spingendo verso gli utenti europei (finora era solo statunitense) ha fatto affiorare il fenomeno anche in Italia, dove tutti hanno iniziato a parlarne e moltissimi stanno cercando in tutti i modi di trovare un modo per accedere. Poi è arrivato Elon Musk che ci è entrato ed è stato il “delirio”, mandando addirittura in tilt il sistema per eccesso di utenti connessi.
Clubhouse, un “social per pochi”?
Prima di tutto, ci aiuta a capire che se vogliamo far crescere un fenomeno, bisogna creare desiderio e proprio questa leva è stata usata da Clubhouse che ha reso “davvero difficile” poter entrare ed usare l’app. Oggi se “usi” Clubhouse sei “cool”, vuol dire che fai parte di un mondo esclusivo (quindi “meraviglioso”, agli occhi delle persone). E’ ovviamente una storia vecchia quanto l’essere umano, quindi non è certo una novità, quello che stupisce è quanto sia facile giocare con le reazioni e i comportamenti umani, troppo spesso prevedibili, la carota davanti al mulo è lo stesso meccanismo che funziona, anche nel 2021, fa riflettere no? Quali sono le azioni di marketing che abbiamo provato a sviluppare creando un vero “effetto esclusivo”? Il marketing “povero” è quello di cercare di trovare quanti più clienti si possono avere, ma questo meccanismo porta ad una mancanza di percezione del valore offerto, se qualcosa è “per tutti”, significa che vale poco e per riuscire a far vincere il proprio business bisogna essere altamente concorrenziali, vendere (o far usare) il proprio prodotto da milioni di persone, con punte minime di centinaia di migliaia e massime di diversi miliardi.
E’ chiaro che il modello di business di Clubhouse punta a numeri elevati, e dire che si tratta di un “ambiente esclusivo” per una piattaforma che è nata ad aprile 2020 ed è riuscita, come abbiamo detto, a superare i due milioni (alcuni parlano di 3,6 milioni di utenti attuali) non può certo essere definita cosa “per pochi”, ma proprio per il gioco dei grandi numeri potrà funzionare solo quando raggiungerà le centinaia di milioni di utenti, ed è questa la scommessa che ha portato un importante fondo di Venture Capital ad investirci inizialmente ben 12 milioni di dollari quando ancora, a maggio, aveva solo 1500 utenti, ma veniva già valutata in oltre 100 milioni di dollari; questa è solo storia, ora si parla di nuovi investimenti e di un valore di oltre 1 miliardo di dollari. Il gioco quindi è solo di marketing: far percepire di valore qualcosa rendendo difficile l’accesso inizialmente, per poi farlo esplodere. Il rischio è che – come è successo in tanti altri casi – il gioco, quando cambia tavolo, si disperde e scompare come una bolla di sapone.
Cosa ci trovo, su Clubhouse?
La domanda che ci si deve porre è, alla fine, sempre la stessa: superato l’hype dell’esserci per “bullarsi” con gli amici, poi come sarà l’esperienza d’uso? Perché si tratta dell’investirci tempo, su Clubhouse, passare tanti minuti/ore al giorno ad “ascoltare” cose che qualcuno dice. Non è che le persone hanno tempo che non sanno come occupare, anzi: il tempo è la risorsa più preziosa al mondo. E quando le persone arriveranno/sbarcheranno con gioia su Clubhouse, poi cosa vorranno ascoltare? E in che modo potranno contribuire nel commentare ed intervenire in un “evento”? Si tratta di contenuti, di informazioni, forse serve Clubhouse per poter avere accesso a delle informazioni? Le persone non sono informate perché non esisteva Clubhouse? Come se non esistessero contenuti scritti, video, podcast, canali televisivi, altri social che possono riempire di contenuti la nostra vita?
Per caso il fatto di essere su Clubhouse ci regala (o regala a chi parla) un valore superiore? Probabilmente no, gli argomenti stupidi continueranno ad essere stupidi, quelli colti ed intelligenti saranno condivisi su Clubhouse esattamente come nei podcast senza ovviamente interazioni (potrebbe essere un vantaggio, in molti casi, se pensiamo alla qualità media dei commenti sui social viene più da tremare che non da essere potenzialmente entusiasti da questa potenzialità).
