Nei mesi scorsi, la polemica Uber è scesa in piazza (e nelle vie) milanesi. Per chi non lo sa, Uber è una soluzione che prevede la possibilità di usare un servizio alternativo ai taxi, per potersi muovere per la città. I conducenti non sono tassisti, ma persone comuni che hanno deciso di condividere il proprio bene (automobile e tempo) a servizio della collettività. Ci sono clausole da rispettare, per proporsi come autisti del servizio UberPop (quello più economico e più “allargato”: chiunque può farne parte, usando la propria automobile), sono segnalate sul sito di Uber:
Requisiti:
– auto intestata a nome del richiedente
– patente da almeno 3 anni
– auto che non sia stata immatricolata più di 8 anni fa
Come verifichiamo che i driver di uberPOP siano affidabili?
Tutti gli autisti che fanno parte di uberPOP devono dimostrare di non avere sospensioni di patente recenti e di avere una fedina penale pulita. Questi controlli vengono fatti da noi a monte per garantire la sicurezza a tutti gli utenti.
Se qualcuno pensa che, in questo modo, il rischio di avere – con questa liberalizzazione – una persona pericolosa che ci deve portare da una parte all’altra della città, può dare un’occhiata ai requisiti che vengono richiesti dal Comune per poter ottenere una licenza di Taxi, ci possiamo accorgere che non ci sono poi grandi differenze, anche se è previsto, è vero, un esame presso la motorizzazione che permette di ottenere il nulla osta all’abilitazione. La differenza principale, invece, è che oggi per ottenere una licenza Taxi a Milano (non basta l’abilitazione…), si può spendere fino a 200 mila euro; il concetto è che il numero di licenze viene determinato dal Comune e se non sono disponibili l’unica possibilità è quella di acquistarla da qualcuno che se ne vuole liberare.
A prescindere dalle discussioni, dalle polemiche, dai rischi (più che altro commerciali per i detentori di licenze, spesso appunto strapagate e che a causa di questa liberalizzazione rischiano di perdere valore) va detto che la formula potrebbe/potrà coprire un buco in determinate situazioni di congestionamento di richieste nelle grandi città e comunque offrire delle alternative che vanno a vantaggio degli utenti (e, ovviamente, delle aziende che sviluppano questi nuovi servizi). Ci saranno persone a favore, persone contro, ma il mercato non sa cosa farsene delle opinioni e vincono, di solito, le soluzioni che rispondono meglio alle esigenze del mercato stesso. Inoltre, una volta che si apre una nuova idea commerciale, ci sono le emulazioni e gli sviluppi: è il caso, molto recente, di TaskRabbit che si propone come un “Uber per qualsiasi attività”. Avete bisogno di una persona che vi faccia delle pulizie, che vi trasporti dei pacchi, che possa aiutarvi con dei lavori domestici? Che vi porti fuori il cane? Basta collegarsi, via sito o via App, a TaskRabbit e trovare la vostra scelta migliore, per disponibilità, vicinanza, faccia (c’è una bella fotina), competenza e referenze.
Si tratta di una soluzione che, a voler guardare, è vecchia: qualcuno che si propone per fare dei lavori, una bacheca aggrega e presenta, un sistema di promozione permette l’amplificazione dei messaggi. La novità è che l’organizzazione, la struttura della ricerca a mezzo app o sito, la gestione trasparente, il pagamento semplificato a mezzo carta di credito: tutto questo rende sostanzialmente tutto più facile che non in passato, specialmente per tutte quelle professioni che non hanno delle regolamentazioni così chiare e nitide per essere svolte. Parlando di questo, ovviamente, è facile ed evidente fare un parallelo per esempio tra i tassisti (che le regole le hanno, e sono molto forti… al punto che già sono avvenute a Milano le prime confische di veicoli per ‘esercizio abusivo della professione’) e i fotografi: nessuno potrebbe mai reclamare per un uso “illecito” della professione di fotografo, visto che non esistono specifiche che determinano quale sia la distinzione tra fotografo professionista e “persona che scatta foto”, perché non basta (non dovrebbe bastare) la questione fiscale, che pur anch’essa risulta poco popolare.
La questione, a questo punto, è capire come affrontare queste nuove metodologie di proposta commerciale: combatterle o sfruttarle?
Fotografia professionale e Uber: fenomeno da combattere o da sfruttare?
