La fotografia non si vende a peso

La fotografia non si vende a peso

In questo periodo sono diversi i commenti, gli articoli, le annotazioni che portano alla luce un senso che ha il sapore della “rivincita”, da parte dei fotografi. Il senso è quello di fare “i conti” in tasca ai clienti. Si cerca, certamente con delle buone ragioni, di far capire che un servizio fotografico professionale costa perché è di valore, perché chi lo realizza investe un sacco di soldi in attrezzatura, in formazione e, non banale, in tempo.

Ne abbiamo letti tanti, alcuni anche ripresi da post di parecchio tempo fa di colleghi, e alla fine il senso del discorso è sempre lo stesso (giustificatissimo): se i clienti calcolassero tutto, ma proprio tutto, allora forse comprenderebbero che la richiesta economica per un servizio fotografico non è alto, tutt’altro. Tra questi, anche un’infografica che mostra due “torte” (di quelle di Excel, non quelle di pasticceria): una che propone quello che le persone pensano dell’attività di un fotografo, ovvero un 10% di tempo occupato a fare foto e il restante a godersi la vita, e la seconda una suddivisione più realistica dell’attività di questo professionista, suddiviso in tante mansioni (Ripresa, editing, marketing, formazione… eccetera).

In tutto questo, si sente e si percepisce rabbia e amarezza, che sono, però, due pessimi alleati del marketing. Le persone che sono sotto pressione, deluse, irritate non riescono a trarre beneficio dalla realtà che sembra remare contro. E’ facile applaudire, è comprensibile il coro che fomenta la polemica rimanendo all’interno del settore. Ma poi? Aiuta a far crescere il fatturato?

Purtroppo, crediamo che questo tipo di approccio non sia benefico. Può far capire, ma se facciamo capire con la polemica, questa ci porterà ad un cambiamento nel pubblico? Fargli capire che l’approccio della scelta semplicistica è stupido porterà qualche cliente potenziale a fare ammenda, a chiedere scusa e specialmente a tornare indietro sui suoi passi? Forse ce la facciamo, a farglielo capire (probabilmente dopo, non prima, e dopo è sempre o quasi sempre troppo tardi).

Se siamo arrabbiati, dobbiamo stare lontani dai clienti: la tensione non è un aiuto, è un pericolo. Rischiamo di compromettere quello che è già (molto) compromesso. E non ci porta a nulla. Il modo per guadagnare clienti non è quello di mettersi in competizione verbale, di fare i conti in tasca perché oggi non si spende più facendo i conti in tasca (o meglio: lo si fa troppo). Se si fanno i conti in tasca, infatti, si arriva a mettere in discussione un “lavoro” che sembra semplice, e alla portata di tutti, specialmente che non merita di essere pagato. Tutti fanno belle foto, perché pagare un fotografo professionista? Alla fine “fa tutto la macchina, mio cugino ne ha una bellissima, e poi comunque c’è Photoshop”.

No, se si fanno i conti in tasca, se si cerca di trovare nell’oggettività di un ragionamento un motivo che possa giustificare una professione come quella del fotografo, al giorno d’oggi, allora si può solo perdere. Non solo quello che si è già perso: anche quello che ancora si ha.

Dove spendono le persone? Quando commettono delle vere “piccole follie”? Quando l’oggettività diventa emozione, passione, desiderio. Si spendono soldi per un viaggio, si spendono soldi per un prodotto alla moda così esclusivo da diventare un sogno, per un prodotto tecnologico che sembra un ponte verso il futuro. Tutte queste scelte, o almeno nelle categorie vincenti del mercato, vengono fatte con la pancia, buttandosi ad occhi chiusi, spinti da una forza che non è il calcolo. Perché, allora, si cerca una strategia che vuole “far tornare i conti”? Perché non siamo sereni, ecco perché. Perché non ci mettiamo dalla parte di chi deve “tirare fuori i soldi”, eppure è una condizione che ci tocca tutti i giorni: siamo più acquirenti che non venditori, nel gioco della vita. E quando siamo acquirenti, facciamo le scelte allo stesso modo, per un motivo facile: non ci sono soldi che possono essere “gestiti” o ottimizzati, bisogna decidere di spendere da una parte rinunciando all’altra (a mille altre). Quello che bisogna fare è rendere unica, esclusiva, fantastica la mercanzia che offriamo. Non quella giusta, non quella sensata: deve essere un qualcosa di così forte che nessuno può rinunciarvi.

