Ogni settimana si notano segnali della guerra che è alle porte: la guerra su chi deve (può) detenere il potere dell’immagine. Da una parte ci sono le truppe degli utenti normali, coloro che sono dotati di strumenti in grado di realizzare fotografie (di solito, sotto forma di cellulari fotocamera-dotati); dall’altra, i professionisti, che investono tanto in attrezzatura, in formazione, in cultura e che si propongono come chi dovrebbe essere chiamato quando la fotografia diventa un elemento determinante nella vita delle persone, delle aziende, del business. La distinzione tra fotografo professionista e persona che fa foto sembra sempre più difficile da percepire, mentre dovrebbe essere una strategia di marketing essenziale sulla quale lavorare con raffinatezza e intelligenza (e, invece, purtroppo, non sempre accade). Si cercano a volte dei trucchi che possano far apparire chiara questa differenza, i più usati sono:
a) avere una fotocamera e/o delle attrezzature di alto profilo (costose, professionali, “diverse”). Peccato che anche le persone che fanno foto possono avere la stessa fotocamera, o una ancora più costosa.
b) Avere una giacchetta color kaki con tante tasche (usata all’epoca per le pellicole).Il classico travestimento del fotografo anni ’70, peccato che oggi sembra più ridicolo di quello di Batman
c) Inventarsi tessere di appartenenza, bollini e certificati. Peccato che nessuno di questi ha valore legale, ma specialmente nessun cliente sembra percepirne il valore, perché non esiste sufficiente informazione.
Dal lato dell’uso della fotografia quotidiana, quella di tutti, un grande passo in avanti è arrivato da un decreto cultura varato un paio di giorni fa dal Governo, che consente (dopo anni di discussione) la possibilità di fotografare liberamente all’interno dei musei, con fotocamere, smartphone e tablet; ovviamente, per immagini ad uso personale, non a scopo di lucro. E’ una presa di coscienza di qualcosa che ormai appare ovvio: le persone vogliono documentare ciò che vedono e che le emoziona, i vincoli precedenti erano incoerenti con la cultura moderna, e oggi tutto questo è stato eliminato; probabilmente lo stesso dovrebbe essere fatto anche per concerti e spettacoli, anche perché o si decide di accettare l’ovvio (tutti fanno foto e riprese video ai concerti) oppure servirebbe un esercito per ogni concerto per proibire e penalizzare ogni persona che sta facendo una foto (ripetiamo: tutti). Come prenderanno queste nuove “regole” i professionisti? Qualcuno male, probabilmente, ma sarà l’ennesimo segno di un tentativo di provare a fermare un’onda che non si può fermare. E’ come la vecchiaia, amici: non si ferma. Dal punto di vista tecnico, gli strumenti “poveri” prendono sempre più spazio, è il caso dello spot di Bentley (un marchio che certo non ha problemi a richiedere operatori dotati di attrezzatura “broadcast”) che è stato tutto girato con smartphones e montato con tablet. Il motivo è per promuovere una particolare dotazione dell’ultimo modello, che trasforma un tablet in uno strumento di lavoro completo, direttamente in auto.
Altro esempio, il video che in queste ore è diventato “virale” e che mostra una New York sottosopra, con un commento che varia (a seconda degli utenti) tra entusiasmante e mamma mia, mi viene la nausea! Guardatelo e poi se volete andate a scoprire come è stato fatto (anche se ci potrebbero essere soluzioni più semplici sulle quali stiamo riflettendo). In ogni caso, anche effetti così complessi usano strumenti alla fine abbastanza “poveri”.
“Living Moments” – NYC streets frozen in time from Paul Trillo on Vimeo.
Se stiamo pensando a “dare di più” dal punto di vista della tecnica, per distinguerci, magari rischiamo che se puntiamo sulla tecnica potremmo essere scavalcati facilmente. Così come la rincorsa verso i pixel ormai non ha più senso (abbiamo confermato di recente che oggi è addirittura più cool avere meno pixel), presto non lo avrà neanche la rincorsa ai “K” del video: se pensiamo che il 4K sia il futuro della ripresa “professionale”, purtroppo non è più così: il 4K è la normalità, il mondo commerciale lo ha già raggiunto non solo con le videocamere di basso costo, ma anche con i cellulari; il mondo del cinema lavora già sul 6K (qui un articolo che lo vuole sdoganare come “superiore alla pellicola”, quando le prove hanno già dimostrato che il 2K già arrivava oltre nell’uso pratico), e si comincia a parlare anche di un 8K. I monitor ormai aprono tutti la strada al 4K (l’ultimo presentato è questo, bellissimo anche per il rapporto tra i lati 21:9), e chi si occupa,come noi, di interfacce deve preoccuparsi di ottimizzare siti e contenuti anche a queste altissime risoluzioni.
