Ieri, 9 aprile, è mancato Gianni Degli Antoni, un personaggio importante per l’Italia (che pur non lo sta celebrando e ricordando sufficientemente, in queste ore): è stato un punto di riferimento per chi ama l’innovazione, per chi è in grado di capire che il pensiero libero e la passione sono le uniche cose che davvero ci servono in un mondo ormai tutto omologato. Gianni Degli Antoni (GDA per tutti) è stato uno dei “fondatori” dell’informatica in Italia, o meglio ancora: della “scienza dell’informazione”, che nella sua mente e nei fatti che ha portato avanti negli anni era ben più ampia di quello che qualcuno potrebbe intendere come “roba di computer”.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo diverse volte, di sviluppare con lui progetti, portando avanti, nel nostro piccolo, delle sue visioni di futuro. Ma quello che vi proponiamo è la prima intervista che gli abbiamo fatto 20 anni fa, e che abbiamo pubblicato sulla nostra giovane rivista “Jump” (la nascita di tutto quello che poi si è sviluppato nella nostra attività di informazione, di formazione, di crescita: Jumper, e così via). Rileggendo queste parole, scritte da un “me giovane” e pieno di speranze, dall’età solo di poco superiore agli studenti che ogni giorno incontro e ai quali provo ad insegnare passione e amore per l’innovazione e per la crescita, riscopro con gli occhi lucidi che forse sono cresciuto (quel poco che sono riuscito a crescere) molto grazie a questo personaggio, eppure all’epoca non sapevo che avrei seguito o provato a seguire il suo percorso (il mio nemmeno comparabile al suo, sono piccolo, lui è stato ed è un grande); non immaginavo che le parole che mi ha detto sarebbero rimaste così profondamente nel mio cuore e che il mio “destino” fosse quello di essere a mia volta “professore” di una materia affine alla “scienza dell’informazione”. Eppure è stato così…
Ho pensato di condividere con voi questa intervista, volutamente “sgangherata” perché non voleva raccontare fatti, ma sensazioni, un approccio abbastanza comune nel mio modo di “fare interviste” (nel bene e nel male). E’ un salto all’indietro di 20 anni che ci permette di leggere tra le righe la capacità visionaria di Gianni degli Antoni che ci anticipava cose che venti anni fa erano assolutamente improbabili e inimmaginabili (un “mouse sul dito”, sensibile alle sensazioni tattili o le reti super veloci o i sistemi fotografici con milioni di lenti correttive) e che poi in parte sono ora una realtà. Ma ci piace ricordare — oltre che nel nostro “scritto storico”, anche per la sua capacità di essere moderno — quel signore anziano, che riusciva con il sorriso a rendere vecchi gli studenti che arrivavano con “l’ultima idea geniale”, che lui ascoltava e poi gli diceva che tutte erano “già idee vecchie”. Lui chiamava “terminale” il computer e quindi sembrava agli occhi disattenti un nonno inesperto, veniva da spiegargli che era appena arrivata per esempio la rivoluzione della musica con l’iPod e lui ti guardava e ti diceva che anche i “podcast” (che derivano dall’iPod, quindi ovviamente sapeva cosa era un iPod) erano già superati, ti diceva che doveva aggiornare le sue attività su Second Life, e poi mi scriveva articoli sulla comunicazione dei graffiti nelle strade metropolitane come codice e linguaggio analogo al codice del computer. Diavolo di un professore, faceva sentire vecchi noi ragazzetti e ora, che sono vecchio, mi sento ancora più vecchio, ricordandolo.
Vi lascio all’articolo/intervista “storico” (ma ancora attualissimo), ma aggiungo una frase di Gianni degli Antoni che può essere utile, più che mai, per il nostro futuro, quello di tutti coloro che pensano che le idee richiedono sempre grandi risorse e invece no… servono proprio le buone idee, che bisogna imparare a far crescere:
I progetti non nascono competitivi.. Lo diventano.. Un progetto che richiede risorse iniziali va bocciato subito. Ogni progetto è come un seme. Se cresce anche una sola piantina si crede nel progetto. Per fare il progetto occorre convinzione fiducia… Le risorse iniziali si trovano sempre… non soldi o attrezzature..”.
