L’effetto wow, come lo chiamerebbe la nostra cara amica Ela (se non la conoscete, dovreste!), ovvero le emozioni che si sviluppano in modo spontaneo e che creano attenzione e stupore, è la chiave del successo della comunicazione, e non c’è dubbio che la fotografia debba farne uso (e troppo poco lo fa).
In passato, lo stupore, con una fotografia, era più facile e il motivo era quello che il bombardamento dell’immagine era molto inferiore. Per fare un esempio, probabilmente banale, la fotografia dall’alto del Corcovado – la collina a strapiombo sulla baia di Rio de Janeiro con la statua del Cristo – era uno spettacolo che avvicinava magari per la prima volta, chiunque ad una delle viste più belle e mozzafiato del mondo. Ora (oggi), di questa scena abbiamo milioni di fotografie ovunque: basta guardare qui per rendersene conto. E, se non bastassero le foto, ci sono i video, le panoramiche a 360 gradi, eccetera. E’ difficile stupire, ma è una ricerca sempre più necessaria, il pubblico è sempre più ricco di “cose viste” e quando qualcosa lo abbiamo visto per tante volte, non ci stupisce più: l’occhio umano, nel bene o nel male, è uno strumento di difesa, è all’erta quando qualcosa lo stimola, si rilassa quando conosce già: è la storia del gridare Al lupo, al lupo… alla centesima volta nessuno si preoccupa; l’occhio ci mette ben meno di cento volte.
Certo, c’è la poesia, che può essere struggente e dirompente, ma la poesia (o la sua versione visuale: i maestri della fotografia ce ne hanno regalate tante, di “poesie”), per capirla, per crearci emozioni bisogna essere predisposti, bisogna soffermarsi. Non voglio essere pessimista, ma lo spazio per la poesia si è assottigliato (anche se non scomparso: se si è davvero bravi, si potrà trovare anche un pubblico di nicchia, ma bisogna anche essere bravi a trovarlo, non solo a fare poesia). Se vogliamo rivolgerci ad un pubblico allargato, dobbiamo capire come colpirlo, come guadagnare la sua attenzione, e forse nella rincorsa quotidiana per risolvere problemi, si perde l’allenamento e la ricerca e anche la voglia di scoprire nuovi effetti wow. Ancor di più, si cade nel loop che porta a dire… “con quello che mi pagano, non ne vale la pena”.
Non è vero che non ne vale la pena… e specialmente il fine non giustifica i mezzi. Se abbiamo scelto la strada della creatività, dobbiamo insistere perché la creatività è fatta di innovazione, di cambiamento, di desiderio di stupire, di emozioni da provocare. Solo in questo modo si riesce a trasferire quel valore percepibile (e acquistabile) dai clienti. In un momento di depressione che si vive, specialmente in questo momento e ancor più specialmente in questa Italia, piena di insicurezze e di mancanze di valori, i valori veri, che scuotono le emozioni e che creano stupore diventano adrenalina, diventano esplosione di entusiasmo, diventano iniezione di ottimismo. E le persone cercano questo, ne hanno bisogno, lo pretendono, anche inconsciamente (perché non hanno a volte nemmeno più l’ottimismo per pensarlo).
Il percorso della creatività deve seguire strade allargate: molte volte lo stupore può nascere cambiando il contesto dell’azione, creando sensazioni che non sono ovvie nemmeno nella fruizione. L’ispirazione deve arrivare dai mondi che oggi investono di più e meglio in immagine, e poi cercare di tradurre queste sensazioni in qualcosa di attuabile e scalabile alle realtà che possiamo raggiungere. Oppure possiamo trarre esperienza da queste emozioni, per creare idee nuove che si ispirano. Volete qualche esempio?
