In questi tanti mesi di lockdown, di connessione a distanza, di webinar, che ci hanno permesso di entrare in contatto con un universo incredibilmente vasto di soluzioni (molte di queste diventate parte di un corso che abbiamo realizzato e che ha ottenuto un enorme successo, se volete potete trovarlo qui), abbiamo anche percepito con mano una serie di limitazioni sulle quali bisognerà riflettere.
Una delle questioni che più ci ha fatto riflettere è che serve reinventare in concetto di comunicazione a distanza sui dispositivi digitali in un’ottica realmente bidirezionale, mi spiego meglio: quando siamo in videochiamata con qualcuno, c’è un imbarazzo di simmetria visiva; guardiamo le persone sullo schermo, ma per guardarli negli occhi dobbiamo guardare la fotocamera/webcam, che può essere posizionata in modo molto diverso rispetto agli occhi della persona con la quale stiamo parlando. Quindi, banalmente, quando qualcuno parla con noi, noi guardiamo il centro dello schermo e la persona pensa che stiamo abbassando gli occhi, quando vogliamo parlare cerchiamo la “camera” che può essere in alto, in basso, a destra o a sinistra, e le persone in quel momento ci “vedono negli occhi” ma noi non li vediamo più, perché stiamo guardando l’obiettivo, non la faccia che è inquadrata nello schermo.
Chiaro che questo fa parte di un esercizio che è ben conosciuto da chi fa televisione, si impara a parlare “in camera” e magari si fa usa del teleprompter (per esempio, questo che si abbina ad una fotocamera, o questo, migliore perché più grande, che usa come schermo un iPad) per evitare di abbassare gli occhi, di avere sotto controllo quello che si sta dicendo, di quello che bisogna dire (poi che si legga o meno, poco importa, può essere anche solo una traccia). La cosa importante va però oltre a questo, perché possiamo immaginare che nella maggior parte delle situazioni un dialogo non della essere un “copione” da leggere (almeno lo speriamo), quindi il teleprompter forse non serve, ma serve “guardare le persone in faccia”. Lo dicevo proprio l’altro giorno, in un webinar dove parlavo ad una platea di avvocati ai quali spiegavo l’importanza della comunicazione a distanza, e in un mestiere come quello dell’avvocato (ma anche del consulente, del professionista, del venditore… di tutti), come guardare negli occhi le persone, leggerne le sfumature delle espressioni, anticipare gli sguardi, imporre la propria personalità visualmente?
In quel momento, mi era chiaro che il design della struttura di uno schermo e della webcam è sbagliato: serve catturare lo sguardo nella posizione coincidente con gli occhi della persona con la quale si sta parlando. Ho pensato, da “tecnico” che sarebbe necessario un sistema di ripresa capace di riprendere “attraverso lo schermo” e poi anche un sistema di riconoscimento facciale per spostare la camera verso il dove spostiamo lo sguardo (pensate alla videata di una videochiamata su Zoom o simile, con tante facce, dobbiamo guardare negli occhi la persona con la quale stiamo parlando.
Mentre pensavo a questo, come un percorso futuribile, mi sono scontrato con degli studi e brevetti che effettivamente stanno lavorando in questo senso, almeno dal punto di vista della tecnologia di camera “dietro lo schermo”. Per esempio, questa azienda sta lavorando da parecchio tempo con i produttori di smartphone asiatici (Oppo, Xiaomi, eccetera), si dichiara non ancora “pronta”, ma che di sicuro è una strada che è già ad uno stadio avanzato, e che sarebbe bello vedere non solo sugli schermi piccoli (perché sono quelli che causano il minore problema di “errore di parallasse”, termine antico ma che chi si occupa di fotografia da anni può ben capire), ma sugli schermi di media e grande dimensione.