— Gianni degli Antoni
Gianni degli Antoni: l’intervista di Jump (1997)
(Jump era un rivista cartacea uscita dal 1995 al 2004, parlava di innovazione, ha aperto il discorso della fotografia digitale in Italia e poi ha fatto altri “salti”. E’ l’antenata del nostro sito www.jumper.it, che dal 2000 porta avanti questa filosofia e la mantiene viva)
Lo step di crescita di Jump — virtualmente iniziata proprio con questo numero (i più attenti noteranno differenze non strutturali, ma di contorno) — ci pone, tra gli altri, un obiettivo importante: quello di individuare quelle correnti di pensiero libero che possono darci una visione più dilatata del nostro periodo di evoluzione professionale ma specialmente sociale.
La nostra rivista è nata come luogo di pensiero libero, come “non-rivista’, come prodotto intangibile e non facilmente classificabile. Abbiamo sempre cercato non di seguire le evoluzioni, ma di fare in modo — nel nostro piccolo — di contribuire alla loro materializzazione. Essere non promotori, ma addirittura parte integrante delle evoluzioni che vengono trattate ci pone nell’obbligo di essere sempre mentalmente più avanti rispetto al mercato.
Per i nostri lettori ciò significa che Jump diventa non (solo) il mezzo per informarsi su quello che sta succedendo, ma su quello che accadrà. Per fornire una visione sempre attenta alle evoluzioni future, non ci si può affidare solo al dialogo stretto con aziende e professionisti : bisogna cercare con insistenza le tracce del “pensiero libero”, residente in poche menti, spesso di coloro che sono definiti dei trasgressori, oppure dei polemici oppure, con maggiore simpatia, degli eccentrici. Oppure dei geni.
Il pensiero libero è stato ricercato da sempre da noi di Jump: forse qualcuno ne ha rilevato un briciolo dentro di noi, ma sappiamo bene che non è sufficiente: più che “pensatori liberi” siamo abbastanza bravi ad individuare le fonti, e quando ci è capitato di incontrarle ne abbiamo fatto tesoro. D’altronde la nostra missione non è quella di essere protagonisti, ma di essere seri ed impegnati creatori di informazione.
Attenzione però: da esperti di “pensiero libero”, ne conosciamo i pericoli. Seguire con totale dedizione un “pensatore libero” è difficile, bisogna avere le carte in regole per farlo, altrimenti si rischia tantissimo; attenzione: i pensatori liberi sono carismatici, affascinanti, non si riesce a distogliere l’attenzione da loro, ed anche quando ti prendono palesemente in giro non si riesce a reagire.
Un’ultima attenzione: non cercate di comprendere gli schemi che portano al “pensiero libero”, se non avete sufficienti capacità o esperienza: il vero “pensiero libero” è quello che vive per spiazzarvi, per essere imprevedibile, per non essere mai sotto controllo, è colui che appare sempre “fuori dal mondo”, ma che poi ti stupisce dimostrando un’incredibile competenza tecnica sugli ultimi ritrovati della scienza o del mercato.
Per noi di Jump, avere rapporti con un certo numero di “pensatori liberi” è fondamentale, e oggi ci troviamo nella condizione di avere bisogno di riprendere i contatti con queste realtà, per non adagiare i nostri sforzi sul presente. Dobbiamo, ormai possiamo anche dire per “tradizione”, superare le barriere dell’ovvio. Alcuni di questi incontri abbiamo deciso di trasferirli in modo diretto sulla carta sotto forma di relazioni; in altri casi, la presenza di un “libero pensatore” sarà più discreta, si ingloberà all’interno di discorsi più vari.
Non potevamo non enfatizzare però uno degli incontri più interessanti che ultimamente abbiamo avuto il piacere di fare, ovvero quello con il Professor Gianni degli Antoni, responsabile del mitico GEC — Gruppo di Elettronica e Cibernetica e poi direttore della OSI — Facoltà di Scienze dell’Informazione a Milano (il più affollato corso di laurea a Milano) e tra breve direttore di un nuovo Polo di studio e di ricerca a Crema. Un nome quasi leggendario per chi si occupa di informatica, ma anche di informazione, di comunicazione, di telematica, eccetera.
