La comunicazione visuale è stata, forse definitivamente, cambiata, almeno per questo periodo storico. E’ qualcosa che è davanti ai nostri occhi, ma che sembra che proprio i professionisti stiano cercando di combattere, o di non considerare. Eppure, le correnti estetiche sono ben nitide e chiare nel percorso della storia artistica, e vengono analizzate, studiate e reinterpretate.
E’ curioso che, in ambito fotografico, quelli che fino a pochi anni fa erano giudicati dei grossolani errori (e ancora oggi questa opinione è ben radicata nella testa dei professionisti di questo settore) siano oggi un linguaggio ben accettato, e anzi “normale”. Siamo andati contro le “regole” del gioco, della tecnica, della “naturalezza” e abbiamo professato come “inaccettabile”, orribile, qualcosa che oggi invece è diventato “non percepito”).
E’ un pensiero che abbiamo fatto ieri, camminando per il centro di Milano; avevamo una semplice “missione” domestica (andare a comprare il caffè), non a vagare per negozi. In poche centinaia di metri ci siamo trovato davanti a due situazioni ben ovvie, ma che cerchiamo di portarvi ad interpretare in modo costruttivo e strategico. La prima è una mostra all’aria aperta di selfies fatti con iPhone X. Stampe grandi, sequenziali (decine e decine di cartelloni, uno dietro l’altro) che mettevano in evidenza parecchi elementi (la resa dell’illuminazione “aumentata” disponibile con l’ultima generazione di telefoni della Mela, che fa uso dell’intelligenza artificiale, la nitidezza degli scatti anche stampati in grandi dimensioni e visti da vicino) e… qualcos’altro, di cui parliamo ora. Sono selfies, sono “però” anche bellissime foto (quindi, per farla breve, non è la fotocamera che fa le belle foto…) ma hanno un difetto, giudicato da quasi tutti i “benpensanti” davvero inaccettabile: sono fatte con un grandangolo. La prospettiva, enfatizzata da ottica e distanza di ripresa, tutti hanno nasi molto marcati. Eppure… questo dettaglio lo notiamo solo noi (e ci disturba, ci fa “bollare” queste immagini come “sbagliate”), non il pubblico, non le persone, non crea un fastidio: è considerato “normale”. E allora, tutte le teorie che dicono che “l’ottica del ritratto è un medio tele”? Dove lo mettiamo? Oggi i ritratti si fanno con il grandangolo e si è passati anche – forse, chissà se il processo mentale, oltre ad essere “adattato” alla cultura visiva corrente, guadagna anche profondità: quella prospettiva derivata dalla ripresa da vicino, è quella che abbiamo dal vivo, quando siamo vicini, tanto vicini all’altro viso. E’ quella distanza che permette di scrutare l’espressione degli occhi, che ci porta a sentire il respiro, che mostra i dettagli di un neo, delle lentiggini, di una piccola cicatrice quasi invisibile che racconta una storia, quella che porta ad un bacio (rubato o accettato). Nei ritratti della mostra (che potete vedere più nel dettaglio in questa rassegna online) l’intensità vince sul difetto, in realtà di colpo il difetto non esiste più. Non vi stiamo dicendo di scattare con un cellulare (fanno ridere, a volte, questi estremismi, si mette nell’armadio un’Hasselblad o una Nikon o Canon Fullframe per “scattare con l’iPhone”, solo per essere alternativi e “fuori dagli schermi” senza avere un motivo vero di usare uno strumento rispetto all’altro, sia questo economico, funzionale o di linguaggio). Vi stiamo dicendo che forse la cultura visiva ci sta insegnando che i dogmi tradizionali sono superati, sono inutili… sono addirittura sbagliati.
Passiamo ad altro argomento, slittiamo nel campo video. I fotografi professionisti parlano sempre più di “storytelling”, non di “immagini” (foto o video che sia). Eppure, non raccontano storie, e lo fanno sempre usando delle regole fisse. La prima – assoluta – è che i video sono orizzontali. Bene, tutta la comunicazione ormai è fatta di video verticali, sono nati dagli “inetti” che usavano i cellulari in modo “sbagliato” e ora sono invece il centro del concetto di “una fetta di storia” da ascoltare o da raccontare. Lo so, se ne parla da anni, e sembra che sia un ritornare su temi già fin troppo analizzati, ma dobbiamo farlo per un motivo: ora, la verità è che gli schermi, i monitor che si trovano ovunque non sono più orizzontali… sono verticali, e non sono più solo quelli degli smartphone (ai quali si ispirano), ma gli schermi delle vetrine, degli allestimenti, dei negozi. Tutto è un monitor, e quasi tutti sono verticali, in particolare quelli che permettono una “immersione” a breve distanza. Gli esseri umani si muovono in piedi, e un monitor verticale, alto quasi come o più delle persone, consente una “relazione” più forte. L’inquadratura verticale ha un suo significato e approccio (magistralmente definita in inglese: “portrait”, lo abbiamo detto spesso), offre un collegamento diretto alle storie su Instagram e alla vita vissuta “dentro lo smartphone”, ci porta ad una scelta selettiva, ci porta verso un mondo virtuale (anzi “aumentato”) che ci offre un accesso privilegiato, ci apre una porta (le porte sono verticali) per andare oltre, per sognare, per immergersi. Lo hanno capito gli architetti, i designers, gli allestitori, i vetrinisti, i reparti marketing delle aziende, ma forse non l’hanno capito del tutto i più tradizionali creatori di immagini; secondo noi, tutti dovrebbero mettersi a produrre video verticali che non sono solo il frutto del girare di 90 gradi il sistema di ripresa, ma una vera e propria presa di coscienza di quello che vuol dire vedere il mondo e la comunicazione in verticale.
Certo che qualcuno può dire: io non voglio seguire la strada di tutti, voglio un mio linguaggio, voglio sviluppare la mia creatività a modo mio… non sono una pecora che segue il branco. Ottimo, ne saremo felici, ma in questa dichiarazione ad effetto vanno considerate un paio di cose:
- Abbiamo davvero una visione creativa che contrasta, nei fatti, nella resa, nel significato, queste tendenze? La vostra creatività è figlia di una percezione del fenomeno dal punto di vista culturale, ma ancor di più nella sua componente più profonda (dire: queste sono cose che fanno i dilettanti… non è abbastanza profondo).
- Abbiamo un mercato che ci chiede (o al quale noi aspiriamo) che premierà questa nostra scelta “alternativa”?
- Se abbiamo detto che questo è – inequivocabilmente – la cultura visiva attuale, se vogliamo andare “oltre”, qual è questo “oltre”? Quale sarà la corrente visiva che si affaccerà prepotentemente e che “scalzerà” il selfismo o il verticalismo? Forse, in questa analisi, invece che parole buttate al vento, sarebbe necessario andare a guardare indietro, per esempio nella storia delle correnti artistiche: Astrattismo, poi Futurismo, Dadaismo, Surrealismo, Optical Art, Iperrealismo… e solo per parlare delle principali del ‘900.
Se siamo creativi, artisti, comunicatori, venditori di contenuti visuali… in tutte queste accezioni dobbiamo ricordarci che siamo e dobbiamo essere contemporanei, e questo ci impone di guardare le correnti estetiche con profondità, anche quando ci guardiamo attorno.