Il fotografo professionista dovrà combattere la guerra degli utenti che fanno foto solo se vorrà abbassarsi a combatterla, questa guerra.
Il fotografo professionista dovrà combattere la guerra degli utenti che fanno foto solo se vorrà abbassarsi a combatterla, questa guerra. Solo se vorrà tentare di mantenere delle posizioni che non sono più sue. Solo se non accetterà il fatto che il suo mestiere si è trasformato, che non è necessario “per riprodurre e trasformare in immagine”. Se tenterà di combattere questa guerra usando le armi dei pixel, del K, del costo dell’attrezzatura, dei giacchini con le tasche o delle tessere associative… allora la guerra è già persa. Se, al contrario, si lavorerà sul creare emozioni (vere), su sensibilità, cultura, capacità narrativa, su nuove visioni e nuove proposte che possano trasformarsi in pure esperienze e spettacolo, allora vinceremo. In pochi lo capiranno e ci riconosceranno tale dote al punto di pagarci? Si, saranno pochi, ma saranno anche gli unici che sono disposti a pagare tutto questo. Gli altri faranno tutto da soli, e saranno felici senza di noi.
Riccardo Marcialis says:
Buona Domenica a tutti.
La differenza che emerge tra un professionista e un amatore è l’indifferenza nei confronti dei mezzi tecnici.
L’esempio ce lo propone Luca Pianigiani con il filmato in oggetto. Premesso che non abbiamo alcuna certezza che il filmato Bentley sia stato realmente “girato” con Smart Phone ma, supponendolo, possiamo capire quanto sia realmente marginale l’indispensabilità dell’alta e costosa tecnologia per fare un prodotto di ottima qualità. Questo, (competenza, conoscenza, esperienza e capacità Creativa) fa la differenza tra il prodotto di un Amatore e quello di un Professionista.
Ai “miei tempi” (20 anni fa) quando mi occupavo di formazione professionale sostenevo che un’immagine “completa” la si poteva ottenere anche tramite una fotocopiatrice, e pure in B/N.
Oggi vale ancora questo concetto. Non ne posso più di sentire le storie delle Aziende che incitano gli Amatori, i dilettanti e pure gli abusivi a cambiare la loro vita acquistando attrezzatura e strumenti all’avanguardia.
Forse dobbiamo lavorare più su noi stessi. Su quello che potremmo fare essendone capaci.
In fondo il vero mercato è di coloro che sono in grado di percepire cosa la committenza richiede e non perdersi troppo sulle cose da inventare. Io, senza troppi sforzi, si sono riuscito.
Luca Pianigiani says:
Ciao Riccardo,
Posso confermarti che sono stati effettivamente usati i mezzi segnalati per lo spot di Bentley, così come sono sicuro come te che gli stessi mezzi in mano ad incapaci avrebbero creato un prodotto pessimo esattamente come sarebbe successo usando i mezzi più evoluti al mondo. Per fortuna, quello che conta è la mente di chi li gestisce :-)
Ale says:
Siccome non so dove scriverti ti scrivo qui, tanto il commento va messo in standby per essere moderato e puoi tranquillamente non pubblicarlo (anche perchè potrebbe essere visto come un modo per indirizzare traffico sul mio blog e sinceramente non mi interessa).
Ho affrontato un argomento simile sul mio blog quest’anno, usando l’esempio del gilet mille tasche, ma relativamente al mio ambito che è la fotografia di cerimonia, secondo me tra i problemi che hai elencato c’è anche la percezione della figura del fotografo da parte dei clienti e da parte degli stessi fotografi, dallo scorso anno ho iniziato a lavorare anche con delle mirrorless e le volte che incontro altri colleghi per lavori di tipo commerciale e tiro fuori la mia attrezzatura vengo preso per un pazzo, però io sono felice di quello che faccio mentre parlando con loro li sento lamentare di come il lavoro non è più come una volta e del digitale che ha fatto tutti fotografi ecc, quello che non sento mai è una “visione” della attività di fotografo, un:”io offro questo punto di vista” “io racconto questo”, solo un:”c’era un invitato con la d700, allora io devo avere una d800″ “quello si svende a xxx,xx euro ed io non so come abbassare il prezzo e come starci dentro”, insomma vedo persone tristi e stanche del loro lavoro.