Cronaca sgangherata di un incontro
Primo punto essenziale per parlare con Gianni Degli Antoni — è stato facile da scoprire — è avere pazienza: attorno a lui girano sempre e comunque collaboratori e studenti che richiedono le sue attenzioni. Lui non si tira indietro, anzi: per ognuno ha una frase spiritosa oppure un consiglio; il problema è quello di attendere che le persone abbiano ottenuto le direttive principali e sperare che il telefonino non suoni, ma lui suona lo stesso, e il tono familiare delle risposte rimane lo stesso usato con gli studenti, anche se dall’altra parte del collegamento telefonico si trova il direttore generale di un’importante azienda che chiede informazioni e dettagli di interesse nazionale.
Usciamo dall’Istituto di Scienza dell’Informazione di via Comelico a Milano, di cui è il più chiaro ed assoluto riferimento, almeno fino a quando — a metà di dicembre — la nuova struttura di Crema verrà inaugurata: il suo nuovo mondo, un suo nuovo sogno divenuto realtà. L’assistente lo insegue per sapere dove andrà a mangiare; non capiamo se la preoccupazione è relativa al tipo di menu che il professore andrà a scegliere, visto che — nell’era dei cellulari — il luogo fisico perde di fatto la sua importanza. Lo capiamo più tardi: il bar dove ci siamo seduti per mangiare qualcosa viene subitoraggiunto da un numero nutrito di studenti e collaboratori, che gravitano sempre e comunque attorno al professore. Alcuni di questi vengono addirittura fermati dallo stesso professore, che trasmette loro alcune indicazioni circa il server Internet della sede di Crema che deve partire “Entro lunedì, mi raccomando”: non è un’imposizione del professore alla giovane studentessa; è un desiderio espresso con dolcezza, per il bene di tutto il gruppo. I fili li tira lui, il Professore, ma l’esperienza viene vissuta come comune, con eccitazione ed impegno da tutti coloro che vivono — probabilmente con fatica e sacrificio — attorno a lui. Si può capire da quelle poche parole che potrebbe cadere il mondo, ma “lunedì” il sito Internet del Polo di Crema funzionerà a meraviglia: è qualcosa di più di una promessa.
La persona che ci ha accompagnato e che è stato il ponte che ci ha consentito di incontrare il Professor Degli Antoni ci consiglia di iniziare a fare delle domande, altrimenti il rischio è quello di non riuscire a “portare a casa l’intervista”. Non si è accorto che “l’intervista’ è iniziata il primo momento dell’incontro, così come è avvenuto lo studio del sottoscritto da parte del Professore che, con mezz’occhiale usato così come gli ottici imporrebbero (a metà naso), appena salutato ci ha guardato, scrutato e commentato: “Un artista, suppongo…”.
Anche in questo caso, la battuta è uscita in modo dolce, col sorriso sincero. Al tentativo da parte nostra di giustificare l’abbigliamento — per stare allo scherzo — con una frase del tipo
“Sa, la mancanza di tempo talvolta crea un po’ di confusione al mattino…”,
il Professore ha dimostrato mente lucida non sono per i conti, ma anche per la battuta pronta:
“No, mio caro: è tutto davvero perfetto nel suo abbigliamento: tutto è calibrato alla perfezione”.
Si usava il pretesto del vestito (non il peggiore e nemmeno il più “perfetto’’ per apparire artistoide, vero o simulato che fosse) per attivare un contatto ben più profondo: il Professore aveva l’aria di avere già capito tutto, e forse così era; mente aperta, “pensiero libero”.
Difficile sintetizzare l’ora del nostro incontro: ha passato più tempo ad ascoltare noi, a guardare la rivista, ad approfondire i motivi del nostro incontro. In tutto questo periodo ha comunque ascoltato a modo
suo, ovvero ha parlato dal primo all’ultimo minuto. Ogni frase nostra di fatto apriva una breccia di parole, apparentemente collegate tra loro — probabilmente collegate tra loro — ma difficili da mettere insieme per le persone comuni. E’ passato dal segnalare l’importanza della radio come mezzo di comunicazione (anche se poco popolare in questo momento), all’applaudire la tecnologia Shockwave di Macromedia, in grado di restituirci un concerto di musica da Internet (suono e immagini in movimento), all’evoluzione dei libri che probabilmente dovranno in gran parte cedere il posto al print on demand.
