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Fotografare, come giocare a Monopoli (almeno per i clienti)… e quindi ecco a voi (P)hotopoly!

A volte, la professione dei fotografi viene vista come un gioco. Molte persone pensano (purtroppo, anche molti tra gli stessi fotografi) che scattare fotografie sia un diletto, il frutto di un’ispirazione, e non un vero mestiere. Nell’immaginario comune, il fotografo usa apparecchi costosi (e quindi se li può permettere… altra considerazione sul costo eccessivo dei servizi fotografici, agli occhi dei clienti), ma sostanzialmente non fa molto altro che fare “click“, e poi la macchina “costosa” (e “Photoshop”, che aggiusta tutto), fanno il resto. Parlavo qualche giorno fa con una persona che si stupiva che taluni potessero anche metterci “mezz’ora a fare una fotografia“, e non si è scomposta quando ho rilevato che ci sono fotografi che possono metterci anche due giorni per realizzare un unico scatto… immagino che fosse poco interessata al come si fotografa nel settore dello still-life o in quello della foto naturalistica (solo per citare due categorie che richiedono ore e ore di lavoro o di appostamento).

Il fotografo, quindi, non è un mestiere, agli occhi di molti clienti, e quindi ci sta bene la provocazione dell’immagine che proponiamo, che ironicamente ha preso la base del famoso gioco “Monopoly” e lo ha trasformato in “Photopoly” (è un’idea che abbiamo scoperto qui), inserendo per ogni casella una segnalazione, un evento o un impedimento del percorso quotidiano di un fotografo. E’ davvero divertente, e se volete potete scaricare una versione a maggiore risoluzione da qui: magari potete stamparlo e giocarci con i colleghi e amici nelle sere di Natale. Dopo il gioco, però, forse dobbiamo tornare ad essere seri, perché il problema di fondo è che se – davvero – il nostro mestiere viene considerato un “gioco”, allora le cose si mettono davvero male. Un “gioco artistico” è pur sempre un gioco, e se non è un “gioco d’azzardo” non è certo cool: perché pagare qualcuno che, di fatto, non lavora, ma semplicemente “gioca”? Non prendete troppo sul serio questa provocazione: sapete bene che arriva da persona che, al contrario, sa bene quanto sia complesso, impegnativo, responsabilizzante il mestiere di un fotografo… ma io sono quello che sta dalla vostra parte (anche se a volte mi tocca il ruolo dell’avvocato del diavolo). Se è il vostro cliente che lo pensa, invece, c’è da risolvere una bella complicazione.

Prima di tutto, ha senso evidenziare che molte delle colpe sono di chi questo mestiere (mestiere, appunto) lo svolge. Molti fotografi si sono creati e costruiti addosso un’immagine da gigioni, da artisti “alternativi”, da istintivi… tutto quello che non rappresenta un ruolo da “professionisti”. Lo si vede dagli autoritratti che si fanno: facce buffe, situazioni grottesche, oppure pose da veri “maschi” o da “sognanti fanciulle”. Avete mai visto un ritratto di un manager? (probabilmente si, magari addirittura le realizzate per conto di alcuni clienti). Manager che sono quelli che muovono l’economia, le aziende, che devono apparire “affidabili” e “affabili”… Sono come vi mostrate voi? Per caso si “nascondono” dietro il loro monitor per non essere visti? No, vero? Ma allora perché in molti si amano fotografare o far fotografare davanti alla loro Canon, Nikon, Hasselblad? La scusante non è accettabile: sono abituato a stare dietro alla fotocamera… non davanti. E perché… l’amministratore delegato dell’azienda è abituato a farsi fotografare? No, però si impara, e un fotografo più di chiunque altro dovrebbe sapere che l’immagine corretta vende meglio. Ma, forse, i fotografi sono i primi a pensare che il loro non è un mestiere, è un gioco. E allora… tiriamo i dadi per vedere se arrivate a Bathroom Mirror Portrait Avenue (una delle caselle del Photopoly, letteralmente: Viale del ritratto di fronte allo specchio del bagno, e già che ci siete, mettete bene le luci e fatevi un ritratto che possa dare un senso di affidabilità, di competenza, di sicurezza, di professionalità).