Si parla dell’entrata di vari “media” e “personaggi” su Clubhouse, e quindi potrebbe anche essere che questo canale possa diventare un luogo di contenuti di qualità, ma non è “il media” che fa la differenza, bensì il contenuto: la televisione è diventata un terreno di informazione sempre più debole a causa dei contenuti che diventano sempre più poveri, per inseguire i gusti e il livello culturale della massa meno sensibile, perché ancora una volta i “soldi” arrivano dove c’è massa, e non dove si producono contenuti di alto profilo, e non sarà diverso per Clubhouse, ovviamente.
Tempo utenti e Clubhouse
Se c’è un fenomeno interessante nell’informazione e nella comunicazione, è quello dell’audio. Abbiamo ben più tempo libero per le “orecchie” che non per “gli occhi”, e questo va considerato, specialmente per i nostri lettori che sono legati ad un mondo di “immagini da vedere”. Il fenomeno dell’occupare tempo delle orecchie non solo fa crescere il fenomeno della musica, sempre più in streaming con Spotify e altre piattaforme, ma specialmente in quella dei podcast, che ha visto in questo periodo grandi movimenti ed investimenti legati a questo mondo: investimenti, nuove piattaforme, accordi, visione di business model che si evolvono.
Ma c’è un altro fenomeno che è quello delle cuffie indossabili e totalmente wireless: così piccole, leggere e in grado di essere usate in tutte le situazioni, grazie alla componente di cancellazione del rumore che, al contrario di quanto si immagina e che forse suggerisce il nome, non servono solo per “isolarci” dal mondo esterno, ma proprio il contrario per consentire, tramite microfoni attivi, di percepire quello che c’è attorno a noi. Di fatto, ormai si usano queste cuffie anche quando si entra in un negozio per parlare con un commesso, e spesso anche durante i dialoghi con altre persone a breve distanza, e questo porta ad indossare questi strumenti per un periodo molto lungo della giornata (complice anche il miglioramento dell’autonomia, delle cuffie e delle custodie che possono ricaricarle in pochi minuti senza collegarle alla rete di alimentazione). In questa area è leader ovviamente Apple con le sue AirPods, che hanno oltre il 50% di mercato che è cresciuto di 110 milioni di unità solo nell’ultimo anno e che si è attestato su 230 unità vendute nel 2020 e che sta ancora crescendo molto. E’ il primo strumento che ci porta verso un futuro che ci fa indossare tecnologia che si “fonde” con il nostro corpo, per diventare nel prossimo futuro (prossimo, con occhiali per la realtà aumentata) dei veri e propri droidi umani.
Abbiamo più tempo per l’audio che non per le immagini, e dobbiamo ricordare che l’audio non è solo un IN ma anche un OUT, gli strumenti di interazione vocale sono anch’essi in incredibile evoluzione, e anche in questo c’è il “match” con Clubhouse che, appunto, consente di interagire con la parola, sposando in qualche modo il mondo della messaggistica vocale che sta sostituendosi sempre più alla parola digitata. Il fenomeno è ormai la normalità per i “giovani” su Whatsapp e Telegram, spesso viene poco considerato e addirittura “odiato” da chi non ama farne uso, fino a quando non si prova, e di colpo se ne percepisce il vantaggio. Sempre grazie alle cuffiette indossabili, tra l’altro, si evita anche quella terribile logica di usabilità che prevede di premere un pulsante sullo schermo dello smartphone che poi viene avvicinato alla bocca per parlare, si parla come se fosse naturale, ad un utente (o ad un pubblico) che sembra materializzarsi in un ologramma davanti a noi. E poi comandiamo la casa, facciamo ricerche, “scriviamo testi dettandoli” tutto con la voce. Sicuramente, questi sono gli anni dell’audio, e chiunque voglia “farsi sentire” dovrebbe considerare questo fenomeno con maggiore attenzione.
