I fotografi sanno come gestire la “qualità” delle loro fotografie visualizzate su un monitor? Dopo tanti anni di evoluzione non solo tecnologica (leggi: i monitor di oggi sono di gran lunga migliori di quelli del passato), ma specialmente dal punto di vista della fruizione (leggi: le persone sempre più consumano immagini su uno schermo rispetto alla carta), ci accorgiamo spesso che tanto impegno profuso nella riproduzione delle immagini sulla carta non trova riscontro in quello dedicato allo schermo.
Pensate: molti (non voglio dire quasi tutti) pensano che i monitor abbiano ancora una risoluzione di 72. Non aggiungo in questo contesto nemmeno il valore con il quale si esprimerebbe questo valore (per lasciarvi mentalmente pensare all’errore di definirli dpi… già perché ancora molti definiscono la risoluzione di un monitor in “dot” e non in “pixel”, anche se ovviamente tutti sanno che un monitor è fatto di pixel e non di punti). In molti collegano il monitor ad una risoluzione terribilmente vecchia, ed è un retaggio del passato che è istintivo: monitor = bassa risoluzione = bassa qualità. Se invece che rispondere ad istinto si pensasse, si valuterebbe facilmente che ormai gli schermi hanno risoluzioni molto superiori, ma si tende a ricordarselo solo in un secondo momento: ormai, la tematica della risoluzione degli schermi è diventato un elemento che si trasforma in valore/marketing, eppure quando si chiede “che risoluzione ha il tuo monitor” l’utente tende a rispondere con un valore espresso in “pixel di base per pixel di altezza” che in quanto tale dice davvero poco. Dichiarare di avere un monitor 1440×900 pixel, 1920×1200 pixel… non ci permette di sapere molto, e specialmente non aiuta a capire come dobbiamo “trattare” le nostre immagini. Quello che conta (valore che ovviamente si può derivare dal numero di pixel di base per altezza, in relazione alla dimensione del monitor: 15 pollici? 17 pollici? 27 pollici?) è la densità di pixel per pollice: quello che corrisponderebbe ai famosi (e sbagliati) 72 ppi che in molti ancora reputano sia la densità media dei pixel dei monitor attuali.
La domanda è fatta a bruciapelo: il monitor che avete davanti ai vostri occhi, che densità di pixel ha? Abbiamo detto che difficilmente ha 72 ppi, alcuni potrebbero dire 96 ppi (un dato abbastanza famoso, anche se non quanto i 72 ppi), ma in realtà quasi nessuno sa – perché nessuno glielo ha mai detto – qual è la vera risoluzione, almeno se si tratta di un computer (non di ultimissima generazione, perché da poco tempo questo valore sta guadagnando importanza dal punto di vista del marketing), a meno che non siate davanti ad uno schermo piccolo, quello di uno smartphone o di un tablet, perché in questo caso vi è stato detto (probabilmente) di quanti ppi è il vostro monitor.Vi facciamo un po’ di esempi:
1) Se avete un iMac da 27 pollici di ultima generazione, il vostro monitor ha 109 ppi. Se ne avete uno più vecchiotto, tipo quello del 2007, probabilmente saranno 99 ppi (ehhh….? mai sentito, vero?)
2) Se avete un Macbook Pro 17”, sono 132 ppi
3) Se dovete visualizzare le immagini su un TV full-HD da 42”, la risoluzione è 52 ppi (glom!)
4) Avete pensato a quanti ppi ha lo schermo LCD della vostra fotocamera reflex? Due dati, uno per ogni “top seller”:
Nikon D800: 250 ppi
Canon Eos 5D Mark III: 270 ppi
5) Come detto, la risoluzione dei device “piccoli” è più famosa. Un dettaglio interessante però è capire meglio il rapporto tra risoluzione di dimensione dello schermo. Vi facciamo un esempio: un iPad vecchia generazione (NON Retina Display) ha una risoluzione H+V di 1024×768 pixel, esattamente identica quella dell’iPad Mini standard, eppure visto che uno è grande 9,7” e il secondo 7,9”, la densità di pixel è diversa: 132 ppi per il primo, 163 ppi per il secondo.
Perché la qualità degli schermi influenza la qualità delle fotografie?