1) Si combatte per dei diritti usando argomenti forti. I tassisti hanno minacciato (e in parte lo hanno fatto) di bloccare la città e hanno ottenuto delle risposte dal Comune (di fatto il servizio UberPop, quello che appunto permette a chiunque di trasportare persone per la città sul proprio veicolo, è considerato illegale). I fotografi cosa possono fare? Incrociare le braccia e dire: “Da oggi non facciamo più foto”? Posizionare migliaia di fotocamere in mezzo ad una via trafficata per bloccare il flusso degli automobilisti?… Difficile, vero?
2) Se dovessimo creare una modalità che possa distinguere i “professionisti” dagli “scattini”, quanti dichiarati professionisti dovrebbero smettere di svolgere questo mestiere? E allora: torniamo tutti a scuola? Torniamo al problema di base: chi avrà il ruolo di “responsabile della qualità” e che dichiarerà chi è idoneo da chi non lo è?
3) Considerando che i fotografi hanno quasi sempre una scarsa conoscenza delle potenzialità della comunicazione digitale (i siti sono quasi spesso male organizzati, i social network li usano senza competenza strategica), una soluzione che aggrega, gestisce e promuove l’attività deve essere considerata più un pericolo o un’opportunità? Essere messi “tutti insieme” è un pericolo? Più pericoloso dell’oscurantismo?
4) Una soluzione che impone un pagamento solo tramite carta di credito, non potrebbe forse aiutare a ridurre il fenomeno dell’abusivismo fiscale?
Uscendo quindi dalle politiche del corporativismo (che non esiste nel mondo della fotografia, ma alla luce dei fatti e dell’immobilismo che spesso si porta dietro, specialmente nell’era digitale, l’assenza di corporativismo in ambito fotografico forse non è poi così negativa), non sarebbe interessante vedere queste soluzioni come qualcosa di positivo e di larghe vedute? Personalmente, amerei poter scegliere non tra l’idraulico sotto casa e quello che sta a 200 metri di distanza, ma facendo una selezione on line, confrontando i prezzi, avendo dei “percorsi” che sono tracciabili (e quindi potrei tutelarmi con documentazione che potrei allegare in caso di contestazione). E, se ci pensate bene, voi tutti vorreste fare la stessa cosa… con due “ma però…”: una gestione tracciabile richiede un esborso di un lordo, che comprende l’IVA e che impone, lato fornitore, del pagamento di tasse (pagheremmo tutti qualcosa in più, ma forse pagheremo meno di tasse… chissà che – non certo oggi ma forse sarà così per i nostri figli – non possa modificare l’assetto economico globale); la seconda questione, è che è facile accettare la semplificazione e anche la concorrenza in questioni in cui noi siamo clienti, ma molto meno quando siamo “fornitori”. Come per dire che vale tutto, meno che quando ci tocca in prima persona.
Il futuro è più complesso, se non avremo la capacità di valutare le opportunità meglio di quanto si tende a fare polemica.
giacomo ferrari says:
Credo che i fotografi, o il mercato della fotografia, in realtà abbia anticipato di gran lunga Uber.
Il contesto “stock” e “microstock”, ne sono la prima prova evidente, immagini vendute un “tanto al kilo”, per le quali il commitente primario (agenzia) inoltre pretende un livello qualitativo professionale, e che il cliente finale paga una cifra molto spesso risibile.
Oggi tutta quanta la Categoria: dal matrimonialista al pubblicitario a quelli della moda e perfino gli scattini si sono dovuti “fare una ragione” del fatto che oggi fare foto, anche di buon livello è alla portata di molti se non di tutti, e allora le redattrici sono anche fotografe, i grafici fanno loro gli still life, per il matrimonio ci sono vari amici e parenti con la fotocamera nuova, magari diplomati ai corsi on line della Nikonschool, e gli “scattini” in spiaggia nei villaggi turistici e sulle navi da crociera, sono surclassati dagli Smartphone.
I tempi sono cambiati…. bisogna togliersi i “guanti bianchi”, accettare che la tecnologia oltre a “regalarci il digitale”, Photoshop, e con questo tutte le potenzialità che hanno consentito a tutti noi di crescere, dall’ altro canto ci impone e ci obbliga ad accettare Uber, un fisco telematico (che comunque non servirà a far cessare l’evasione fiscale da parte di grosse società multinazionali , che hanno metodi studiati per essere “legalizzati” che vanno ben oltre la tracciabiltà del pagamento con POS).
D’ altra parte la categoria dei fotografi è già stata martoriata in questo senso con l’ introduzione degli studi di settore, dove lo “scattino” è considerato pari livello a Toscani o Gastel.