La mia attività non è certo vincente, arrivo alla fine dell’anno pagando tutto e non mi resta niente ma ho vissuto la mia vita ed ho fatto quello che amo come lo voglio fare, magari arriveranno anni migliori e riuscirò a mettere qualcosa da parte o a comprarmi una leica ma non me la sento di lamentarmi
Per chiudere questo commento inutile (faccio sempre fatica a mettere giù i miei pensieri, la colpa e della nostra professione che punta tutto sulla vista) penso che per cambiare la testa ai clienti bisogna essere capaci di fargli vedere che un’alternativa esiste e puntare tutto sulla propria visione (poi, come giustamente hai ripetuto in diverse occasioni, bisogna essere capaci di far passare il messaggio, di farsi capire) e comunque chi non è interessato continuerà a non esserlo, per cambiare la testa ai colleghi invece non so cosa proporre ma sono convinto che se realmente amano quello che fanno non potranno fare altro che cercare delle soluzioni, altrimenti faranno altro, se un giorno dovessi smettere di fare questo mestiere nel mondo non cambierebbe niente, l’unico a perderci sarei io.
L’articolo di cui ti parlavo è questo:
http://www.alessandrodinoia.it/wordpress/blog/il_fotografo_di_matrimonio
Scusa per tutto il tempo che ti ho rubato e scusami se non sono riuscito a farmi capire, mi rendo conto che succede spesso e ci sto lavorando su.
Ale
Luca Pianigiani says:
Ciao Alessandro,
Tranquillo che sappiamo riconoscere chi commenta per guadagnare un link e chi lo fa perché ha qualcosa da dire. Grazie per la tua partecipazione, chiaramente collaborativa :-)
Andrea Sudati says:
Buongiorno, come da sempre, ciò che fa la differenza è il saper fare le cose, avere un talento e una sensibilità nel creare un immagine. Senza queste fondamenta qualsiasi discorso è inutile. Personalmente non ho mai avuto a che fare con agenzie pubblicitarie e clienti che commissionano lavori in funzione dell’attrezzatura.
Fabio says:
Abbastanza contro tendenza rispetto al periodo, io sto seriamente pensando di aprire uno studio fotografico aperto al pubblico nella cittadina di provincia dove abito (chiamarlo negozio proprio non mi piace) per 2 motivi: il primo e’ che pur tentando da anni di offrire servizi rivolti alle aziende, alla fine trovo piu’ gratificazione – non solo economica ma anche quella – quando lavoro con i privati.
La seconda e’ perche’ guardandomi intorno le realta’ esistenti offrono dei prodotti obsoleti, brutti e che avranno pure tutta la qualita’ che professano ma che paragonati a quello che si trova in rete sono a dir poco imbarazzanti, oltre a non fare nulla x promuovere la cultura fotografica a livello locale, al massimo fanno gli sponsor x il negozietto di intimo della piazzetta.
Qualcuno mi ha detto che non c’e’ nessuna richiesta per un prodotto differente, beh io credo che se ci fosse un’offerta ci sarebbe anche la richiesta.
Alessio says:
Letto l’articolo.
Io dico solo che da quest’anno sto rivoluzionando un po’ tutto il mio aspetto professionale dell’attività. E dalla lettura di questo articolo mi pare che sono sulla strada giusta. :-)
GIANNI SABBADIN says:
Buongiorno,io credo che l’ipocrisia dei fotografi sia ormai ai massimi livelli,tutti a sindacare ad accusare a trovare scusanti pur di difendere quella professione che secondo me, e compreso me , il 50% di noi non la facesse nessuno se ne accorgerebbe . Tutti ci sentiamo portatori di creatività e fantasia , in realtà ritengo che una buona parte di noi siamo dei discreti esecutori , che spesso il nostro compito e relegato ad imput esterni e noi bravi, professionali , ma sempre esecutori.
Ogni volta che sento delle repliche vedo persone che sembrano colpite nel loro orgoglio personale , come fossero gli unici a saper fare questa professione , se così fosse non vedo perché tanti boccheggiano e si disperano per il mancato lavoro.Un po di umiltà non ci farebbe male.
