La settimana appena conclusa ha fatto esplodere un caso molto importante, nel nascente mondo dell’editoria digitale, che ci permette di analizzare alcuni elementi che abbiamo discusso spesso – in convegni e anche sulle pagine di questa rubrica settimanale – non tanto perché i nostri lettori (voi) siate nel business dell’editoria, ma perché da questa piattaforma stanno uscendo e usciranno sempre più vincitori persone che lavorano nel mondo dell’immagine, della comunicazione, professionisti che hanno qualcosa da dire, e in questa categoria ce ne sono tanti di voi, in passato poco considerati nelle loro potenzialità (creative o economiche). Insomma, quello di cui parliamo oggi è quasi una rivincita di quanti avevano belle idee, che le proponevano ai grandi e si vedevano rifiutare qualsiasi progetto perché “loro che gestivano questo mercato, dicevano che non avrebbe reso soldi”. E questa storia non è solo una vendetta (poco utile, e anche poco godibile), ma un’occasione grande, enorme da sfruttare immediatamente.
Il caso in questione è la prossima chiusura (il 15 dicembre) del primo quotidiano nato per iPad “The Daily”, un progetto fortemente voluto da Rupert Murdoch che non ha esitato ad investire una cifra incredibile in questo progetto, si parla di oltre 30 milioni di dollari per avviarlo, assunto 170 persone e portato agli occhi del mondo con grande enfasi e promozione, anche durante gli eventi di Apple, si dice che lo stesso Steve Jobs abbia partecipato all’idea con opinioni e consigli. Agli occhi di chi vuole vedere tutto negativo, si tratterebbe di un’ottima occasione per poter dichiarare che l’editoria digitale, specialmente sui nuovi media (iPad, più genericamente tablet e smartphone) sia un business che non rende soldi; molti dichiarano con grande sicurezza, che i tablet servono solo ad alimentare il settore dei games, oppure delle app gratuite, e che non si può certo contare su questo settore per far sopravvivere il mondo già sofferente dell’editoria. Come vedremo, il problema non è nel mezzo, ma nell’approccio ormai vecchio di una classe di imprenditori che – troppo pieni di sè, per avere creato business miliardari nell’era “analogica” – non accettano di ricercare l’umiltà necessaria per comprendere nuovi meccanismi e nuovi equilibri, imposti dall’era digitale.
L’analisi dell’insuccesso di Murdoch e del suo carrozzone (News Corp.) dovrebbe far tremare tutti i grandi, tutti i ricchi, ma dubitiamo che siano in grado di analizzare correttamente il fenomeno, e anche quando dovessero capirlo ne trarrebbero delle conclusioni sbagliate, e specialmente non avrebbero le risorse interne per poter seguire la strada giusta. Nella realtà, News Corp. ha fatto quasi tutto giusto e i lati positivi di questo esperimento rischiano di diventare invece la prova che sia necessario, nel digitale, proseguire con le strade conservative che sono finora state adottate dai gruppi editoriali, ancor più in Italia. Gli elenchiamo velocemente, anche se si sarebbe da scrivere un libro:
- La scelta è stata quella di cambiare la struttura del giornale: The Daily è stato il primo grande progetto editoriale che non è partito dalla carta, portandosi dietro tutto il background grafico e funzionale della carta, ma è nato nuovo, nativo digitale. E’ stato giusto, questa è assolutamente la strada, non certo gli orridi e illeggibili PDF che ci vengono propinati.
- La scelta di far pagare poco il giornale: al costo – 0,99 dollari – di un giornale (quello che costa su tablet il Corriere della Sera, Repubblica, o qualsiasi altro), TheDaily ci dava un’intera settimana di informazione, Al costo di due mesi di abbonamento di giornali tradizionali su iPad, il quotidiano digitale di Murdoch ci garantiva 365 copie all’anno. Ed è giusto: chiunque considera folle pagare la stessa cifra (o quasi) di una versione cartacea per avere delle “copie digitali”.
- La scelta di consentire la condivisione dei contenuti sui social network: il progetto di TheDaily consentiva agli utenti di inviare articoli ad amici e parenti, di condividerli su Facebook, Twitter e altri Social Network. Addirittura, non è stata fatta alcuna azione punitiva nei confronti di un ragazzetto hacker che ha per mesi pubblicato gratis su un sito tutti i contenuti del quotidiano (alla fine, ha smesso, non c’era diventimento se il gigante non si arrabbiava). Grande segno di maturità, di profonda cultura digitale che dovrebbe essere trasferita ai nostri manager nostrani, che ancora credono che “proteggere crea valore”.