Secondo me per i fotografi il concetto “Uber”, esiste già da molto tempo….
Oggi non si paga piu’ il professionismo, ma piuttosto la professionalità, vale a dire, la capacità del fotografo di ascoltare i bisogni e di trovare le giuste soluzioni, il cliente vuole sentirsi coccolato, servito e riverito e solo per questo è disposto a riconoscere nel servizio un valore aggiunto, per il quale è disposto a pagare, per questo Taskrabbit non ci deve far paura!
Credo invece ed aggiungo; che la vendita on line di immagini “a regalo” , fenomeno in nessun modo regolamentato, anzi accettato e addirittura promosso e incentivato dalle associazioni di categoria, che hanno promosso seminari e incontri sul tema, sponsorizzati da istockphoto piuttoso che altre piattaforme di vendita di immagini spazzatura a bassisimo costo, siano state e sono la vera minaccia alla professionalità (uso questo termine al posto di professione, perchè è molto piu attuale).
Interessante l’argomento, attualissimo, mi incuriosisce la discussione grazie a Jumper che ha sempre argomenti di valore per tutti noi!
Alessandro Paolin says:
Buongiorno Luca. Spunti di riflessione interessanti come sempre. Concordo con Giacomo ed intervengo con argomenti più generali.
Capisco la posizione dei taxisti (visto il costo delle licenze), ma, sarò banale, che dire delle piattaforme e-learning? e dei numerosi tutorial e canali yuotube? sono anch’essi esercizio abusivo della professione di insegnante? Ma questo riguarda l’insegnamento e si sa…
Per non parlare di helpouts di google (come TaskRabbit, ma on-line): tutti insegnanti (e professionisti) di qualunque cosa con tariffario e punteggio, ma quanti sarebbe disposti a fare altrettanto se fosse imposto per legge?
Per me l’evoluzione del mestiere è stata ed è un’opportunità tale che a volte mi fa pensare che non si possono non sapere certe cose vista la facilità con cui si rintracciano le informazioni; diversamante dovrei “rubare il mestiere con gli occhi”! (con le dovute eccezioni).
Il punto sta nella tua chiusa. Frenare l’evoluzione delle cose rischia di farci rimanere indietro; meglio è conoscere le cose e controllarne l’evoluzione, ossia regolamentare con criterio (cosa non scontata).
Ci sono solo professioni e persone più o meno restìe al cambiamento (“si è sempre fatto così!”), o forse protette/regolamentate in modo sbagliato (le licenze per l’esercizio di qualunque professione sono un modo sbagliato di “fare cassa”; !). Altro esmpio di lentezza protezionistica: sentivo palare di proposte di abolizione degli ordini professionali (giusto o sbagliato, dipende da come poi verranno regolamentati) già a fine anni ’90, ma da allora il modo di lavorare è cambiato. Usiamo internet quotidianamente, lavoriamo on-line, possiamo essere pubblicamente giudicati, (vedi punteggio con helpouts, ma anche i commenti sui vari social), troviamo clienti on-line (di nuovo con i social), alcuni cambiano lavoro (più o meno volontariamente). Forse a scuola ci dovevano insegnare ad evolverci e forse non si sarebbe arrivati alla polemica sulla “noia del posto fisso”, perché il contesto sarebbe stato diverso, ma serviva (e serve) una scuola diversa e soprattutto una politica visionaria… (ricordo la scoperta solo nel 2010 di “gogol”!!)
Più in generale, l’esperienza Olivetti (per quanto riguarda le politiche visionarie) dovrebbe essere d’insegnamento, ma se allora frenarla sembrava un interesse economico di qualcuno, oggigiorno alcuni interventi (politici) sembrano solo (tristemente) ingenui.
Beppe Raso says:
Ciao Luca, bella riflessione, grazie. Ben venga Task rabbit per i fotografi è l’evoluzione della specie, non deve spaventare. Il punto è capire fino a che punto esisterà davvero una domanda di immagini “professionali”. Mi spiego: il problema che spesso riscontro è che la committenza si sta ” abituando” a leggere immagini mediocri ( nella sostanza, nella composizione e sì diciamolo anche nei pixel) quindi inevitabile per tutti un cambio di marcia, fare la differenza, offrire molto e mantenere i costi. E’ una sfida che a volte sembra impossibile, ma credo sia l’unica strada percorribile, almeno in Europa.
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