Tutte queste storie della risoluzione (noiose come una giornata di pioggia) sono importantissime per una serie di motivi che probabilmente in pochi hanno analizzato e applicato al proprio flusso di lavoro. E specialmente, in pochi hanno fatto delle considerazioni importanti sul fatto che non si sta ottimizzando il flusso di lavoro circa la fruizione delle immagini su uno schermo. Eppure… eppure va detto che il 90% della fruizione dei contenuti ormai avviene avendo un monitor come supporto. Non lo diciamo noi, è uno studio che ha fatto Google circa un anno fa, del quale abbiamo già parlato e che comunque potete scaricare qui (attenzione, pesa circa 100 Mb…). I fotografi si preoccupano della stampa, e fanno bene, ma non possono tralasciare il monitor, perché in questo settore emergente e sempre più usato, si comportano abbastanza da “dilettanti allo sbaraglio”.
Vi diamo qualche indicazione su cui riflettere:
* La densità di ppi condiziona la resa delle nostre immagini dal punto di vista della resa del dettaglio. Questo significa che se prepariamo delle immagini da fruire su uno schermo, se non sappiamo quale sarà questo valore in ppi non possiamo ottimizzare elementi quali:
* Resa del dettaglio (di conseguenza anche “lo sfuocato”… ci fa sorridere tutto quello che si discute sulla resa di un Full-frame, e anche della “resa plastica dello sfuocato” tanto apprezzato in obiettivi che magari costano una follia, se poi non si sa come sarà la resa sul monitor che diventerà la destinazione finale del nostro lavoro).
* Maschera di contrasto: se guardiamo al 100% sul nostro monitor l’immagine per capire quanta USM inserire, ci servirà a poco se poi la resa andrà valutata su un monitor dalle caratteristiche completamente diverse.
* Grana: vi piace tanto la resa un po’ vintage della grana analogica sulle immagini digitali? Avete comprato magari un software apposito, o vi siete creati un preset su Lightroom? Bene, non vi servirà a nulla, perché la resa della grana sarà influenzata dalla risoluzione dello schermo, se il monitor che verrà usato avrà una risoluzione diversa, la resa tanto ricercata sarà molto diversa, o addirittura non percepibile.
Questi sono solo pochi dei tanti elementi che investono la nostra relazione tra resa a monitor e resa sullo schermo. Alcune cose sono ovvie, ma altre molto meno. Tra queste:
* Resa colore. Non solo quello che ci hanno insegnato (e che non sempre abbiamo compreso) sul discorso dei “profili colore”. Ci sono monitor che hanno delle rese molto (troppo) distanti. Non ci sono device mobili di cui si disponga di un profilo colore, ma specialmente non ci sono sistemi operativi “mobile” che supportino i profili colore (ad esclusione di Windows RT, che li supporta con la stessa modalità di Windows “desktop”. Se volete andare a questo indirizzo con il vostro tablet o smartphone, potrete verificare che i profili non solo supportati. C’è stato un tentativo da parte di Datacolor di realizzare un sistema di gestione colore, usando la sonda Spyder 4, che consente la calibrazione del monitor sia su iOS che su Android, ma la visualizzazione “corretta” del colore avviene solo dentro l’app della SpyderGallery (iOS – Android)
* Dimensione delle immagini e peso: le immagini da visualizzare sullo schermo spesso (molto spesso) si fruiscono dalla rete. Quando avete fatto gli ultimi test che vi hanno permesso di capire come ottimizzare le immagini nel loro rapporto qualità/peso? L’approccio del fotografo non dovrebbe essere quello “Tanto va sul web, quindi chi se ne importa, saranno una schifezza”… ma “devo ottenere la qualità migliore, nella dimensione di file minore”. Se volete, date un’occhiata a questo software, JpgMini, che esiste in tre versioni: una amatoriale, una “pro” e una server. Lo abbiamo testato tempo fa ed è una soluzione interessante. Non è l’unica… ma come diceva il filosofo cinese Lao Tze del 400 a.c.: “Anche un viaggio di mille miglia inizia con un primo passo.
“Anche un viaggio di mille miglia inizia con un primo passo”
– Lao Tze
* Dimensione e peso delle immagini in relazione al tipo di device.