Il lavoro del fotografo non è quello di giustificare i suoi costi; se lo fa, dimostra tutta la sua insicurezza e fragilità. Qualcuno chiede a Louis Vuitton di giustificare il costo a centimetro quadrato del materiale delle sue borse? A Apple di giustificare il costo delle viti dell’iPhone per calcolare il prezzo “giusto”? Ad uno chef di un ristorante prestigioso di giustificare quanto costa all’etto del contenuto che ci impiatta? Il costo del prodotto non è MAI un costo calcolato, ma scelto, basato su un meccanismo che si basa sul quanto valore viene percepito, non quello che di fatto vale.

Perché non ci interroghiamo del perché ogni cosa sembra competere (e vincere) con il prodotto che vendiamo? Cosa possiamo fare per fare in modo che la fotografia possa essere al primo posto tra le “priorità emotive” dei nostri potenziali clienti? Questo è il focus sul quale tutta la comunicazione che i fotografi devono fare (nei loro siti, blog, vetrine, brochure, pubblicità). Tutto il resto è oggettività… noiosa e priva e emozione: lasciamola a chi deve vendere prodotti di scarso valore e di scarsissima monetizzazione.

Comments (11)
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  • Roberta Fainello
    Lug 20th, 2014
    Roberta Fainello says:

    Sono pienamente d’accordo con queste riflessioni, che secondo me potrebbero essere applicate a moltissimi settori professionali, forse tutti.
    Analizzare o considerare il valore del proprio lavoro e dei professionisti sembra diventato complicato oggi, ma in sostanza dovrebbe essere uno dei punti di partenza di un buon rapporto con se stessi e con i clienti.
    Buon lavoro
    Roberta

  • maxfabrizi
    Lug 20th, 2014
    maxfabrizi says:

    Condivido ogni singola parola del post.
    Ad alcuni miei clienti arrivo a dire che alcune foto è giusto e sacrosanto che le facciano da soli, insegnando loro (a pagamento) come farle, perché risparmiano invece che chiamare me ogni volta. Mi ringraziano e poi mi continuano a chiamare per le altre, quelle dove non riescono. Vinciamo in due. E siamo felici entrambi.

  • giorgio franciosini
    Lug 21st, 2014
    giorgio franciosini says:

    Ben trovati a tutti il guaio è che i lavori “intellettuali” non vengono definiti e considerati tali dai più, a causa della loro natura immateriale; se fossimo falegnami o idraulici nessuno si scandalizzarebbe dinnanzi ad un onesto preventivo; ma il fotografo o il giornalista o lo scrittore in fondo che lavoro fanno? Giocano o poco più. Vi ricordate ai tempi della scuola quando Alfieri narrava di doversi incatenare allo scrittoio per scrivere? Nel generale panorama di scadimento delle professionalità e nella patetica ed insulsa ricerca di accalappiar clienti abbassando i prezzi ci si da solo la zappa sui piedi. Non sto qui a ripetere per l’ennesima volta i guai creati dall’illusione paraconsumistica che tutti possano essere registi, montatori, fotografi etc. però, anche se con difficoltà, ritengo che non calar le braghe faccia solo del bene al mestiere. Infatti nella mente di chi compra una cinesata da 1 euro vale nulla una roba da mille molto di più, ergo perchè svendersi? E ‘ pericoloso e non porta a nulla.
    GF

  • Andrea Valsasnini
    Lug 21st, 2014
    Andrea Valsasnini says:

