Persino i “volantini dei supermercati” migliorano nella food photography
Ci sono nuove esigenze, nuovi consumatori (e quindi nuovi prodotti da fotografare e promuovere)
guardatevi attorno, sono anni (ma ogni giorno questo fenomeno cresce) che un certo tipo di utenti, sempre di più, guardano all’alimentazione con una nuova visione, più “salutare”, ma addirittura per certi versi un approccio estremista, per filosofia di vita (per esempio, i vegani), o per problemi alimentari (per problemi legati al lievito, al lattosio, eccetera). Questa categoria di utenti (ci si può riconoscere, oppure ci si può scherzare, come in questo video) è un mercato che sta diventando così grande che tutte le aziende stanno realizzando gamme di prodotti a loro dedicate, e ristoranti, chef, locali, fiere, eventi stanno allargando la propria visione verso questo canale. Il “problema” è che questo target è raffinato, ama i dettagli, quello che “sa di buono”, non si accontenta, non basta inserire un “timbro” o una “scritta” ed è fatta. Il mercato più vivace, più desideroso e che richiede nuova produzione visuale (non solo fotografia) ha bisogno di un alto, altissimo livello qualitativo.
Il fumo, nella food Photography, è… “old style”?
ad esclusione di pochi, specializzati o semplicemente “attenti” alle tendenze, quello che notiamo è che in giro, sui portfoli e nei canali di promozione – la fotografia di food in Italia, molto comune perché il cibo è comunque uno dei settori più forti della nostra economia, quindi presente spesso nel lavoro dei fotografi – è spesso poco contemporanea: dal punto di vista del linguaggio, legata a meccanismi e a tecniche che sono davvero poco contemporanee. Un esempio specifico, che fa sorridere gli esperti, è per esempio il “fumo”… negli anni ’90 era cool, anzi… ricercato, oggi se si mette il fumo (o si richiedere) si ride sotto i baffi. Un cibo appena impiattato con cura e realizzato (ripreso) con qualità deve dare l’idea di essere stato appena preparato, ma non ha bisogno di “didascalie” come il fumo. La domanda è: premesso che anche farlo, il fumo, non è sempre facile (nel senso… farlo bene), ma se anche non cadiamo in questo piccolo “trucco vintage”, sappiamo davvero come rendere “appena preparato” un piatto? A proposito, usate ancora il termine “Appetizing” che andava tanto di moda tanti anni fa tra i pubblicitari? Beh, attenzione: oggi sarebbe una parola trappola che vi farebbe perdere credibilità ;-)
Food Photography: questione di fotocamera o di luce?
Non ci sono dubbi: la fotografia di food, specialmente quella più contemporanea, ha nella luce il suo punto essenziale. Lo dimostreremo, usando gli estremi più estremi della fotografia, e verranno realizzati – durante il corso – vari set per capire quanto e come la luce, usata davvero con sapienza, fa la vera differenza. I pixel sono sempre meno importanti nella loro quantità: questo lo si sa bene, lo sanno tutti, ma poi tutti parlano solo delle meraviglie dei sensori multi dotati. Della luce nessuno parla, eppure il mondo dell’illuminazione è davvero la cartina al tornasole che distingue il vero esperto dall’improvvisato, e no… anche se la Apple ci dice che “oggi si possono realizzare effetti di luce” con l’intelligenza artificiale del software dell’iPhone 8/X… non è (ancora) così. La luce, nel food, è tutto, e quasi mai è quella che viene comunemente usata, non si usa luce “comoda”, non basta “accendere la luce”, non bastano un bank e un pannello. E, no, non funzionano le app, i preset di Lightroom… la “maledetta luce” è qualcosa che si deve gestire e raffinare in ripresa (se volete affrontare la vera RIPRESA, quella economica). Ok, c’è ‘un’alternativa, ma è complicata: il 3D, ed è anche uno dei settori che meno si presta per sostituirsi alla fotografia tradizionale (architettura, design, automobili… tutto questo ormai è quasi solo 3D), e in ogni caso un buon direttore della fotografia nel 3D serve, quindi non si esce dal problema: bisogna essere eccezionali nel gestire la luce.