La risoluzione necessaria per ogni device è influenzata da molti fattori, e sarebbe molto sensato che per ogni device venisse erogato il numero di pixel necessario alla corretta visualizzazione, e non di più (più pixel non creano più qualità e specialmente non danno la felicità, in particolare quando bisogna scaricarli). Non dovete fare confusione con i sistema chiamati “Responsive Design”, che magari avete anche sul vostro sito in WordPress: non si tratta solo di un adattamento allo schermo (foto grandi o su varie colonne su schermi grandi, foto piccole e su una sola colonna su schermi piccoli), ma proprio della dimensione dei files. L’argomento va approfondito molto seriamente, cercheremo di darvi indicazioni a breve.
A questo, va detto che l’evoluzione del web, chiamata Parallax scrolling (di cui parliamo qui) che usa immagini sempre molto grandi ha, ancor di più, questa esigenza.
* Jpg… fatevene una ragione. I fotografi odiano il Jpeg, e fanno male. La qualità di un Jpg di qualità eccellente è sostanzialmente indistinguibile rispetto ad un TIFF, ovviamente se tutto il flusso viene mantenuto e seguito con intelligenza e competenza. Le fotocamere stanno cercando anche di creare flussi di lavoro direttamente in Jpg sempre migliori, che possano aprire ad un orizzonte di uso delle immagini in un workflow che passa dalla fotocamera a mezzi di ottimizzazione e di distribuzione via mezzi “mobile”. Non siamo di fronte alla “morte” del RAW, ovviamente, ma siamo di fronte ad una evoluzione. Chi non ha mai corretto un’immagine con un’app meravigliosa come Snapseed (gratuita, su iOS e su Android) forse deve farlo, possibilmente su un tablet (anche se si può usare anche su uno smartphone) e si accorgerà che in molti casi può avere un gran senso, sia in termini di qualità che di flessibilità che di piacevolezza. Ma sui tablet, i RAW sono ancora un problema, e quindi ha senso lavorare direttamente in JPG, purché il file sia di altissima qualità (ci sono aziende che hanno puntato molto su questo fattore, per esempio Fujifilm). Ma, specialmente, su un monitor si arriva con un Jpg, non con un TIFF, perché la chiave è la velocità di accesso al contenuto e il peso è – leggete sopra – un fattore fondamentale.
* Le riviste migliori al mondo accettano (senza problemi) files Jpg per la stampa (anche le riviste che stampano super bene…), ma per qualche motivo è difficile da accettare nella nostra mente di fotografi.
* E che sia interazione. Le immagini su un monitor possono “passare” in vario modo: come uno slideshow (utente passivo che “subisce” la presentazione), con dei pulsanti (utente attivo: decide lui quando vedere un’altra immagine), con delle transizioni ottenibili con delle “gestures” (non solo su schermi touch… ormai la trackpad è diventata un’interfaccia di gestures). Progettare contenuti che possono essere immersivi fa bene al nostro lavoro, lo rende più dinamico e più affascinante.
In conclusione sulla qualità delle fotografie su un monitor…
Terminiamo questo articolo ribadendo un concetto davvero importante: un fotografo professionista che non si stia occupando delle questioni legate alla qualità e all’ottimizzazione delle immagini su uno schermo sta rischiando di perdere la visione di quello che è il suo compito primario: riuscire a creare un prodotto percepito in tutto il suo valore.
Non stiamo dicendo che tutto diventerà “monitor”, le immagini di qualità continueranno anche ad essere stampate, e sempre di più nella stampa serve qualità (buttate al macero le pubblicità di chi vi propone servizi di stampa a prezzi troppo bassi… non c’è compromesso in questo campo: o si stampa con qualità – e la qualità costa – oppure si spende comunque troppo per prodotti che non avranno valore. Avete bisogno di partner di qualità, che vi promettono valore e non deprezzamento). Stiamo dicendo che serve competenza e cultura su come si comunica, con l’immagine, sui monitor. E, in questo, la qualità è solo uno dei tanti elementi.