    Penso che dall’introduzione della tecnologia del digitale in fotografia e della pressante pubblicità a favore dell’innovazione tecnologica sia stato consumato l’ultimo atto della de-culturalizzazione della fotografia stessa unitamente alla estrema apparente facilità della ripresa fotografica ad opera del comune dilettante. Via la pellicola, via la cultura della fotografia e apoteosi della foto come gioco dello scatto col cellulare. Siamo diventati inutili, o quando va bene delle sgradite comparse da pagare poco e a rate nella migliore delle ipotesi. Non riusciremo mai a recuperare un po’ di dignificazione della nostra professione calando le braghe o inventandoci qualche ‘trucco’ per rendere appetitoso agli occhi del cliente il nostro lavoro perché la fotografia in generale è stato deciso che deve sparire in quanto memoria collettiva di un popolo che da sovrano deve diventare (ed è diventato) bovino da mungere. Una foto digitale quanto dura nel tempo? Un popolo senza storia di sè è un popolo senza coscienza per e verso il futuro e pertanto manipolabile al ribasso. Nulla vieta di solleticare gli appetiti sull’acquisto futile e spesso inutile del bene di consumo alla moda perché non crea coscienza superiore e temporalmente duratura. Cosa si insinua nella nostra futilità? Non solo spendere in modo non razionale, ma cessare di pensare il futuro come qualcosa che ci apparterrà. La fotografia è fatta di tecnologia (apparecchie e attrezzature), tecnica (know how) e cultura, estetica, coscienza (tutte ritenute inutili immaterialità). Il cellulare riesce a sopperire alle prime due voci, almeno nella testa della gente, ma non alla terza che però non conta, perché se contasse allora si capirebbe che il dilettante e il fotografo sono su piani diversi e non omologati su uno solo. Se non si recupera l’altezza della cultura fotografica come percezione effettiva della diversità e non si riesce a sbatterla in faccia al vuoto mentale del gioco fotografico usa e getta sarà meglio cambiare paese e mestiere. Cosmos e non Chaos.
    Andrea Valsasnini

    1. Claudio
      Ago 6th, 2014
      Claudio says:

      Il tuo commento ,unito alle considerazioni dell articolo , è semplicemente perfetto. Grazie.

  • Cinzia
    Lug 22nd, 2014
    Cinzia says:

    amen! fantastico post!

  • Chiara Natale
    Lug 22nd, 2014
    Chiara Natale says:

    Applausi per questo articolo!
    Tutti (spero) abbiamo fatto follie per amore e da folli o ex-folli o da acquirenti sappiamo cosa vuol dire fare dei colpi di testa. E dopotutto, il prezzo/valore è relativo, quante volte ci si innamora follemente della persona “sbagliata”, che poi si rivela essere una delusione? Però per noi in quel momento era il massimo a cui aspirare, era proprio ciò che scatenava il nostro desiderio, che ci faceva sognare.
    I brand del lusso lo sanno da tempo, il loro marketing è basato proprio su questo: il sogno, l’esclusività, l’innamoramento. Non a caso anche in tempi di crisi i settori del lusso non hanno rilevato perdite, ma al contrario rialzi nelle vendite.
    Mi viene poi da pensare a Zara, che di certo non tratta articoli di lusso, ma che ragiona e si vende come un marchio del lusso: basti vedere le campagne pubblicitarie, gli allestimenti dei negozi, le vetrine. Il “livello di fashion” (scusate la brutta espressione ma si dice così) è alto, anche più che in altre catene simili, vedi H&M ad esempio. Così la percezione di chi entra da Zara è di fare un acquisto che in ogni caso è vantaggioso, per prezzo o per innamoramento non importa.
    Non sono d’accordo con Giorgio che scrive sopra, lo scadimento della professionalità c’è sempre stato, soprattutto in un ambito come il wedding.
    Poi, chi ha stabilito che quello del fotografo sia un lavoro intellettuale? Non somiglia forse più ad un gioco, ad una ricerca continua, una sfida? Non è che pensandoci troppo e parlandone troppo rischiamo di rovinarne la bellezza e la particolarità?
    Non sono d’accordo nemmeno con Andrea. Io vedo e sento storie ovunque. Mi vedo proprio circondata da persone che hanno voglia di ascoltare, mostrare, ricordare, raccontare, anche la pubblicità ce lo insegna, Apple su tutti.
    L’unico problema che davvero mi salta agli occhi è un appiattimento di visione dei fotografi e negli addetti ai lavori, che ripropongono cose trite e ritrite, senza anima, senza fantasia, con buona pace di pochi che provano a cambiare le cose ed a proporne di diverse, di nuove.
    Vedo e sento ovunque una grande voglia di bellezza, di condivisione della bellezza. Intorno c’è speranza, anche per i tanto incazzati fotografi. Poi è ovvio, ci sono alcuni pessimisti, altri che si lamentano, ma tanto probabilmente si lamenterebbero comunque.