Sandro Bedessi says:
“la differenza sarà quella di creare emozioni vere”…appunto e quali sarebbero le emozioni vere?In un mondo ormai narcotizzato da immagini a sfacelo, da portali pieni di immagini tipo instagram fatte, e fatte fare, solo per dare l’illusione a chi le utilizza di diventare protagonista e di essere “taggato”seguito ecc ( non mi interessa come si dice perchè mi fa veramente ribrezzo quel portale) ma in realtà sono costruiti solo per studiare i fenomeni di costume degli utilizzatori e a sua volta utilizzarli solo per finalità di business; io me lo chiedo: quali emozioni vere?? IN un epoca in cui ognuno impugna in maniera compulsiva(vorrei usare un altro termine che sarebbe mastur…) sto stramaledetto cellulare ( ed io non sono tra questi), lo usa a tutte le ore e la gente non ha piu la testa …vedo mamme che tranquillamente sono disinteressate ai figlioli per strada che rischiano di andare sotto ad un auto ma senz’altro attaccate al cellulare che non mollano neanche un secondo dovesse cascare il mondo; sto stramaledetto cellulare che usano per acchiappare un immagine in ogni dove e in ogni luogo ecc, in un epoca dove poi le immagini viaggiano su internet e via dicendo e influiscono sulle generazioni che vengono su in maniera determinante perchè la realtà si è spostata sul web e la rete…immagini che non sappiamo più se vere o false, dove non c’è più una linea di demarcazione tra questi due mondi, filmati dove il voyeurismo si abbina alla tortura mentale e materiale di esser i umani e animali…basti pensare ai filmati di Striscia e Paperissima dove vediamo animali e bambini lasciati cadere magari dal seggiolone perchè si addormentano mentre mangiano o animali trascinati in “giochi” che per i loro padroni sono normali e divertenti solo perchè li devono filmare … e tanto altro.
Io mi dispiace mi dissocio purtroppo dal supermercato delle immagini dove tutti vanno prendono mettono in maniera gratuita e senza alcuna responsabilità degli effetti che queste immagini poi hanno su chi le vede.
Auspico invece in un crash tecnologico di tutto ciò e che ci riporti alla REALTA’ dove le emozioni ci sono davvero e l’intento di fermarla con un immagine abbia veramente un significato unico irripetibile ma anche motivato, personale e soprattutto umano.
UN saluto a tutti
Luca Pianigiani says:
Al contrario di quanto pensi, Sandro, il mondo è pieno di emozioni vere, e di belle cose (nella “realtà” e nei percorsi digitali). A volte, semplicemente, non si è nello stato d’animo di verderle, ma questo non significa che non esistano. E il “dissociarsi dalla tecnologia e dall’innovazione” ha generato, nella storia delle situazioni terribili.
michele stellatelli says:
Ciao,
totalmente d’accordo con il commento di Luca, aggiungerei che la situazione è molto cambiata in tanti altri campi (l’architettura per esempio) in generale in Italia produciamo meno beni materiali, per il momento ancora troppo pochi beni culturali, siamo nel mezzo del guado, cerchiamo di spingere la cultura, in particolare quella dell’immagine.
Michele says:
Ciao
vorrei esprimere una mia personale considerazione che da quando “faccio” il fotografo mi perseguita:
ho sempre diviso la nostra categoria in due grandi famiglie.
1- quelli che lo fanno per necessità
2- quelli che lo fanno per piacere
A voi le considerazioni in merito, senza piangersi addosso o altro.
Qui dal profondo sud abbiamo situazioni a dir poco ridicole, una per tutte
servizio fotografico per prime comunioni con tutte le foto del soggetto consegnato a 12 euri
Comunque non mi lamento, oltre a scattare io le foto me le stampo ed eseguo anche tanti altri lavori, ho realizzato un sogno che mi perseguitava da un sacco di tempo : portare il servizio di un laboratorio professionale alla portata del pubblico senza passaggi intermedi, e devo dire che funziona e il lavoro non mi manca.
Condivido appieno la spinta verso la cultura fotografica, avere clienti che sappiano “fare” belle foto significa anche avere clienti che stampano con tutti gli annessi e connessi che la fotografia comporta,occorre quindi come dice il nostro bravissimo Luca adeguarsi ai tempi, con i mezzi e con la mente(soprattutto) non so se serve ma ho 60 anni suonati e ogni mattina e come se cominciasse il mio primo giorno di lavoro ……perchè?
perchè M I P I A C E e se uno vende a 12 vale 12 in un mercato libero come quello di oggi conta solo una cosa – la qualità- e vi garantisco che è direttamente proporzionale al costo.
ciao e buona luce a tutti
Domenico says:
Luca, tra le molte argomentazioni che potrei tirare giù su questo argomento, al momento me ne viene una che mi fa letteralmente imbufalire.
I fotografi, o presunti tali, in numero sempre maggiore, cercano di soppiantare il mercato morto, con ennemila workshop demenziali, facendo leva, come specchietto per le allodole (ed essendone spesso anche rappresentanti) sull’oggetto fotocamera. I cosi detti #photographer abboccano, anche perchè spesso sono anche arrapati della domenica e per loro vedere una finta modella russa fa trendy con gli amici.
Questo atteggiamento, anche se per portare la pagnotta a casa, è fortemente diseducativo (già dal titolo del workshop…). Quindi una grossa fetta di fotografi sta contribuendo fortemente a danneggiare il mercato della fotografia. Grazie e complimenti per l’articolo.
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