Ve lo diciamo perché ci crediamo: se trovate questo contenuto interessante, troverete di incredibile ispirazione il Jumper Camp che faremo tra pochi giorni: è il momento di fare un salto in avanti, per non fare passi indietro. Il futuro del mestiere dei fotografi passa da un monitor, sempre di più, e non serve solo tecnica, ma specialmente cultura.
Luca di Toscana says:
Ohhhh, finalmente qualcuno che riabilita il Jpeg!
Era ora, che si sfatasse questo mito, a sentire in giro tutti i guai dei fotografi hanno origine nella poca “qualità” del jpeg, una balla colossale ma che accomuna fotografi professionisti, fotoamatori, e perfino neofiti alle prime armi.
Mi capita spesso nei corsi di fotografia trovare persone che non hanno idea di cosa siano quegli strani “numerini” che compaiono nel mirino della loro nuova reflex, ma che sanno con assoluta certezza che per fare le foto “belle” bisogna usare il raw. ( sarà perchè i fotonegozianti guadagnano più du una CF 100gb che su una reflex… )
Da molti anni dico che per avere una foto bella, bisogna scattare una bella foto e basta, occorre che esposizione, profondita’ , le eventuali luci ed ombre siano perfettamente bilanciate prima dello scatto e non manipolate dopo con i vari camera raw, perchè sempre e comunque otterremo artefatti.
Negli anni ho sostenuto ( e vinto) molte sfide, mostrando comparazioni di una stessa immagine salvata in jpeg e raw, sia su carta che sui più disparati devices, ma nessuno e’ mai riuscito a distinguerle.
Se la foto e’ ben realizzata non c’e’ raw che possa migliorarla, puo’ modificarla, cambiarne alcune caratteristiche di gusto cromatico ma non migliorarla.
Se vogliamo davvero la qualità, dobbiamo anche imparare a gestire bene gli strumenti che abbiamo per le mani , conosco tanti fotografi che non hanno nemmeno mai esplorato i menu’ della propria reflex neanche per curiosità.
In merito ai monitor, come sempre eccellente analisi della situazione da parte di Luca, direi che il problema, a mio avviso e’ proprio rappresentato dell’estrema differenza di devices, che nonostante abbiano risoluzioni altissime e rese in dettaglio incredibili, interpretano colori e contrasti ancora in modo troppo differente per poter parlare di un valore di qualità dell’immagine comparabile al come si valutava in stampa o su pellicola, dove invece definizione, ma anche tonalita’ e contrasti erano ben definiti in una gamma uniforme e misurabile.
Alessio says:
Ciao Luca (di Toscana).
In linea di principio non posso che essere assolutamente concorde con quello che dici.
Tuttavia, fatta questa premessa, bisogna anche dire che in molti casi si usa il RAW per ottenere un JPG migliore e non necessariamente per correggere i difetti di esposizione.
Penso che tanti possano confermare quello che dico quando riscontro che, anche senza fare modifiche pesanti, il JPG ottenuto dal RAW sia migliore rispetto a quello sfornato direttamente dalla fotocamera.
Io lavoro con una Canon 5DII (magari altre fotocamere sono migliori sotto questo punto di vista).
Per il resto dipende anche dal tipo di lavoro che si deve fare. Ho collaborato con alcuni degli eventi (festival) più grandi in italia e in questi contesti dove “l’immediatezza” era fondamentale, ho lavorato in JPG per una questione pratica di gestione e diffusione delle immagini (tablet/mail/web). In altri contesti dove ho realizzato dei set fotografici per dei prodotti di grosse aziende allora scattavo in RAW in modo tale da poter avere un margine di post-produzione molto più ampio.
Ciao!
Gianni Canali says:
Luca, la tua analisi è come sempre ottima, ed è fuori discussione l’importanza degli aspetti tecnici legati al flusso di lavoro che ogni professionista che produce immagini è tenuto a conoscere.
Come per la stampa in quadricromia c’è voluto molto tempo prima che divenisse a tutti chiara la questione dei profili, conversioni, eccetera, anche la risoluzione differente per i differenti monitor e device diverrà tema noto.
Resta però un fatto, identico alla questione conversione in CMYK.