Abbiamo (ha) parlato della vera essenza dell’informazione digitale, che non sono le immagini che pubblichiamo sulla nostra rivista, definendole digitali. Quelle, ci dice, sono informazioni digitali ormai diventate analogiche poiché esse ci appaiono in termini di densità, di colore, di informazione visiva. La vera informazione digitale è priva di forma, è l’essenza dell’informazione, e priva della componente dell’apparire; questo testo è digitale fin quando non viene riprodotto usando una determinata font ed una determinata dimensione. Il dato esiste, ma può essere visualizzato in tanti modi. Da questa semplice dissertazione passa al linguaggio, alla carenza — in epoche moderne — di nuovi segni grafici, di segni di comunicazione, di alfabeti. L’alfabeto della nostra epoca sono i graffiti metropolitani, che pulsano, che vogliono urlare, che vogliono comunicare. Ma i creatori di questa comunicazione — o molti di questi — nel frattempo muoiono negli ospedali di AIDS senza che nessuno li ascolti. Per finire davvero inizia a navigare con la mente: dice che presto potremo vedere che i problemi delle linee telefoniche si risolveranno e avremo collegamenti iper rapidi grazie allo studio ed all’intelligenza di chi sta lavorando attorno a questo problema, e non solo perché ci saranno cavi che faranno passare così tante informazioni che non sapremo cosa metterci. Ci fa capire che ama chi si vuole incaricare di risolvere i problemi complessi con passione ed impegno, visto che le qualità vengono fuori quando i problemi sono difficili, non quando tutto scorre liscio come l’olio. Indirettamente fa anche un complimento a noi: dice che siamo bravi perché ci stiamo impegnando in un terreno difficile. Grazie professore, speriamo di essere all’altezza…
Alla fine, ogni dettaglio gli consente di fornirci (o di fornire a se stesso) una visione del futuro (chi lo conosce da tanti anni può confermare che queste visioni del futuro si sono puntualmente confermate con il tempo): guarda la piccola fotocamera digitale che abbiamo portato dietro, ci chiede come funziona e gli rispondiamo “fa più di quello che costa; è sufficiente?”. Ci ipotizza un futuro dove gli obiettivi delle fotocamere saranno forse milioni di piccoli specchietti, o milioni di lenti a correzione complessiva, e giunge a quello che deve essere l’occhiale del futuro(controllabile e calibrabile nello spazio, personalizzabile e regolabile ogni volta che lo si desidera), e ci fa esempi di tecnologie vincenti, come per esempio il nuovo mouse da indossare su un dito e che ci consente di trasmettere e ricevere sensazioni tattili; già esiste, presto sarà una tecnologia comune.
E’ arrivato il caffé, è ora di andare via: noi, il Professore, gli allievi a seguito. Ci saluta: tante cose da fare… l’inaugurazione del suo nuovo sogno… il server da far partire…. una relazione che non può rinviare… Ci saluta, gli chiediamo di potergli scattare una foto, accetta senza problemi: è abituato a sorridere, ma lo fa ancora con simpatia, non per mestiere. Ci promette che ci rivedremo, ci sembra ancora una volta sincero. Noi di sicuro l’andremo a ricercare: Jump e i nostri lettori hanno bisogno ogni tanto di contatti di questo tipo.
Risaliamo in macchina, destinazione redazione: il nostro amico ci chiede:“Cosa ne hai tirato fuori, dici che riesci a scrivere qualcosa? Non ti ha detto quasi nulla…”.
“Non ti preoccupare, non sempre sono le parole che contano”. In effetti, avremmo potuto scriverci un libro, ma facciamo pur sempre una rivista.
(se volete, potete scaricare il PDF dell’articolo originale di Jump/1997 da qui)