Ci sono dei momenti in cui vorrei essere un avvocato. O uno straricco, che più o meno sta a significare – nell’ambito specifico – la stessa cosa: avere la possibilità di andare a fondo in alcune questioni. L’argomento è ostico, e già non dovrebbe essere così: in qualità di “autore” (come gran parte di voi che ci leggete), dovrebbe essere semplice, se si tratta dell’istituzione che dovrebbe tutelare i miei/nostri interessi, e invece sembra che, in nome “mio-nostro”, tale istituzione faccia solo i propri interessi. Mi spiego, ed è ovvio che sto parlando della SIAE.
Non amo la burocrazia, non amo l’approccio antico ai problemi moderni, quindi sono molto distante dalla SIAE, ma sono un ragazzo ignorante, specialmente nelle questioni che non voglio approfondire (come diceva Sherlock Holmes, dobbiamo usare le poche cellule grigie del cervello che effettivamente usiamo per gli argomenti che davvero sono importanti per noi, tutto il resto è nozionismo che occupa spazio e non porta a nulla). Però, quando leggo cose che mi sembrano “assurde” non ci sto: sono qui a cercare di capire (se qualcuno mi aiuta, da solo non riesco), e se nel caso arrivaste tutti alla mia stessa conclusione, allora o siamo tutti stupidi, oppure ci vogliono far passare da stupidi. E quindi, vorrei che si trovasse un modo per reagire.
Andiamo ai fatti: il 30 dicembre 2009, mentre tutti pensavano allo spumante per festeggiare l’anno nuovo, un decreto legge ha esteso il “diritto di copia” non solo a quei supporti più propriamente dedicati a questa operazione di copia (privata, perché ovviamente la copia non per uso privato è proibita e perseguibile dalla Legge), a computer, lettori Mp3, chiavette USB e addirittura a cellulari e decoder; dico “addirittura” perché appare complicato usare cellulari e decoder per “copiare”, lecitamente o meno, musica, video o foto. Banalmente, si tratta di un regalino stimato in 3-400 milioni di euro che entrano nelle tasche (autorizzate) della SIAE.
Sull’argomento si è discusso tanto, accuse (da ogni fronte) e difese (dalla SIAE). Evito le accuse e le discussioni, mi soffermo su un testo ufficiale della SIAE che spiega le motivazioni e si difende: sono proprio queste difese che generano dubbi, che magari qualcuno – più competente e intelligente di noi – può risolverci.
Nel testo, che vi esorto a leggere con attenzione, la SIAE ci spiega che è stata definita “tassa” il compenso per copia privata, quando si “tratta di applicazione di diritto d’autore”. Merita la citazione completa, perché è raffinata ed autorevole la risposta e quindi merita di essere riportata per esteso.
E’ più in generale, un’applicazione del diritto d’autore, il cui principio ispiratore è quello di essere il compenso per il lavoro degli autori e di seguire, quindi, evoluzione e cambiamenti delle forme di sfruttamento delle opere: dal teatro, al fonografo, alla radio, alla televisione, al Cd, Dvd e ai mezzi digitali. Proprio perché quella dell’autore è una professione, quest’ultima va remunerata e ciò avviene attraverso il diritto d’autore nelle sue varie applicazioni: sul prezzo dei libri, dei biglietti per gli spettacoli, sui bilanci delle emittenti. Insomma su tutti i modi di sfruttamento delle opere. Il diritto di copia privata per uso personale, si situa in quest’ambito; esso è ribadito da una Direttiva comunitaria ed ha ragione di essere solo se segue l’evoluzione dei mezzi di registrazione e produzione. Altrimenti resta un diritto inapplicato.
Ok, è chiaro, no? Potrei, con fervore, discutere sul fatto che “il diritto alla copia privata”, è un diritto, e come tale “ne ho diritto” e non è un bene da acquistare: se compro un brano su iTunes, ne voglio fare (e ne ho diritto, da contratto con l’entità che mi cede il diritto di riproduzione) una copia di backup, per evitare che, nel caso di una rottura di un hard disk o altri drammi informatici, io non perda tale diritto acquistato. Mi viene quindi fatto pagare un diritto che, di fatto, ho già acquistato. Ma vado oltre… e vado anche oltre al fatto che io, di fatto (io, per dire tutti noi), in questo caso – parlo di musica perché è più semplice – pago il diritto d’autore 3 volte: quando compro il brano, quando uso l’iPod per ascoltarlo (già tassato alla fonte per il diritto di copia) e poi sul computer o sull’hard disk di backup. Facciamola semplice: c’è bisogno di soldi, la fantasia del legislatore va a cercarli una volta da una parte, un’altra volta da un’altra. Non discuto (non voglio discutere) del fatto che servano soldi: lo sappiamo, e a volte tiriamo un sospiro di sollievo e molte volte soffriamo.
