Siamo un popolo di creativi, almeno a parole. Come diceva la famosa descrizione? Popolo di navigatori, santi e poeti. Di sicuro viaggiamo, non c’è Paese al mondo dove non si «rischia» di trovare un italiano, spesso un po’ troppo rumoroso (specie quando è in gruppo). Forse più difficile trovare «santi», ma credo che sia un problema globale e la poesia forse è stata sostituita da una più allargata visione «creativa».
Il problema però è che tanta intenzione e auto certificazione (quella di «essere creativi») si limita a questo; di fatto, e nella pratica, non si può dire che in questo periodo si possa vedere tanta creatività. Milano, che si dichiara la capitale europea del design e quella mondiale della moda, di fatto non riesce a dimostrare questa vocazione, anzi: la sua carenza di effervescenza creativa è palese: decine di città l’hanno sorpassata, anche senza voler pretendere un passaggio formale dello scettro, anche perchè la freschezza creativa non ha certo bisogno e nemmeno si interessa di queste formalità. Quando si cercano i «galloni» o le «corone» inevitabilmente ci si affossa, ci si ferma, non si è più liberi di sperimentare.
L’argomento della creatività è un fattore che ci sta molto a cuore, e che trattiamo con tanto rispetto. Quando sentiamo qualcuno che si definisce «creativo» ci preoccupiamo: cosa crea, cosa «inventa», in cosa davvero si impegna di cercare di dare un contributo di originalità? Come lascerà il suo segno indelebile? E quale sarà la sua sfera di sviluppo creativo? Si può essere grandi creativi inventando giochi per il proprio bambino o per far sorridere una persona malata o anziana, ed è bellissimo in questo caso, ma di solito persone che hanno questa sensibilità non si definiscono «creativi» e noi tendiamo a chiamarle «belle persone». I «creativi dichiarati», i «creativi professionisti» sono spesso invece persone che amano definirsi tali, che magari si atteggiano con abbigliamento eccentrico, con capelli molto lunghi.
Ci viene incontro – ed è stato stimolo per questo Sunday Jumper- uno studio appena reso pubblico, realizzato nell0 stesso periodo sia da Adobe che da eYeka (la prima non ha bisogno di presentazioni, la seconda è una struttura che si occupa di offrire consulenza di co-creatività, ovvero di lavorare con team e aziende per trovare soluzioni creative in collaborazione). È stato chiesto da parte di Adobe a 5000 persone (cittadini USA, Francia, Germania, Giappone ed Inghilterra) e da circa 200 persone da parte di eYeka (Inghilterra, Francia e USA) di definire il proprio rapporto con la creatività. I dati sono tanti, e possono essere letti qui, oppure nella sintesi dell’infografica che riproduciamo in questo articolo. Nel complesso, viene fuori un quadro che indica che oltre il 78% degli americani si definisce un «creativo», mentre le quote dei francesi è del 67% e gli inglesi sono quelli che si definiscono «meno creativi», perchè il valore rilevato è del 61% circa. L’avessero chiesto a 5000 italiani, forse avremmo rasentato il 90%…
Al di là delle polemiche «locali», questo studio è interessante perchè mette in evidenza una serie di problemi relativi al rapporto tra economia, creatività e sviluppo. Per esempio, esce che il 75% degli intervistati reputa che la pressione, la mancanza di tempo, le attitudini aziendali riducano fortemente l’adozione di un pensiero creativo sul lavoro, in pratica solo il 25% reputa di avere tempo, in ambito lavorativo, per lasciare spazio alla creatività. E circa il 60% è convinto che questo spazio per la creatività sia carente anche nell’ambito scolastico; questo vuol dire che i nostri figli e nipoti cresceranno (stanno crescendo) senza l’attitudine per la creatività. Forse saranno sempre di più coloro che si dichiarano tali e sempre meno saranno coloro in grado di esserlo sul serio, che saranno quantomeno preparati mentalmente (e culturalmente) – a svolgere attività realmente creative.
