Alla Photokina, per quanto abbiamo potuto constatare a distanza, le aziende che hanno partecipato (quelle che hanno partecipato, Elinchrom per esempio ha deciso di rinunciare) hanno mostrato poche evoluzioni importanti, se non quelle di una migrazione sempre più evidente verso la luce Led e verso la portabilità, per competere con i flash a torcia e a slitta in termini di compattezza e flessibilità. Di Profoto abbiamo accennato settimana scorsa, il modello B10 è stato davvero spinto molto in termini di comunicazione e promozione. Per il resto, marchi meno importanti, legati più a mercati che non ci riguardano.
Eppure, una grande novità c’è stata, una di quelle che sono davero vicine al nostro modo di intendere la specializzazione nell’ambito dell’immagine, il “prodotto speciale” che spesso era il meno “visto” dai commentatori (a caccia di megapixel, di prodotti di largo consumo e specialmente di prodotti sui quali parlare porta, ormai quasi per nulla, qualche ritorno, in termini economici o anche solo di “click”). Arriva da Broncolor, anche se il ruolo dell’azienda specializzata nella luce (in particolare flash, ma ora sempre più vicina al Led) è solo parziale, perché la parte più innovativa arriva all’integrazione tra la luce e un sistema software sviluppato da una startup svizzera, Truvis, spin-off del reparto del Digital Humanities Lab (formalmente Imaging and Media Lab) dell’Università di Basilea. Questo sistema, il Broncolor Scope D50 integrato di lighting e di software consente di creare immagini spettacolari perché permettono di gestire e regolare ben 48 punti di luce all’interno di una semi sfera che può essere alzata fino a 15 cm di altezza per riprendere soggetti alti fino a 6 cm e di produrre 48 immagini (una per ogni punto di luce) in formato Tiff. Tanto per evitare di far perdere tempo a chi pensa che questa sia una soluzione economica, va detto che il pacchetto hardware e software (si deve poi usare una qualsiasi fotocamera e un computer Mac o Windows, che non sono ovviamente nessuno dei due inclusi), ha un costo di 24.000 dollari.Chi non si spaventa, anche solo di informarsi e nel guardare oltre, potrà probabilmente capire che i vantaggi di questo sistema sono incredibili, in tanti campi: probabilmente il più importante è quello della riproduzione di reperti storici (quindi archeologia, arte, eccetera), ed è da considerarsi un grandissimo vantaggio il fatto che sia possibile usarlo in esterni, dove spesso è fondamentale lavorare: Non mancano però le applicazioni più commerciali, come è facile intuire (è facile? Parliamone…). Ma, cosa può fare questo sistema? In realtà qualcosa di simile a quello che spesso abbiamo spiegato e insegnato (anche nei nostri JumperCamp), ovvero di integrare cambiamenti di luce su una superficie, al semplice passaggio del mouse (mouse over) oppure allo swipe (dito appoggiato su schermo multitouch come smartphone e tablet), o ancora allo scroll di un sito internet. Il sistema, creando tante sequenze della stessa immagine, dove l’unica variabile è il cambiamento di luce, ci permette di osservare l’oggetto in tutte le sue sfaccettature, volumi, spessori, come se fossimo di fronte ad un’immagine 3D dove l’oggetto rimane fermo e si muove “la luce”. Alcuni esempi, sono disponibili a questa pagina di Truvis (e alcune sono disponibili anche sul sito di Broncolor). Il funzionamento di questo sistema si può osservare in questo video che inseriamo qui sotto:
Questa tecnica è per noi affascinante (ma lo è per tutti coloro ai quali ne abbiamo parlato), visto che sono anni che ci lavoriamo abbiamo ben chiaro sia cosa c’è dietro a questa tecnologia e funzionalità, e sappiamo anche come si potrebbe replicare in modo più economico e semplice, ma quello che vogliamo enfatizzare è che – qualsiasi soluzione si voglia trovare – l’impatto di questo modo di interpretare la fotografia, a livello documetaristico o creativo di altissimo livello, è tra le sfaccettature più interessanti per vedere oltre la dimensione bidimensionale dell’immagine, e incredibilmente si sposa con un’altra tendenza (di cui torneremo a parlare) che è la realtà virtuale. La fotografia ad alto livello ha bisogno di visioni che siano rispondenti a delle esigenze molto specifiche: siano queste artistiche (creano emozioni), narrative (raccontano storie, ma sul serio) o come in questo caso di forte impatto descrittivo e di studio. Tutto questo ha un filo comune, che si chiama “immersione”, e i professionisti di questo settore devono capire che non basta più (non è mai bastato, ma ora, con oltre 2,5 miliardi di fotografi nel mondo, a spanne tutti quelli che hanno uno smartphone dotato di fotocamera e sono in crescita), bisogna andare in profondità, non rimanere alla superficie di quello che tutti vedono e possono riprendere.
Jumper (e prima ancora Jump, la rivista dalla quale è nato tutto il nostro prodotto di informazione e formazione, ben 24 anni fa) focalizza, racconta e introduce questo futuro, cercando di spiegare perché e come seguire strade che sembrano troppo distanti solo perché non vengono comprese, altrove. Se siete interessati, davvero, a guardare oltre, non perdeteci di vista.