Quanti voi hanno sentito parlare e visto esperienze di video mapping? Forse pochi, eppure sono spettacoli fantastici, che fanno uso di foto, di video per creare delle proiezioni che hanno dell’incredibile perché vengono vissute “da dentro”, e il pubblico fa parte dello spazio fisico all’interno del quale avviene la proiezione. Gli spettacoli di video mapping più incredibili usano le facciate di palazzi (ancor meglio se sono storici, castelli, palazzi antichi, per fare un contrasto ancora più entusiasmante) come “supporto”, anche se per fare questo serve un impegno molto elevato (a parte i permessi, servono proiettori luminosissimi, molto costosi e complesse tecnologie), ma in un interno è molto più gestibile: in una sala, in una discoteca, in uno studio l’impegno è molto inferiore e realizzabile (vi spiegheremo come farli!). Volete vedere qualcosa? Partite in questa esplorazione da quelli che pensiamo siano i più bravi, i più innovativi e anche i più “storici” (sono anni che ci lavorano e via via hanno trasformato i loro spettacoli in vere esperienze multisensoriali e interattive): è lo studio Nuformer, (è loro l’immagine che pubblichiamo all’inizio di questo post) guardate un esempio, per il lancio di un televisore Samsung:
Spettacolare, vero? Impossibile da realizzare, senza un budget stellare? Forse no, e abbiamo incluso dei contenuti per spiegare come fare queste incredibili cose anche in un contesto più “alla portata di tutti” su JumperPremium (se volete, potete abbonarvi entro la fine di aprile a condizioni vantaggiose), e comunque fate conto che queste tecniche fanno uso di tantissime immagini: molte sono 3D, ma molte sono fotografie “vere” ed è quindi un campo sul quale si potrebbe lavorare.
Un altro esempio fantastico è stato realizzato qualche giorno fa durante gli eventi del Salone del Mobile a Milano. Heineken, azienda che ha sempre lavorato con grande creatività nella creazione di esperienze multimediali, interattive ed “emotive” molto innovative, ha sviluppato un progetto che ha creato HEINEKEN IGNITE, la prima “bottiglia interattiva”, che reagisce al ritmo della musica, illuminandosi
Volete vedere l’effetto? Guardate il video di presentazione:
Certo, anche in questo caso, abbiamo mostrato un esempio “estremo”, c’è uno studio dietro un’idea del genere davvero incredibile: se interessa a qualcuno, qui c’è un pdf con la storia del progetto. Qualcuno dirà che non è mestiere di un fotografo quello di progettare o tantomeno realizzare una bottiglia che si illumina a ritmo. Vero, ma sta al fotografo o all’esperto di comunicazione creare emozioni che possano coinvolgere gli utenti e portare la loro attenzione verso il prodotto che si vuole “raccontare” (una campagna pubblicitaria, una brochure, un video, un album di matrimonio). In attesa di avere tecnologie, magari dai partner tecnici che producono “carte” e sistemi di “stampa” che possano creare interazioni con l’utente (se hanno messo un microchip in una bottiglia, potrebbero inserirlo anche su un foglio di carta, no?) si può pensare che già oggi esistono strumenti che possono reagire al tocco, allo sguardo, alla voce; stiamo parlando ovviamente delle tecnologie che trovano nell’interazione la loro emozione: sono anni che ne parliamo, sono anni che cerchiamo di raccontare i percorsi che i creativi e il mondo dell’immagine possono trarre dal vantaggio dei tablet e degli smartphone per vendere e far fruire emozioni di forte impatto. E’ il nostro pane quotidiano, e cerchiamo ormai di raccontarlo non più e non solo dal punto di vista tecnico (facilmente risolvibile, a tratti addirittura banale), ma da quello dell’effetto WOW, che invece sembra non essere importante a tutti coloro che cercano solo di mostrare come si premono dei tasti. I tasti delle emozioni (e anche del business, di conseguenza) non solo quelli del software, sono quelli della sensibilità, del linguaggio, della capacità di capire come le persone reagiscono, quello che vogliono, quello che sognano.