Non sempre si è a conoscenza della destinazione delle immagini. Così come se non conosci l’esatto flusso di stampa, inchiostri, carta, diciamo quando consegni file che vengono stampati su varie riviste, italiane o straniere, o comunque differenti prodotti cartacei, e di conseguenza o consegni un RGB oppure un CMYK con cromalin, convertito con un profilo di qualità e standard europeo, magari ottimizzato da software o esperti che tutti conosciamo, allo stesso tempo produrre immagini che poi vengono visualizzati su differenti display pone il dubbio di quale ppi utilizzare.
A tal proposito quindi, esiste un valore ppi che oggi può essere considerato utile/medio oppure è una inutile e vana ipotesi?
Va da sé che è un’altre faccenda creare immagini per il proprio Ipad quando si mostra un portfolio o comunque si conosce la destinazione finale.
Luca Pianigiani says:
Ciao Gianni,
Il digitale non consente di fare valutazioni oggettive, e i parametri sono molto più complessi di quelli che finora abbiamo vissuto con la destinazione di un profilo colore. I device sono tanti, e i parametri tutti diversi: risoluzione, resa del colore, dimensione del supporto di visualizzazione, rapporto tra i lati.
Non si può lanciare i dadi, se ti può servire a qualcosa le statistiche di Google Analytics del nostro sito parlano con evidenza di una percentuale di visitatori con device mobili dalla risoluzione pari a 768×1024 pixel… ma è un parametro che può valere questo mese, e cambiare tra due, e se guardi le statistiche di 1000 siti potresti avere parametri diversi. No, la strada è più complicata rispetto a quella “di una volta”: non dobbiamo trovare il compromesso, dobbiamo fare in modo di adattarci a ogni device. E per riuscirci serve davvero un passo in avanti dell’approfondimento tecnico e culturale dei media digitali. Quello che mi preoccupa è che, invece, in giro si vede sempre più gente che pensa “di avere capito”, e pertanto interrompe il processo di crescita e di studio. Abbiamo davanti a noi dei cambiamenti enormi, e sempre più distanti dalle metafore e comparazioni con le logiche “analogiche” (come quelle dei profili di stampa…). Sarà una scommessa che premierà solo chi vorrà andare a fondo…
C’è un’altra possibilità, che non so se coscientemente hai valutato con la tua ultima frase: è la possibilità di distribuire i contenuti e il nostro lavoro “impacchettato” in un media specifico, in un supporto già definito. Questa possibilità si chiama self-publishing, e la logica è quella di determinare noi quale tipo di supporto li vedrà e fruirà. Una strada non esclude l’altra, anzi: una è figlia dell’altra.
Credo che questo sia uno di quei Sunday Jumper che risulterà più chiaro tra un po’. Forse tra un anno… come altri argomenti che hanno voluto seminare un percorso in anticipo, ma per consentire a coloro che vogliono cogliere e anticipare i tempi, di approfittarne e su questo di guadagnare delle competenze per sfondare delle porte. Io spero sempre che il numero degli “esploratori” possa aumentare…
Sandro says:
Ciao Luca,
è un argomento che ho affrontato tempo fa, una soluzione che avrei trovato é quella di fare in modo che i siti generino le immagini da visualizzare sul momento, partendo da una immagine HQ e poi in base al profilo (se c’é) , risoluzione e dimensioni del client richiedente (browser, app o altro), creare l’output. Questo significa mettere piú intelligenza lato server, ma non é niente di trascendentale.
Ero andato anche oltre.
Tenuto conto che ormai tutti i device abbiano una webcam, leggere la luce presente in stanza attraverso di essa e regolare la luninositá dell’immagine generata di conseguenza. Si apre un mondo.
C’é un sacco da fare, manca il tempo e le risorse da investire ma non le idee ;-)
A presto.
Sandro
Luca Pianigiani says:
In parte lo studio che hai approfondito può venire incontro: certamente “l’intelligenza del server” è una delle strade, ma non l’unica: non tutti i contenuti digitali vengono e verranno erogati da un server e tramite un browser. E il tempo bisogna trovarlo, perché questo problema sta già esplodendo ora, figuriamoci tra qualche mese/anno. Ma molto bene che qualcuno sia affacciato alla finestra e che stia cercando risposte ;-) Grazie della tua segnalazione!
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