In tutto questo studio, ci sono anche cose che non tornano o che quantomeno sono state riportate in modo contrastante (anche perché sono due ricerche svolte con metodologie leggermente diverse), ma siamo dell’idea che questi studi servano per affrontare le questioni su una base di partenza, e che certamente non possono essere letti in modo assoluto, per esempio come viene fatto nei reparti marketing, dagli analisti di mercato, dalle persone «non creative» (ma che probabilmente si definiscono tali) e che in mancanza di capacità di interpretazione creativa si affidano solo ai numeri. Qual è la persona che alla domanda «ti consideri creativo?» risponde con un secco «no»? Tutti ci definiamo tali, così come tutti ci definiamo “intelligenti”, bisogna vedere come sono state poste le domande. Quello che invece reputiamo sia fondamentale è valutare come sia cambiato in questi ultimi anni il panorama della crescita creativa, che non è un’attitudine (non solo quella), ma specialmente un allenamento. Si può avere un atteggiamento “creativo”, e non essere in grado di “creare” nulla di rilevante. Si può invece creare qualcosa di fantastico, e per fare questo serve allenamento, bisogna seguire il proprio istinto curioso, cercare, esplorare, investire tempo (e di conseguenza soldi, che si perdono se invece che “lavorare” si “fa ricerca”, o addirittura bisogna investire soldi per viaggiare, per partecipare ad iniziative interessanti, per non rimanere bloccati nel proprio luogo fisico).
L’evoluzione economica deriva dalla capacità di essere creativi, di esplorare cose, luoghi e processi che altri non riescono a vedere. Le idee, l’innovazione non arriva dal “cielo”, e nemmeno dalla “genialità” che possiamo avere nel DNA. In un periodo in cui mancano le risorse (soldi), devono crescere le idee (che sono gratis), la creatività è la strada, ma bisogna alimentarla. Per questo, vince chi – con buona attitudine creativa – può “permettersi” di investire parte del suo tempo in creatività. Non è tempo perso, non è investimento “a perdere”. Alcune aziende illuminate, lasciano una percentuale di tempo ai dipendenti per sviluppare idee e progetti; dobbiamo fare lo stesso, ma non cercare strade edonistiche, bensì occasioni per costruire qualcosa di concreto, nuove strade, nuove occasioni per distinguerci ed elevarci dal livello medio (che è, attualmente, molto basso).
Oggi, chi lavora nel mondo “creativo”, finisce col dedicare alla creatività molto poco tempo. Esegue, non crea. Vale per i fotografi, per i videomaker, ma vale anche per il marketing, per i processi di comunicazione, nella pubblicità, nell’editoria… ovunque. La fragilità economica toglie risorse di persone, di tempi, impedisce qualsiasi azione “rischiosa”, per questo si seguono solo i percorsi già consolidati, le soluzioni scelte dai “leader di mercato“, e tutte le confezioni (packaging) risultano uguali, tutti gli spot sono simili, tutti i prodotti si assomigliano. Andare “oltre” sembra essere un rischio che non ci si può permettere il lusso di correre, quando invece è l’unica strada che si può seguire. Se i “professionisti della creatività” vengono imbavagliati da questi atteggiamenti censori, chi vince, chi davvero ha spazio creativo per esplodere è quel mondo che della creatività ne fa non un mestiere, ma un piacere: coloro che condividono la loro creatività sui social network, che hanno tempo per creare perché magari sono giovani e ancora non dentro ai meccanismi di produzione massacranti.
Personalmente, la strada l’ho trovata: quella di avere un team di ricercatori giovani e appassionati, che possono dedicare del tempo alla creatività, io mi occuperò di canalizzare, organizzare e monetizzare questa creatività (a vantaggio di tutti). E’ obbligatorio, in una attività come la mia che vive di innovazione, ma non ci sono alternative, per nessuno: all’interno dell’attività creativa, se non si dedica tempo nella ricerca di nuove idee, allora tutto crolla. Si può solo fare finta di essere creativi, comprando pantaloni e camicie sgargianti, guardando all’orizzonte con faccia assorta (attenti a non addormentarvi…), ma di questi tempi valgono i fatti, non gli atteggiamenti. Se non avete tempo voi, dovete avere qualcuno accanto a voi, ma dovete trovare le risorse economiche per poter alimentare e supportare questa attività.
