Uno dei malesseri che sembrano essere ricaduti sulla fotografia professionale è la perdita di valore e di spazi della fotografia editoriale, territorio per chi inizia, per chi fa ricerca, per chi vuole proporre uno stile. Da sempre (non è vero… diciamo “da tanto”) si guadagnava poco, ma c’erano tante soddisfazioni e si potevano seguire dei percorsi culturali e creativi interessanti se si entrava nel “feeling” del picture editor, del direttore, della redazione. Ai “miei tempi”, solo per fare un esempio, c’è stata la grande accoppiata della testata Moda (Eri-Edizioni RAI) con Giovanni Gastel, un successo eccezionale.
La fila dei “colpevoli” sembra infinita: l’aumento del costo della carta, della stampa, della distribuzione, ma anche il calo di copie vendute in edicola, la crisi della pubblicità che riduce gli introiti, oppure Internet che “ruba” le notizie e ne impoverisce il valore. Probabilmente tutta questa lista ha contribuito alla perdita di un mercato e di un valore globale, ma c’è qualcosa in più: una colpa di una classe dirigente nel settore editoriale che ha guardato solo alcuni obiettivi e ne ha tralasciati (o non compresi) altri.
Questa sensazione, che ovviamente abbiamo in tanti e da tanto, si è materializzata ed è diventata oggetto di questo Sunday Jumper a causa di due elementi (chi ci segue, sa bene che sono spesso le intersezioni di elementi che ci portano a soffermarci e ad approfondire): il primo lo abbiamo trovato in edicola, il secondo sul web. Partiamo dall’edicola, che è ormai luogo che frequento meno, sebbene stia comprando sempre più riviste da quando ho l’iPad, e questo è già un elemento di valutazione importante. Ma sono entrato in una di quelle edicole dove si entra e si possono sbirciare e sfogliare le riviste. Sono stato catturato da una rivista che – in altre situazioni – non avrei mai lasciato lì: l’Europeo, con 150 immagini degli ultimi dieci anni (2011-2010). Per chi è appassionato di fotografia e di informazione, sarebbe imperdibile, giusto? E poco importa il suo costo, 7,90 euro, che si avvicina al prezzo di un libro e non di una rivista. L’avessi vista in un’edicola normale, di quelle dove si sbircia con gli occhi e si chiede, l’avrei comprata prima di aprirla ma, come detto ero in una di quelle edicole-negozio, e l’ho presa tra le mani, ho aperto a caso e… ho visto come era stampata, su carta povera e con poca cura. L’ho lasciata lì… non trovavo giusto che così poco amore venisse premiato, e mi sono ripromesso di parlarne proprio in questo spazio.
Il secondo “tassello” però è arrivato dal web, dal sempre eccellente “aPhotoEditor“, una delle rubriche che rendono il web un’esperienza impagabile (e non pagata). Scritto in data 10 febbraio, quindi tre giorni fa rispetto a noi, l’articolo si domanda quello che ci siamo domandati noi in occasione della vista del numero dell’Europeo “La fotografia editoriale è morta?“, che analizza il fenomeno giungendo alla nostra stessa considerazione, ovvero che la fotografia editoriale è viva, vegeta e anche vitale, quello che sta morendo (è morta) è l’editoria come l’abbiamo conosciuta in molti di noi. E torniamo ai “problemi” iniziali, e alle responsabilità degli editori, che hanno usato le pagine delle riviste inserendo – come diceva il mio primo datore di lavoro in questo settore – degli articoli in tutte quelle pagine che purtroppo non potevano riempire di pubblicità. E che non hanno capito che il “quasi-costo-zero” della propagazione dell’informazione attraverso i blog e i social network ha armato chiunque di strumenti per poter comunicare, fare informazione e fare “editoria”. Pochissimi, tra i grandi, sono stati in grado di compiere il grande passo evolutivo, tra questi il sempre eccezionale “Big Picture” del Boston.com (diventato punto di riferimento importante ed autorevole del fotogiornalismo di qualità), ma poi quello che si deve segnalare è una sequenza quasi infinita di siti e “luoghi” virtuali che possono essere considerati la vera nuova “editoria” da “The Sartorialist“, tanto per citare quello forse più famoso, a “The Blonde Salad” dell’italianissima (e giovanissima) Chiara Ferragni, che si permette ormai di essere un personaggio di moda e non solo che “parla di moda”, in questi giorni è a New York per la settimana della moda… non male per una studentessa di 23 anni.
Il pubblico non segue più le riviste perché le “cose” succedono on line, sono più fresche, sono più autorevoli anche perché gli “editori” sono più aperti al dialogo, al confronto e alla discussione. Quello che fanno non viene racchiuso in un contenitore che non solo invecchia, ma è frutto di un lavoro di selezione che non risulta convincente, che troppo spesso è frutto di compromessi commerciali, o di produzioni di scarso valore. Certo, anche i blog e i social network hanno tanti difetti, ma sono tantissimi, e si possono selezionare, si possono seguire più facilmente (Feed, Facebook, Twitter) e quindi anche giudicarli in tempo reale: se non valgono, si abbandonano, se uno offre qualcosa di meglio viene privilegiato., non costano e non chiedono… semplicemente ci sono. E, incredibile, se sono “centrati” ed interessanti, permettono anche di guadagnare soldi.