Siamo pronti a guardare al mondo dell’immagine come a qualcosa di più ampio, dove le competenze maturate possono essere il punto di partenza per un viaggio più completo e complesso? Dove le tecnologie che conosciamo si integreranno con quelle del futuro? Anche le fotocamere che usiamo, non gli smartphone, hanno lo stesso problema: servono a catturare in modalità unilaterale una scena, non a comunicare bilateralmente… possiamo guardare negli occhi chi inquadriamo, usando il mirino reflex, o mirrorless, o anche solo lo schermo LCD dietro la fotocamera, ma non possiamo trasferire il nostro sguardo… le fotocamere non sono strumenti di dialogo visivo… ci avete mai pensato? Siamo (siete) specialisti nel tracking con l’autofocus, per “agganciare un soggetto” in rapido movimento, ma avevate mai pensato ad un tracking davanti ad uno schermo? Siete bravissimi ad individuare una espressione di un volto per catturare una immagine “magica” ma non pensate mai al fatto che la visione “al contrario” deve portare la vostra espressione verso chi sta dall’altra parte dello schermo; prendete in giro tutte le ragazze e ragazzi (di ogni età) che passano gran parte del loro tempo libero a farsi selfies, ma non vi create il problema di come voi potete comunicare con la vostra immagine… e non certo per “vanità” (anche se la vanità è un elemento che, se gestito correttamente, diventa una capacità di sapere come comunicare visualmente il meglio di noi stessi). Vedete che, in un mondo in cui la comunicazione visiva è sempre più il centro delle nostre attività, diventa fondamentale essere esperti di una bidirezionalità della stessa?
Non siamo lontani, e in questo momento mentre si attendono le evoluzioni tecnologiche (che arriveranno, presto, e saranno disponibili per tutti) è bene pensare che i professionisti dell’immagine possano pensare al come comunicare e far comunicare, vi possiamo assicurare che questi saranno campi di grande attività professionale, di consulenza, di soddisfazione. Siamo di fronte – lo abbiamo detto e ribadito da diversi mesi – ad una rivoluzione che coinvolge il business, la società, il nostro modo di relazionarci. Cambiano e cambierà ancora di più la concezione di “eventi” (pubblici e privati), di fare formazione ed informazione, di lavorare. Pensare a questi dettagli, che in molti considereranno “irrilevanti”, darà solo più occasioni a chi invece vorrà occuparsene. E in questo percorso non vanno tenute in disparte le tecnologie di realtà aumentata, realtà virtuale e di Mixed Reality, il mondo degli ologrammi e delle trasmissioni di dati/immagini a distanza, usando le connettività ad altissima velocità (le reti 5G partiranno in sordina, ma arriveranno a velocità di decine/centinaia di volte superiori a quelle attuali).
A dimostrazione che i mondi si uniscono, le strade si incrociano, ho trovato molto interessante questo commento, di Valentino Megale CEO della start up Softcare Studios dedicata allo studio di soluzioni di Realtà virtuale nel mondo della salute, vi consiglio di leggerlo:
“Il cervello è come un muscolo, – ha dichiarato – solo che invece di volere variabilità di stimoli meccanici ha necessità di nuovi stimoli sensoriali. Se vogliamo semplificare all’estremo potremmo dire che la VR è una palestra per la mente. La piattezza dello schermo restituisce un’esperienza sensoriale che è lontana dalle dinamiche di percezione naturali del cervello. Potremmo quasi fare un parallelismo: il digitale, attraverso lo schermo, sollecita il cervello un po’ come i muscoli vengono sollecitati da un elettrostimolatore. Il virtuale, al contrario, è paragonabile al sollevamento pesi: associamo alla stimolazione muscolare tutta la complessità del movimento”.
Buon viaggio, sempre più stiamo disegnando questo viaggio, sempre più è nitido nella nostra mente, e le opportunità anche creative (ma ancor di più di business) le stiamo vedendo con chiarezza. A presto, gli annunci sulle conclusioni su tutto questo, sarà un grande evento!