La domanda da porre, in questa ricerca, non doveva essere quella di chiedere “Sei creativo?”, ma: “Puoi permetterti di essere creativo”? Se chi ci legge arriva alla conclusione che “Non se lo può permettere”, allora deve considerare un cambiamento di professione, oppure una scelta di vita: produco, riproduco, eseguo… non creo. E non venite a dire che “i miei clienti non sono disposti a pagare la creatività“, perché è sbagliato l’approccio: ci sono clienti che non hanno bisogno di creatività, e quindi non la pagano. Vuol dire che bisogna cambiare clienti, ma prima bisogna essere sicuri di essere in grado di essere davvero “creativi”. Non “artisti”, ma “creativi”, ovvero in grado di creare valore concreto, monetizzabile (da parte vostra e da parte del vostro cliente).
Luca says:
Ciao Luca,
articolo molto interessante, mi permetto di aggiungere una domanda inversa rispetto a quella conclusiva:
“chi si può permettere di NON essere creativo?”
Personalmente credo che questa scelta alla fine costi molto di più dell’impegno e dei costi che servono per coltivare la capacità di creare valore in modi nuovi
L.
Monica says:
Io penso all’arte come ad un bisogno personale di esprimersi (che si riesca poi a monetizzarlo o meno) mentre penso alla creatività, soprattutto in merito alle professioni legate all’immagine e alla comunicazione, come ad una attitudine al problem solving, che con il bisogno di esprimere se stessi, forse dovrebbe avere anche poco a che fare. In quest’ottica, nell’approccio al lavoro per un cliente, la creatività è nella capacità di sintesi tra aspettative del cliente, budget a diposizione, tempo da dedicare al lavoro. Non ha senso lavorare senza creatività perchè il cliente non la vuole pagare. Il cliente, semmai, non ha bisogno del nostro spirito artistico, che da sfogo essenzialmente ad un nostro bisogno, non ad una sua necessità, ma ha anche diritto ad avere nei limiti del possibile un servizio originale.
Poi, sicuramente coi tempi che corrono, di problem solving e di creatività c’è un disperato bisogno in tutti i campi della vita!
Monica
Barbara Cadoni says:
Ciao Luca, le tue parole sono sempre molto belle e idealmente giuste, ma la realtà a mio avviso è ben diversa… Sono d’accordo con te quando dici che bisogna riformulare la domanda con ” Puoi permetterti di essere creativo? ”. Ma in tempi come questi, dove appunto manca denaro, il tuo dire ” bisogna investire ” suona male… A meno che tu non ti rivolga a professionisti, ma ti ricordo che la creatività non è solo dei professionisti… Creativi, a mio avviso, si è nel dna e non è necessario mettersi al collo un’etichetta. E’ un modo di essere, di vedere le cose, che non significa vestirsi in maniera strana o altro.
Oggi tutti si definiscono tali, perchè vogliono distinguersi in maniera eliaria. Far vedere a tutti i costi che hanno qualcosa in più e quindi sono creativi e difatti hai precisato bene… Creativo non è l’artista, quello l’abbiamo relegato alla classe dei nullafacenti…
Ah Luca, sai cosa non vedo più in certi ambienti cosiddetti creativi.. l’essere umili. E purtroppo, non esiste corso che ti insegni a diventarlo.
Luca Pianigiani says:
Barbara, io mi rivolgo ai professionisti, o a coloro che vogliono diventarlo. Quindi, si, parlo di investimenti, al pari (o superiori) ad un apparecchio fotografico, a un computer, a un tablet, a un ufficio. Che poi la creatività non sia solo “area professionale” è quello che dico: persone che dedicano tempo alla creatività per passione o per studio hanno oggi più armi in mano, se i professionisti non “investono” in creatività, che vuol dire ricerca, studio, cultura. Tendenzialmente, più che mancanza di “creatività”, io sento mancanza di “cultura” e di “conoscenza” che porta a girare sempre attorno a soluzioni che sono luoghi comuni, già visti, per nulla innovativi. Buona domenica ;-)
Beppe says:
Grazie Luca.