  • Simone Barbagallo
    Lug 23rd, 2014
    Simone Barbagallo says:

    Sono perfettamente d’accordo con il post e tutti i commenti che ho letto. In questi giorni un cliente disperato che aveva provato a farsi le foto da solo prima, chiamando qualcuno dopo, è venuto chiedendo un lavoro lunghissimo e impegnativo, finalmente rendendosi conto che il nostro è un mestiere esattamente come qualunque altro, e che non può sostituirsi al fotografo come non ci si può sostituire ad un medico, elettricista, pompiere, falegname… buona giornata a tutti

  • giacomo ferrari
    Lug 23rd, 2014
    giacomo ferrari says:

    Lo sappiamo tutti, che una campagna pubblicitaria veniva mediamente pagata il 100% in piu’ rispetto ad oggi, anche solo dieci anni fa ?, che i diritti si calcolavano sul reale utilizzo e non a forfait o addirittura 0, è oggettività si’, ma ci deve far riflettere.
    Perchè? I motivi sono molteplici, uno: quantità abnorni di immagini stock (anche di qualità), tendenza ad utilizzare lo stock, anche solo per questioni di tempistiche sempre piu ridotte, il dirottamento di alcuni tipi di produzione in House agency aziendale, dove il grafico oltre a fare anche il copy fa in aggiunta i video e le foto, e magari lavorando con contratto a progetto.
    Giungla dei prezzi e nessun tipo di regolamentazione.
    Qualche anno fà, per effetto di una legge antithrust, fu proibita addirittura la pubblicazione dei listini prezzi delle associazioni di categoria (Siaf e Tau). In questo scenario, conservare una visione romantica del mestiere trovo sia apprezzabile, possa aiutarre in qualche modo sul profilo psicologico; ma scusate…. non è che distoglie da quella che è la realtà?
    Ascolto dalle community di fotografi stranieri nei forums e inglesi in Linkedin molto piu’ pragmatismo, ovvio noi Italiani siamo romantici per cultura; ma in un contesto globale, dove ormai siamo oltre l’ era industriale, e secondo cio’ che dicono gli Americani oltre anche l’ era dell’ informazione, non corriamo il rischio di apparire furi tempo o adirittura un po’ “naif” ?. Quindi?
    Credo secondo la mia esperienza che il valore aggiunto rilevabile nei casi di professionisti che vanno bene, e sono in crescita, in controtendenza con la situazione generale, peraltro confermato dalle recenti statistiche annuali sul trend di settore, elaborate da Tauvisual, pare proprio sia quello di aggiungere differenti competenze: grafica, video e tutto quello che in qualche modo possa essere correlato al Mestiere, non ultimo la formazione, viaggi fotografici con workshop. Insomma bisogna essere poliedrici, giustamente non incazzati ma allo stesso tempo, neanche geoflessi dinnanzi a chicchessia cliente, e talvolta imparare dagi Anglosassoni ad essere un po’ piu pragmatici, il momento ed il mercato richiedono concretezza. Grazie a Jumper per la riflessione e gli spunti sempre attualissimi e buon Lavoro a tutti i colleghi.

  • Paola
    Lug 24th, 2014
    Paola says:

    Chiaro e vero! Bell’articolo!!

  • Pier Federico Leone
    Lug 30th, 2014
    Pier Federico Leone says:

    Di quanto hai scritto, caro Pianigiani, ne discutavamo con tutti i soci toscani della UFPI circa 20 anni fa, quando ne ero presidente e, proveniente da Milano, ho portato un prezioso contributo alla crescita del professionismo. Purtroppo è cambiato ben poco e la crisi ha fatto il resto. Come dicevo già allora, bisognerebbe poter finanziare una campagna diretta ai cari clienti per aggiornarli su la professione del fotografo e sul valore della sua opera. Altrimenti non resterà che continuare a discuterne inutilmente fra di noi.

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