Se tutto è stato fatto “nel modo migliore”, perché TheDaily ha fallito? In realtà, non ha fallito nei risultati, ma nel conto economico (proprio nel settore in cui i maghi della finanza dovrebbero non fallire!). A oggi, il giornale ha oltre 100 mila abbonati, un risutato eccezionale, che ogni giorno poteva crescere (ogni mese vengono venduti milioni e milioni di nuovi tablet, e di conseguenza sarebbero cresciuti gli utenti). Solo dagli abbonamenti, News Corp. ha incassato quindi, in un solo anno, quasi 4 milioni di dollari, ai quali bisogna aggiungere i costi della pubblicità che non è stata certo “svenduta”. Per molti sarebbe stata una scommessa vinta, un punto di arrivo sognato e difficile da raggiungere. Ma, con i costi sostenuti e con l’immensa struttura costruita attorno a questo progetto, gli abbonati dovevano essere – a detta del management – almeno 500 mila. Sono iniziati quindi i licenziamenti (qualche mese fa, 50 dei 170 impiegati hanno ricevuto la lettera di dimissioni), e poi la decisione finale di chiudere il progetto. Mi ricorda tanto una quindicina di anni fa, una rivista chiamata “Click” (non ricordo di quale grande editore) che aveva chiuso perché aveva “solo” 8000 abbonati… all’epoca ero editore di una rivista cartacea chiamata Jump, e sarei stato ricco, se avessi avuto 8000 abbonati. Tutto dipende, ovviamente, dalla dimensione della struttura, dai costi, dagli obiettivi.
C’è un altro errore, che ho messo in disparte, anche se sono da sempre convinto che si tratti del principale elemento di un business che tratta l’informazione: la qualità dei contenuti. TheDaily non aveva contenuti così esclusivi, originali e ben scritti da “meritarsi” il pagamento di una quota di abbonamento. E’ calzante questa opinione:
I’ve never seen anyone share a link to something in The Daily saying that we had to go read this great article that would make us want to subscribe. (In fact, I’ve simply never seen anyone post a link to anything in The Daily. – Marco Arment)
Non ho mai visto nessuno condividere un articolo pubblicato su The Daily che ne motivava il valore dell’abbonarsi. (In effetti, semplicemente non ho mai visto nessuno che postasse un link su nulla che fosse stato pubblicato su The Daily)
The Daily era fatto bene, beninteso, ma non era “eccezionale” nel suo contenuto. Ci sono pubblicazioni e articoli che io – e tanti altri – sono disposto a pagare (anzi, con piacere) perché mi arricchiscono di conoscenza e di opinioni; il resto è tutto rumore di fondo, che si può trovare gratis ovunque… anche scritto meglio, a volte. Chi cerca la qualità dei contenuti è anche capace di accettare di pagare una cifra ragionevole per averli, chi cerca solo informazione non è disposto a pagarla perché gli è sufficiente quello che trova gratis. L’editoria a pagamento è fatta per un pubblico raffinato, ma dobbiamo convincerlo e appagare la sua richiesta qualitativa.
Perché difendiamo la teoria che il problema non è il mezzo (tablet, smarphone) o il digitale ad essere per ora non adeguato a fare business? Qualcuno potrebbe accusarci di essere di parte, di difendere qualcosa che – nei fatti – rimane indifendibile. Facile, perché altre realtà questo business lo stanno cavalcando con grande successo, e in molti (noi compresi, che questo mondo lo analizziamo da anni sulla nostra pelle) hanno fatto un paragone con un progetto chiamato “The Magazine”, inventato da un personaggio – Marco Arment – tra i più acuti e intelligenti della cultura digitale, sviluppatore di Instapaper, una delle applicazioni più interessanti, disponibile sia su computer che sui vari device, da iPhone, iPad, Kindle, Android, Nook) per poter salvare contenuti da leggere con calma, quando abbiamo tempo e non in tempo reale quando scoviamo gli articoli in un sito. Marco non è un “editore” classico, ma si è sempre occupato di realizzare soluzioni per rendere più piacevole e semplice la raccolta di contenuti interessanti da leggere. La sua app non è un semplice raccoglitore di link, ma salva i testi in modo da renderli più leggibili sul monitor, come delle belle pagine di testo di un libro (o di una rivista), e quindi il suo approccio non è stato quello del business alla Murdoch, ma è partito dal gusto del leggere, da un’esperienza sui media digitali, dal desiderio di passare da strumento per raccogliere contenuti a creatore di contenuti, che tra l’altro è sempre stata una sua attività parallela: il suo blog e i suoi commenti sono tra i più apprezzati (torniamo quindi alla qualità del contenuti: sarei stato disposto a pagare per i contenuti del suo blog, che invece sono gratuiti, ma sono stato il primo ad abbonarmi a The Magazine, dove non ci sono solo articoli suoi, ma tutti seguono una linea editoriale di qualità).