Come vedete, non faccio l’estremista: capisco, mi adeguo. Questo SJ non vuole mettere in discussione la tassa… ops… il balzello… ops… insomma, chiamatelo come volete. Il dubbio, forte, viene dal punto 3, che ribadisco è stato scritto dalla SIAE, non da fanatici personaggi che usano in web con lo scopo di distruggere il diritto d’autore e sfruttare il lavoro sano degli autori. Ecco il testo del punto 3, leggetelo – vi prego – con attenzione, perché tratta l’argomento che ci interessa, il “dove vanno questi soldi” (ripetiamo: da 300 a 400 milioni di euro all’anno):
3. I soldi a chi vanno? Solo agli aventi diritto associati alla Siae?
No. E’ la legge a stabilirlo. Per i supporti ed apparecchi di registrazione audio, il compenso va per un 50% agli autori e loro aventi causa, per il 25% ai produttori di fonogrammi e per il restante 25% agli artisti interpreti o esecutori. Per i supporti e apparecchi di registrazione video, il 30% agli autori e il 70% in tre parti uguali ai produttori originari di opere audiovisive, ai produttori di videogrammi, agli artisti interpreti o esecutori. La legge affida alla Siae il compito di riscuotere il compenso e ripartirlo agli aventi diritto.
Perdinci… questi soldi non sono delle tasse, lo dicono alla SIAE, e la stessa deve riscuoterlo per ripartirlo agli “aventi diritto”. La domanda, la vera domanda è: come fanno gli autori, coloro che in qualche modo devono essere risarciti dall’uso di copie lecite o illecite? Visto che è la stessa SIAE a spiegare che:
Non è possibile stabilire quante e quali opere verranno copiate su un singolo cd vergine o riprodotte su un qualsiasi apparecchio di registrazione. Se si dovesse pagare per l’utilizzo certo di ogni singola opera, il compenso dovrebbe essere molto più alto. Quindi il legislatore, fin dal 1992, in analogia con altri Paesi in tutto il mondo, ha deciso di permettere la realizzazione di copie ad uso personale di opere di cui si è entrati legittimamente in possesso in cambio di un compenso proporzionale alla capacità di immagazzinare e riprodurre dati.
Questo significa che nessuno può sapere quali e quante opere verranno copiate, quindi non è possibile ripartire i compensi in funzione dell’utilizzo effettivo delle memorie che vengono tassate (ops… non si può parlare di tasse… chiamatela come volete). Viene da sè che – ma noi siamo stolti e ignoranti – i soldi raccolti dalla SIAE dovrebbero essere ripartiti in modo equo (come il compenso) su tutti gli autori. O sbaglio? Dove sbaglio? Se non sbaglio, questo significa – confortati dal fatto che la SIAE dice che non solo gli associati SIAE sono “aventi diritto”, ma tutti (perché così dice la legge, e lo dice la stessa SIAE), hanno diritto alla loro quota di soldi. Magari non saranno tanti, ma qualcosa deve arrivare. Se siamo autori, se pensiamo che queste memorie che da quando il decreto è diventato legge possono essere usate per copie (lecite o illecite) del nostro lavoro, allora anche noi abbiamo diritto ad una parte della “torta”. Come si divide, e specialmente: come può la SIAE pagarci queste somme?
Ohh… già: la SIAE mica che ha il nostro codice IBAN, no? Dobbiamo fare qualcosa per rendere facile questa procedura, per evitare tanta fatica alla SIAE per recuperare questi dati, oggettivamente complicati, che potrebbero creare sprechi che, invece, sarebbe bene evitare per il bene degli autori difesi dalla stessa SIAE (che tanto ha a cuore i giusti compensi che gli autori devono vedersi riconoscere, perché questo è il loro “pane quotidiano”). Ecco quindi l’idea: contattiamo noi tutti la SIAE, mandando un Fax (potrebbe essere usata un’e-mail, ma un fax fa più scena, è più “fisico”, si impila meglio sui tavoli), con una dicitura che più o meno recita:
Gentile SIAE,
con il presente fax vi chiedo di indicarmi la procedura per comunicarvi i miei dati bancari per consentirvi più facilmente l’emissione del bonifico – in qualità di autore – relativo alla parte di mia competenza in relazione ai compensi sul diritto di copia da voi riscossi. Attendo cortesemente un vostro riscontro, vi ringrazio distintamente
Cordiali saluti….
Lo so, c’è qualcosa che non torna: non ci risponderanno, ci daranno dei pazzi. Forse lo siamo, forse siamo stupidi, ma diamine: come vorrei che qualcuno mi spiegasse perché questa richiesta non può essere evasa, o quantomeno – se non possono essere girati a tutti gli autori, quali sono gli “autori aventi diritto” e perché gli altri “non hanno diritto”. Non vorrei tanto, mi basterebbe 1 centesimo, è solo una questione di forma. Quasi quasi lo chiedo al Gabibbo, magari lui può fare qualcosa. Nel frattempo, nel caso vi possa interessare, il numero di Fax della SIAE è: 06 59647050/52