Come detto, volendo guardare con un approccio da “futurista” (spesso veniamo definiti tali), è credibile che questo sia solo il punto di partenza per creare interazioni che diventeranno anche visuali appunto con la realtà aumentata, ma ci vorrà tempo: si parla per il prossimo anno della presentazione di un sistema AR/VR indossabile di Apple che avrà doppio schermo da 8k (uno per occhio) per una risoluzione incredibile, che si unirà per una esperienza unica, a tecnologie già presenti nell’ecosistema della mela, ovvero le videocamere dotate di scanner LiDAR (si parla di una dozzina) che permettono di misurare le distanze dei soggetti nel raggio di alcuni metri e l’audio spaziale (chi ha degli AirPods Pro o le nuove cuffie AirPods Max può provare questa incredibile esperienza di audio a 360 gradi vedendo dei film che possiedono questa caratteristica, per esempio su Disney+). Se volete leggere qualche buona motivazione del perché Apple stia per presentare un oggetto così evoluto, che si ipotizza possa essere posizionato su un costo di oltre 3000 dollari (quindi ancora per pochi, anche se va detto che oggi uno smartphone di fascia alta può costarne anche 1500 di euro… e milioni di persone lo comprano), può leggere questo articolo. Ci vorrà tempo, ma questa ondata di “audio da indossare” che ora consigliamo di comprendere e di sfruttare, diventerà un ambiente dedicato alle immagini e alle esperienze interattive, stimiamo che esploda in 3 anni, e cambierà il modo di pensare alla comunicazione… chi si occupa di immagine e si sente forse al di fuori da questa rivoluzione tutta “sonora” forse deve iniziare a guardare oltre ai muri e prepararsi.
La privacy, questa sconosciuta nella Silicon Valley
Terminiamo questa visione attorno a Clubhouse, il “social del momento”, con qualche considerazione che riguarda la privacy. E’ apparso evidente, agli esperti ma anche alle persone che non si buttano con i paraocchi nelle innovazioni (magari accecati dai meccanismi di “ricerca della novità esclusiva e distintiva” come si diceva), che c’è qualcosa che non torna nelle policy di Clubhouse, che per funzionare chiede (all’inizio finge di offrire una possibile fuga da questa richiesta, ma poi se si vuole usare la piattaforma anche solo nelle funzioni di base, come per esempio “invitare” le persone, che è il concetto primario di questo social Network) richiede di avere accesso a tutta la nostra rubrica dei contatti. Cosa se ne fa di questi dati? Non è “dato sapere” (scusate il gioco di parole), inoltre sebbene si dica che “le conversazioni nascono e finiscono su Clubhouse” e non verranno portate o usate al di fuori del social, e che verranno distrutte alla fine dell’evento, nella realtà visto che si dice che potranno essere recuperate in caso di controversia… appare evidente che “da qualche parte verranno conservate”, nella dichiarazione sembrerebbe quindi essere contenuta anche la prova di falsità della stessa dichiarazione. Se ne è parlato tanto, qui se volete un articolo in italiano che approfondisce alcuni aspetti.
Siamo in un’era che è stata depredata dei diritti più profondi dell’umanità, che ha messo a rischio la democrazia, l’etica, il mercato a causa dell’abuso dei nostri dati sensibili. E’ ora che le persone smettano di “cedere” senza un minimo di attenzione a chiunque qualsiasi cosa che riguarda la nostra sfera personale, anche delle nostre opinioni, anche delle persone che sono a noi care. Fino a quando Clubhouse non dimostrerà e farà chiarezza di come gestirà e di cosa se ne farà delle informazioni che ci impone di condividere, sarebbe bene che non possa permettersi di “averci”. Non abbiamo bisogno di un altro mostro che ci ruba tutto quello che vuole, che ci usa come prodotto da rivendere dandoci in cambio qualcosa che ci toglie il nostro tempo, che come detto è il bene più prezioso, e che dovremmo dedicare alla nostra crescita, al nostro migliorarci, al fare qualcosa per gli altri o per viverlo accanto alle persone che amiamo.
Prestiamo attenzione, e preoccupiamoci dei miliardi che si stanno raccogliendo per far diventare Clubhouse un gigante forse incontrollabile come per esempio Whatsapp, che ha raggiunto oltre 2 miliardi di utenti e che a questo punto cambia la policy della privacy generando sdegno in tante persone, e reazioni come quella di Telegram, decisamente più seria in questo rispetto della privacy che ha offerto la possibilità di importate le chat dentro il mondo molto più sicuro della propria piattaforma, oppure alla crescita di piattaforme come Signal, totalmente protetta da crittografia End to End a cui consigliamo di offrire una opportunità.
Pingback: Si vince sul web in solo due modi (e vi consigliamo il secondo...) -
Comments are closed.