Perché parliamo di The Magazine? Perché questo progetto ha un elemento comune con TheDaily: nasce digitale, non esiste una versione cartacea, ma forse la storia finisce qui, dal punto di vista dei confronti. Fino a pochi giorni fa, Marco era “l’unico dipendente” del progetto, in pratica se lo è sviluppato da solo, ha creato una piattaforma per pubblicare rapidamente e senza sforzo i contenuti, e tramite la sua enorme popolarità ha fatto conoscere il progetto. L’abbonamento mensile è pari a 1,99 Euro – due caffé, chi li nega a Marco, tra l’altro appassionato di caffè? Noi no di sicuro! – i contenuti sono interessanti. The Magazine praticamente non ha immagini, non ha interazioni, non ha elementi multimediali ed “effetti speciali”. E’ un distillato di contenuto. Quando è uscito, Marco si è dato un obiettivo: per due mesi provo a renderlo sostenibile, se non ci riesco tra due mesi smetto, senza problemi. Insomma, un esperimento, non una missione, e dopo due mesi la conferma: si, ha senso, c’è un ritorno da questo esperimento e quindi… The Magazine ora è un prodotto, non solo un esperimento. Addirittura, di recente è stato dichiarato che il primo vero dipendente è stato assunto, un giornalista con esperienza che affiancherà Marco nella selezione e nella gestione del prodotto editoriale.
Qual è la sintesi di tutto questo? Che i grandi oggi non sono in grado di pensare a progetti che nel digitale possano funzionare: hanno strutture troppo rigide e grandi, pensano che tutto debba passare dai muscoli e non dalla testa. In molti pensano che non serva eccellenza di contenuti e di forma, ma solo struttura. Sono abituati a competere in un mercato dove se sei grande puoi fare quello che i piccoli non possono nemmeno sognare. Murdoch ha perso la sua battaglia (ne aveva persa una in passato con MySpace, riuscendo a distruggere uno dei primi social network di successo, speriamo che ora la nuova versione, ormai non più sotto il controllo di News Corp., possa tornare al suo splendore, perché la nuova veste, che si può vedere in questo video è davvero splendida!), Marco Arment ha vinto, e lo ha fatto con poche, ma fondamentali armi:
- La conoscenza e il rispetto da parte della Rete
- Investimenti molto bassi di partenza
- Profonda conoscenza della cultura digitale e dei suoi strumenti
- Contenuti di elevatissima qualità
Ora veniamo a noi (voi). Se siete creatori di contenuti di valore (immagini, storytelling, idee, comunicazione), allora potete pensare molto seriamente a fare prodotti di valore, in un ambiente in cui essere piccoli è un vantaggio e non un limite. Mettiamo che voi abbiate davvero dei contenuti di elevatissima qualità, e diamo per scontato che abbiate investimenti molto bassi di partenza. Quello che forse vi manca è la profonda conoscenza della cultura digitale e dei suoi strumenti e ancor di più la credibilità da parte della Rete (che sono i vostri potenziali acquirenti). Se avete un progetto (o se abbiamo attivato il vostro cervello proprio in questo momento), potete richiederci un parere e un’opinone sull’effettiva fattibilità. E’ un servizio gratuito, se siete iscritti a JumperPremium, o a pagamento se non siete nostri abbonati (mandateci una mail per sapere come e cosa dovete fare in entrambi i casi). Perché chiedere a noi? Perché abbiamo seguito le stesse logiche che stanno dando risultati, direttamente sulla nostra pelle con la nostra rivista JPM, con altre pubblicazioni che stiamo sviluppando, perché studiamo soluzioni che non sono solo fatte di testo come The Magazine, perché specialmente perché abbiamo una visione delle realtà editoriali e del mercato della fotografia, e siamo gli unici che hanno questa esperienza e la mettono a vostra disposizione…. con serietà, passione, dedizione e competenza. Quello che più ci piace è “essere utili”, ci fa sentire bene ;-)