“…………………….la creatività sembra svilupparsi meglio in giovane età, in altri – letteratura, musica, arti figurative – continua per tutto l’arco della vita.” da Wikipedia.
Comincio questo intervento citando la spiegazione dotta, per spiegare l’idea della provocazione che Luca ci vuole dare, nel senso
che la creatività va anche alimentata, nutrita. In questo intende ” investimenti”.
Un viaggio a Londra o Berlino un libro, un corso, un museo etc. Quante volte ci fa comodo sederci sugli allori
e rifare la sicura e arcinota fotografia che dà sicurezza di risultato. Ecco qui la creatività sta un pò morendo….
è questo che Luca vuole evitarci. Un saluto a tutti
Barbara says:
Capita spesso, soprattutto in tempi “difficili”, che i clienti non accettino la creatività, in senso ampio. Sul web, paradossalmente date le ampie possibilità “di sfogo” a costi relativamente bassi, l’attitudine rigida di certi clienti tende a dare il peggio. Oppure il problema è proprio che “siamo tutti creativi” e quindi lo stesso committente si sente “creativo”. Non credo che sia un caso se grafici e designer di tutto il mondo riportano tra gli aneddoti “lo spazio bianco da riempire”: non appena si libera un po’ di spazio sulla pagina il designer è felice che la pagina “abbia respiro”, ed il cliente inizia a pensare a nuovo contenuto da inserire (o spostare gli elementi, ingrandire il testo…) per “non lasciare quel vuoto”. Anche le varie campagne che si somigliano tutte, non credo siano sempre dipendenti da cattivi creativi.
Credo sia giustissimo considerare che “noi creativi” dobbiamo investire tempo, fatica e denaro, non cedendo alla pigrizia (e di “creativi” pigri ce ne sono davvero tanti, o poco umili), non copiando altri, non pensando che produrre qualcosa di strano e che molti non capiscono (e oggettivamente brutto) sia creatività, ma occorre anche educare i committenti e “la gente” in generale.
corrado a. says:
Lo hai scritto, quanta creatività c’è in giro lo si vede dalle pubblicità nazionali.
Ok, il periodo non lascia molto spazio (soldi) per il tempo creativo, ma a confronto i famigerati anni ’80 erano un fermento di idee.
Sembra che di tutta sta tecnologia oggi disponibile, si utilizzi solo il timbro clone… proprio come se fossero i potenti strumenti ad aver livellato tutto, anche le idee.
Quanto al punteggio autoattribuitosi dagli americani… beh, proprio vero che chi si loda si imbroda…
ciao
Francesco Menzera says:
Mi trovo d’accordissimo con Corrado quando dice “Sembra che di tutta sta tecnologia oggi disponibile, si utilizzi solo il timbro clone… proprio come se fossero i potenti strumenti ad aver livellato tutto, anche le idee.”…
Oggi sembra quasi che “per fare le cose” servano gli strumenti, come invece dico nel motto del mio sito (così gli piace chiamarlo a WordPress) sono sempre più convinto che, in questo settore, la foto la fa il fotografo e non il mezzo che usa, ovviamente con tutto ciò che ne consegue.
Buona luce a tutti,
Francesco.
Emanuela C. says:
Ip penso che la creatività sia un bisogno dell’uomo.
Un bisogno legato alla sua autorealizzazione.
Un bisogno che dovrà essere espresso, pena la frustrazione.
Gli strumenti e il denaro sono oggetti collaterali, anche se senza meno hanno il loro peso.
Ma a volte non servono, specialmente nel mondo dell’arte.
Nel campo delle idee e quindi dei progetti, le conoscenze opportune sono basilari per lo sviluppo e la concretizzazione.
Un consiglio, piu’ gente conosci, meglio è. A volte gli altri senza saperlo ti aprono la mente e il cuore verso la tua autorealizzazione.
Ciao a tutti
Manu
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