Jan Antonin Kolar
Nel momento in cui la tecnologia fotografica 1.0 (quantità di dati, risoluzione, numero di pixel) propone nuovi traguardi per le fotocamere consumer, con Sony che sta per proporre un sensore full frame da oltre 100 Megapixel e 6K per la ripresa video (se ne parla qui) e altri stanno per seguire la stessa strada, appare evidente che il percorso dell’innovazione più moderna (2.0?) è sempre più legata all’intelligenza artificiale (una sorta di Ansel Adams in versione computazionale) e all’uso di sistemi di acquisizione che sommano informazioni che vengono poi analizzate da sempre più potenti processori per arrivare al punto finale di una maggiore qualità.
Questi processi, che vedono coinvolti più “occhi” che riprendono la stessa scena, e algoritmi/software che li uniscono traendo benefici qualitativi per l’immagine finale, di fatto sono legati a processi del passato, che semplicemente sono stati potenziati. Fa sorridere, infatti, se facciamo un tuffo nel passato e ci ricordiamo per esempio i sistemi (ancora esistenti nelle cabine per fare le fototessere nelle metropolitane cittadine, oppure negli studi che ancora propongono questo servizio per i documenti) che usavano/usano più obiettivi per riprendere, più immagini dello stesso soggetto. Questi sistemi avevano quasi sempre (non sempre…) una funzionalità pratica: visto che il formato finale necessario per le immagini era piccolo, in una sola stampa, Polaroid o simile, si potevano avere direttamente 4 o 6 immagini già pronte, da tagliare e da consegnare. Nel mio passato di ragazzetto di bottega di un negozio di fotografia, penso di averne fatte decine e decine di migliaia.
Cosa fanno, oggi, gli smartphone? Sostanziamente la stessa cosa, ma con una finalità diversa; non tante versioni della stessa foto, ma livelli di foto che vengono, come detto, sovrapposte per elaborazione di un maggior numero di dati. Ma, nella realtà, ci sono parecchie possibili interpretazioni di questa logica di ripresa, che si collega ad un concetto ben chiaro crediamo a tutti: se i punti di ripresa sono anche di poco ma spostati, di solito orizzontalmente, l’effetto di prospettiva sarà “leggermente diverso”. Non al punto da essere notato singolarmente, ma se si fa un piccolo gioco, montando per esempio su Photoshop i vari scatti come livelli, allora apparirà molto evidente.
Questo è quello che ha fatto il fotografo irlandese Matt Loughrey, riprendendo uno scatto del Generale Custer da Mathew Brady attorno al 1860 con una fotocamera multiscatto che si può vedere sul suo profilo Instagram. L’effetto è quello che stavamo descrivendo, visualizzato sotto forma di video (ovviamente potrebbe essere una Gif animata, ma anche un’interazione tipo “LivePhotos”, sono cose che spesso spieghiamo come realizzare nei nostri corsi. Il processo e la spiegazione viene spiegata in questo video:
Passato, presente e futuro si fondono, ed è questo il fascino che ci arriva da questo progetto, ma che ci permette anche di fare delle ipotesi sul come realizzare immagini che possono avere un appeal – specialmente sui social network, ma in realtà non solo – che per esempio vengono proposte da creativi come Kate Bones, che si dichiara – tra le altre cose – Gif Artist e che sostanzialmente usa una tecnica simile a quella delle “fototessere”, scattando con più immagini sincronizzate dello stesso soggetto da angolature leggermente diverse, montate poi in una gif. Ma, ovviamente, non è solo lei che se ne occupa, che propone idee di questo tipo: la rete è piena di sperimentazioni che sembrano però andare verso percorsi opposti a quelli dei “fotografi veri”, quelli che più che altro si sentono fuori dai giochi, che polemizzano sulla perdita di “valori” dell’immagine e della professionalità. Curioso, invece, che nuovi linguaggi e maggiore affinità con i media contemporanei trovano invece occasioni sempre più concrete.