Quando potremo liberarci dai computer dell’era passata? L’altro giorno Apple ha dichiarato con annunci d’impatto che il suo “interesse” per il settore professionale è vivo. Come hanno simpaticamente scritto su Mashable, Apple ancora vi ama, utenti professionali, ma è un amore che vi costerà, con tanto di gif animata di un abbraccio molto “dark” di Voldemort. In realtà, il senso è sempre e comunque commerciale: se la soddisfazione e il desiderio di un pubblico di utenti per le soluzioni “hi-end” è (anacronisticamente) forte, è sensato (sempre dal punto di vista commerciale) farlo pagare. In rete, un sacco di persone hanno commentato con tristezza “l’alto costo”, e l’hanno fatto però con la bava alla bocca: vorrebbero, ma – come dichiarano – non se lo possono permettere.
Oggi è difficile “potersi permettere” macchine che “partono” da 5000 dollari (che, al cambio costeranno ben più di 5000 euro), specialmente considerando che sono “ prezzi a partire da… ” e che quindi saranno ben più alti quando si calcolerà una configurazione più logica per l’uso quotidiano. La cosa che fa capire però che quando si vuole “puntare in alto”, non è che gli altri costano poi molto meno, qualcuno ha fatto dei conti e ci si accorge che soluzioni ad alte prestazioni non le regala nessuno. Qualcuno arriverà e dirà che si può risparmiare, che ormai ha senso uscire dal mondo Mac se si è professionisti, se si vuole davvero fare sul serio. Sinceramente, la questione rasenta il noioso. Il problema è capire cosa davvero significa essere “professionisti”, ed è un problema che ovviamente si vive con qualsiasi attrezzatura.
Per scegliere il nostro “computer per il futuro” dobbiamo guardare non il “ferro”, ma il software.
Hardware is exciting, even if, in the long run, it is software that actually matters.
Ben Thompson
I software che hanno trenta anni di storia hanno bisogno di macchine super potenti; è storia conosciuta. E’ necessaria – si sa – potenza di calcolo mostruosa se si vogliono davvero gestire files di immagini dal peso pachidermico, i processi di produzione che vogliono (ancora) passare per una gestione che è legata ad approcci del passato, non permettono di essere snelli. La risposta però non è nella potenza di calcolo, oggi un iPad ha una potenza di calcolo mostruosa, e le novità del suo prossimo sistema operativo (drag and drop, multitasking “smart”, dock, migliore integrazione con Apple Pencil) regaleranno un’esperienza d’uso che permetterà a molti di fare un passaggio verso questi sistemi. Sono nati – per iPad, e non per altri tablet – nuovi software che sfruttano la piattaforma per fare cose incredibili in tempo reale: è il caso dell’applicativo Affinity Photo, rilasciato per iPad (costo, al momento in promozione di lancio, a 21.99 euro e attenzione: compatibile solo con gli iPad Pro, iPad Air2 e iPad usciti nel 2017), ma se allargate la vista potreste scoprire programmi per disegnare in 3D eccezionali oppure per creare illustrazioni di altissima qualità.
C’è solo un problema, ed è un problema grave, non del tutto compreso (perché, appunto, ci si preoccupa e si parla più di hardware): al momento la politica di Apple sul fronte delle App (una politica che ha generato 70 miliardi di dollari di ritorno agli sviluppatori in questi anni, quindi ovviamente è un meccanismo che funziona bene) è che chi sviluppa applicazioni professionali spesso non può accedere a questo mondo perché non esiste modo di fare un periodo di prova per le app destinate al mobile (ed è difficile credere che qualcuno decida di investire cento, duecento o più euro per una applicazione che non può prima provare), e per il modello economico (un’app ha un costo “corretto” percepito in valori di pochi euro). Ne hanno, per esempio, parlato due anni fa (e la situazione non è cambiata) quelli di Sketch, se siete interessati andate a leggere. Con le evoluzioni di iOS11, con la potenza dei nuovi processori usati nei nuovi iPad Pro (A10x Fusion) moltissimo potrebbero dire addio ai computer, proprio tra i mondi del professionisti. Ma mancherebbero all’appello soluzioni che stanno guadagnando grande successo (per esempio appunto Sketch, oppure Hype per fare due esempi concreti di app che usiamo quotidianamente, o anche l’italiana Pubcoder). Per assurdo, le applicazioni più tradizionali (Photoshop, Première, Illustrator) potrebbero trovare – ci sono – delle alternative su tablet, e quindi i fotografi più tradizionali potrebbero essere tra i primi a trarre profitto (un iPad Pro è quasi sicuramente più potente del computer che viene usato per la produzione in questi settori). E poi dovremmo parlare di strumenti di interfaccia: mouse, tavoletta grafica, monitor touch, penna su schermo, nuove soluzioni come la Microsoft Surface Dial?
In questo quadro, chi potrebbe giovarne in teoria potrebbe essere appunto Microsoft, che permette sui suoi tablet di far girare gli applicativi “standard” (Win10), donando una soluzione globale e super flessibile, che mette insieme tutto e quindi non lascia delle porte chiuse, ma al tempo stesso l’accoppiata hardware + software dei Surface è analoga ai modelli desktop, mentre quella di iPad risulta fortemente avvantaggiata (Apple, che sviluppa i propri processori per ottimizzarli esclusivamente sui suoi device riesce a fare la netta differenza). E, proprio durante l’evento dell’altro giorno, Apple ha dimostrato che si possono fare di colpo dei passi in avanti coprendo dei gap (imbarazzanti) per esempio nel processamento del comparto video (le schede video ospitate sui Mac sono davvero molto poco prestanti) con lo sviluppo del software: Metal2 e ARkit spingono di colpo, in un giorno, Apple da fanalino di coda alla più “grande” piattaforma di Realtà Aumentata presente al mondo. Non sappiamo se questo si trasformerà in “realtà” (quelle citate sono le parole di Craig Federighi, ma i competitors ben agguerriti e finora in posizione avanzata, come Google e Facebook non stanno a guardare), ma dimostra quanto le evoluzioni non sono progressive con le logiche del mondo “analogico/ferro”.
La sintesi di tutto questo discorso è che dovremmo evitare confronti “tradizionali” sulla tecnologia, ancor meno fare i paladini di una visione o di un’altra (cari “esperti”, così sicuri di voi stessi: quanto siete stucchevolmente noiosi), smetterla di essere facili opinionisti che sparano e sparlano su cose che pensano solo di sapere di conoscere, ma guardare con grande attenzione ed apertura mentale alle evoluzioni, accettare che siamo probabilmente in un momento di grande incertezza su quella che sarà la piattaforma informatica sulla quale investire, perché non si sa bene chi vincerà (noi ammettiamo di non saperlo, e nemmeno come è sensato orientare i nostri stessi investimenti), e gli interessi sono molto più grandi di noi. I grandi player della tecnologia stanno prendendo delle decisioni e dei percorsi che potrebbe farli vincere, tornare a vincere, o sprofondare, ed è impossibile scommettere sul cavallo giusto. E noi, che siamo il mercato, non dobbiamo farci coinvolgere da frasi ad effetto del marketing (che in attesa del futuro, deve ovviamente vendere il presente) e non dobbiamo cadere in percorsi che corrono troppo in avanti e nemmeno che guardano al passato. La posizione giusta è osservare, cercare di capire, non arrivare a conclusioni senza fare concreti e utili test. Nel frattempo, la cosa migliore che possiamo fare è investire in cultura (quella vera) e in conoscenza.