Ma passiamo oltre il ritratto: un cliente arriva (finalmente) dal fotografo, e come nasce l’approccio? Questo cliente trova da subito un ambiente e una sintonia sulle procedure? Le aziende – ormai tutte – sono gestite da protocolli definite da una certificazione di qualità; ogni step segue un iter procedurale appreso a memoria, ogni step è collegato all’altro per consentire un’ottimizzazione degli sforzi, il sempre costante controllo dello stato dei lavori, impedire ogni errore e prevedere ogni più piccola variazione rispetto alle previsioni. Forse è un po’ noioso, poco creativo, ma in realtà l’ossatura del lavoro permette di dedicare più tempo al lavoro vero e proprio (nel caso del fotografo, la creatività… quindi mica sparisce anzi: si cerca di lasciare più tempo a questo, che non ad inseguire il lavoro, a riparare ai danni causati dagli imprevisti, a rincorrere il tempo perso e dove si può risparmiare tempo, se non nel lavoro della creazione?). Non conosco alcun fotografo che possa vantare un bel quadretto con la certificazione ISO (che non è la sensibilità da impostare sulla fotocamera….) in bella mostra nella sua anticamera dello studio, e nemmeno un piccolo logo dell’ente certificatore sulla carta intestata, ma forse ci sono… se ci sono sono però pochi! Un cliente che ha investito e che crede nell’importanza della “qualità” (non quella dei megapixel, ma quella che ha a che fare con il prodotto che viene proposto) guarda con poca fiducia un professionista che non può offrire le medesime garanzie. E questo non lo porta a credere di avere di fronte “un’azienda” e nemmeno un “professionista“, ma una persona che non può garantire qualità, e che forse “passa la giornata a fare scatti, e a giocare (beato lui)“, e come tale tende a dare poco valore al lavoro che viene offerto. Sul tabellone, tornate indietro alla casella OnLine Forum, dove potrete seguite le istruzioni degli amici di Facebook e chiedere loro come comportarvi. Magari, prima di arrivare ad affrontare una certificazione “ufficiale”, potreste trovare delle procedure di approccio, di preventivazione, di accettazione delle condizioni contrattuali che, magari con un tono non troppo formale (potreste non apparire credibili, di colpo), mettete in chiaro non solo i vostri “diritti”, ma specialmente le vostre responsabilità e gli impegni che prendete. Di solito i clienti gradiscono questa trasparenza e serietà, e per un attimo potrebbero anche pensare che forse anche quello dei fotografi è “un mestiere” ;-)

C’è poi la questione, complessa, della concorrenza e dei prezzi. Quando andiamo dal medico, o da un professionista qualsiasi (anche un idraulico), non ci capita mai di chiedere preventivamente “Quanto mi fa, all’ora?”, ma subiamo la parcella (per modo di dire… spesso il foglio di carta nemmeno c’è), e addirittura ringraziamo. Con i fotografi, i clienti entrano e sanno già quello che vogliono spendere, l’unico che non lo sa è il fotografo, che per di più non ha grande margine di contrattazione: di solito può dire di si, oppure aspettarsi che i clienti si alzino per andare da un altro “professionista” che, di sicuro, troveranno dietro l’angolo ad un prezzo migliore. Se non siamo capaci di far accettare o giustificare il nostro prezzo, come speriamo di essere visti come dei “professionisti”? Agli occhi dei clienti, siamo quelli che stanno giocando, mica che fare delle foto “costa soldi”… nella mente di molti è proprio così. Questo discorso è molto vissuto con passionalità e con dolore, ma di solito si arriva ad una conclusione poco utile: “i clienti non capiscono la qualità“. Come abbiamo detto sopra, il termine “qualità” è privo di valore, se non si approfondiscono le basi della valutazione della qualità stessa. E se “il cliente non capisce“, come e cosa facciamo per farglielo capire? Deve credere e fidarsi? E’ una “fiducia” che costa troppo, se non si riesce a dare delle garanzie. Leggevo poco fa un articolo che spiegava perché i giornalisti dovrebbero curare meglio il loro “brand”; perché i fotografi dovrebbero essere da meno? Cosa fanno per poter costruire la loro “fama”, il rispetto e il posizionamento sul mercato derivato da tutto il lavoro che hanno fatto negli anni? Sembra che ogni volta, ogni servizio, si riparta da zero. Se è così, significa che quello che avete fatto (tanto o poco che sia) non non è servito al vostro “brand”, e quindi dovete cambiare qualcosa. Potete andare direttamente, senza passare dal via, alla casella  del Photopoly chiamata “Go Read Your Camera Manual” (Andate a leggere il manuale della vostra fotocamera, traduzione letterale… e già che ci siete andate a leggere anche un bel manuale di marketing).

Come vedete, anche un gioco può mettere in luce esigenze di cambiamento e di nuovi approcci. Non possiamo essere arrabbiati se ci pensano dei “giocherelloni” se effettivamente ci presentiamo così. Non vogliamo mettere a tutti giacca e cravatta o abito lungo, ma è già un bene buttare nel cestino l’orrido gilet da fotografi (lo avevamo detto anni fa… lo ribadiamo), iniziare a capire come ci si muove per creare un’azienda che funziona, senza perdere tempo a costruirci quel personaggio alla moda, che è in realtà terribilmente fuori moda. Osserviamo il mondo che funziona, quello che si muove, quello che corre verso il futuro.

Un importante sociologo, il professor Domenico De Masi, un giorno ha detto una cosa che aveva a che fare con il mio amato Brasile. Diceva che i tre Paesi che stanno crescendo di più in questi ultimi anni sono la Cina, l’India e il Brasile. I primi due, che corrono più velocemente, hanno accettato di perdere parte della loro cultura storica per avvicinarsi ai costumi e ai meccanismi della globalizzazione. Il Brasile corre un po’ meno velocemente, ma i brasiliani hanno voluto rimanere “brasiliani” in tutto. Bene, vorremmo vedere i fotografi correre verso il futuro senza perdere i loro valori e la loro storia, ma pur sempre correndo… come i brasiliani. E, per finire, visto che sono passato dal sito del Professor De Masi (che saluto con simpatia, nella speranza che si ricordi di me, abbiamo fatto vari convegni insieme), riporto la frase di Paul Valery che c’è nella sua Homepage:

Bisogna essere leggeri come una rondine non come una piuma

A proposito, nella home c’è una bella foto (manca il nome dell’autore… peccato), che mostra il Professor De Masi. E’ credibile, fatene tesoro quando vorrete rifare il vostro autoritratto!