L’editoria “vera” è morta? Se continua così, si… almeno nel suo ruolo di proposta innovativa e di qualità (e di punto di riferimento). Certo che sulle riviste di moda (siamo caduti sull’argomento moda, ma lo stesso discorso è attuabile in tanti altri settori) ci sono i grandi fotografi, ma come è già successo nella musica, i grandi potrebbero anche uscire dagli schemi e diventare loro stessi punti di riferimento per lanciare le mode, per creare tendenze, per fare “opinione” e informazione. Il pubblico non segue più le strade del passato, e quando c’è di mezzo il digitale e la tecnologia le evoluzioni sono veloci. I giganti posso sbriciolarsi, ne sa qualcosa Nokia che l’altro giorno ha annunciato la collaborazione con Microsoft nel tentativo di recuperare terreno in un settore della telefonia (gli smartphones) che doveva essere stabilmente nelle sue mani, dall’alto della sua leadership, e che invece si è vista strappare via da “ragazzetti” come RIM (Blackberry) e Apple. Errori di valutazione, presunzione, sicurezza di essere inattaccabili; in tre anni il gigante ha cambiato tre/quattro volte strada tecnologica (Symbian, MeeGo – sistema operativo basato su Linux che doveva essere la vera alternativa nuova e che prima si chiamava Maemo, poi diventata appunto MeeGo quando si è unita al progetto Moblin di Intel – e ora Microsoft) e ora le voci sono quelle che Microsoft, che ha messo un suo “uomo” al comando della società finlandese, se la mangerà per unire software e hardware sotto un unico controllo. Insomma, i giganti possono fare queste unioni, per stare in piedi, ma la corsa dell’innovazione va avanti in modo fluido e veloce. Snella…
L’informazione corre sui fili dei social network, si propaga con link, con tracce digitali che bisogna imparare a gestire, le foto si scattano con i cellulari, i video si riprendono con videocamerine da 100 dollari, il giornalismo si fa con una nuova generazione di giornalisti, definiti “Digital Citizen” che sono già nel luogo dove le cose succedono, che ne percepiscono sensazioni e che sanno dove andare a cercare le notizie, che poi hanno bisogno solo di una connessione per distribuirla in tutto il mondo, in un instante. Un “Grande Fratello” globale, sempre connesso, sempre pronto, sempre dinamico. L’altro giorno vedevo ad un telegiornale una ripresa di una piazza in Egitto con i dimostranti, ripresi da una troupe direttamente dal terrazzo di un albergo di lusso, dove i giornalisti risiedevano. Un po’ troppo facile, un po’ troppo distaccato, un po’ troppo “videogioco”, no?
Dove finisce la professionalità, in tutto questo potere spostato sulla “tribù” degli utenti digitali armati di mezzi poveri e probabilmente di competenze non elevate, di auto-formazione, di solo “istinto”? Non c’è più spazio per giornalisti bravi e competenti, sensibili e colti? Non c’è più territorio per fotografi e videomaker capaci di riprendere e raccontare storie con competenza e con “occhio esperto”? C’è, eccome, ma sembra che gli editori non sappiano come usarli, e come trarne vantaggio economico. Non sanno come unire la forza dell’informazione polverizzata, perché non riescono a creare aggregazione e fidelizzazione (i blogger vengono a volte saccheggiati dai media “potenti”, oppure vengono snobbati: due atteggiamenti che non portano molto lontano), e non sono in grado di produrre prodotti di vero valore, per quell’utenza che pretende qualità. Se la carta non consente di avere più uno strumento di alta qualità causa costi, sarebbe il caso di guardare “oltre” e pensare con competenza, innovazione e fantasia, ai media digitali (non pensiamo solo al “solito” iPad, ma anche a soluzioni dalle piattaforme più aperte, individuando meccanismi di monetizzazione nuovi e non banali), inventando nuove strade per unire e coordinare flussi enormi di notizie, dando ordine ad un caos che può essere seguito solo da chi è esperto del web (che è una percentuale minima, rispetto agli utenti).
No, la fotografia editoriale (e tutte le altre forme di comunicazione, parliamo di fotografia perché siamo a casa nostra) non è morta, anzi: non è mai stata così viva. E le opportunità sono davvero tante: quello che probabilmente sta cambiando è il referente, e l’utente. Se i “referenti” sono distratti o non capaci, verranno sostituiti da nuove realtà, o da tante piccole realtà che guadagneranno gli utenti sulla piattaforma più grande del mondo, il web. In Italia si parla solo di televisione… perché è l’unica in grado di convogliare milioni di utenti. Il web, globalmente, ha più di 2 miliardi di utenti; un “target” non male, come potenziale.