Sono anni difficili per la fotografia, è giunta la notizia che Nikon abbandonerà la produzione in Giappone, per spostarla in Thailandia (dove opera già, in realtà, da molti anni), e quanto sono stucchevoli e “clickbait” (i link spazzatura generati solo per fare traffico, non informazione) gli articoli usciti in questi giorni sui siti, anche le pagine economiche più “prestigiose” in Italia, che non linkiamo perché non se lo meritano. Facile parlare di “chiusura”, di mercato che ormai è schiacciato dagli smartphone “perché sono più comodi e nelle tasche di tutti”. Abbiamo anche letto stupidaggini come “Nikon chiude produzione di fotocamere e abbandona il mercato giapponese”, perché dovrebbe “abbandonare il mercato giapponese se non produce più in Giappone”? Siamo circondati da pressapochismo, da ignoranza, da un uso-abuso del “potere di informazione” che generato dalla semplicità di divulgazione del digitale (sostanzialmente a costo zero) non ha creato contemporaneamente un rispetto per le regole della corretta informazione e del rigore nella creazione di informazione.
Sapete forse bene che l’unico settore che sta “salvando” le grandi aziende del settore fotografico (e facendo sprofondare altre perché hanno un pubblico meno vicino a questa esigenza) è quello delle ottiche: non è un caso che le aziende stiano investendo tantissimo nella progettazione e nella realizzazione di nuove ottiche, con prestazioni sempre più evolute e anche a costi sempre più importanti. Bene (male): oggi si apre un altro fattore rischio, oltre agli smartphone arrivano i ricercatori di Ottawa che hanno sviluppato, grazie alle nanotecnologie, una “piastra” che sostituirebbe le ottiche, chi vuole può approfondire la questione alla pagina che vi segnaliamo qui: An optic to replace space and its application towards ultra-thin imaging systems | Nature Communications dove si può scaricare un PDF della ricerca. Ovviamente, prendiamo questa notizia con un approccio metaforico: non sparirebbe “l’ottica”, semplicemente si ridurrebbe di dimensione fino a quasi sparire dal punto di vista visivo, ma ovviamente si tratta di una evoluzione che fa capire che le fotocamere come le abbiamo conosciute finora, dopo avere perso la pellicola, il mirino, arriveranno a perdere anche l’obiettivo. Ci vorranno anni, non c’è dubbio, ma è sempre importante prepararsi ai cambiamenti.
La fotografia è, come detto, in difficoltà, per vecchie e nuove situazioni ed eventi, e il vero problema è che in un mercato che si comprime e trova alternative, invece che impegnare maggiore sforzo ed intelligenza, si arriva a perdere il valore dei dettagli. E i dettagli sono legati alle persone, ne parlavamo ieri, sotto il sole cocente di una Milano umida ed invivibile, con uno di quegli amici cari, carissimi, e si notava quanto la mancanza di qualità nell’affrontare la situazione è evidente dal fatto che proprio i migliori vengono messi da parte, e il comando viene lasciato in mano a quelli che guardano con furbizia che pensa solo agli obiettivi più vicini la situazione. E, specialmente, a coloro che pensano alla furbizia delle relazioni, e non alla loro qualità. Si abbandonano le “Persone” che hanno reso possibile la crescita, perché è più facile guardare a quello che appare “brillante e moderno” oggi, che non prova a mantenere connessioni tra passato, presente e futuro. Al mercato della fotografia mancano i valori, in questo momento, non solo numeri. Si può, si potrebbe cambiare il modello di business, puntare sui servizi e meno sui prodotti, ma lavorando sul valore; invece si punta alla volgarizzazione (ovvero al mercato di massa, del “volgo”), laddove i numeri, in quantità, non ci sono più. Si pensa “mainstream” quando bisognerebbe pensare a “nicchia”, perché è più facile: i numeri che non tornano sono la migliore difesa per chi potrà dire: “non è colpa mia, è colpa dei numeri”. Si mantengono i ruoli, le strutture, gli approcci, si cercano nuovi partner sguaiati e coì odiosamente sicuri di sé, invece che ricercare nel DNA del valore una risposta alle crisi. Il problema non è dove si produce, siamo convinti che Giappone o Thailandia cambia poco, se non dal punto di vista romantico (e sappiamo che i fotografi sono dei romantici), ma di cosa hanno bisogno il mercato, gli utenti – e sappiamo bene che quello che serve, specialmente a chi ha “ancora bisogno” di attrezzature di alto livello, non è la tecnologia in quanto tale, e ancor meno le targhette “Made in…”, ma strumenti per mantenere una posizione e ancor di più un ruolo in questo mondo: che non si riassuma tutto in un “bel passato”. Su questo, i brand, le aziende, il marketing dovrebbero lavorare, ma non a parole, con fatti: fatti concreti creando servizi, prodotti, soluzioni, orientamento, formazione. Sono anni che guardiamo alla finestra, non capendo come tutto questo non sia LA priorità, invece che giocare con i numeri che non tornano.
Poco fa, leggendo una newsletter (strumento come quello che usiamo da tantissimi anni, con questo Sunday Jumper, tenendo legati migliaia di persone che di fotografia e immagine vivono), scritta da uno dei pochi giornalisti italiani del settore “tecnologico” che rispettiamo, abbiamo trovato questa citazione che riprendiamo, tradotta: ci segnala una grande verità, che però almeno noi non consideriamo vicina alla fotografia, sebbene molti cerchino di interpretarla così. La cosa interessante è che l’autore (sia della newsletter, che ancor di più della citazione), sono molto vicini al settore della fotografia, forse è un segno del destino: la fotografia, ancora, è un elemento che aggrega naturalmente le persone, offrendo un linguaggio universale che può essere capito da tutti, anche quando la parola, la voce, la lingua non coincidono.
Una vita è come un giardino. I momenti perfetti possono essere vissuti, ma non conservati, se non nella memoria.
– Leonard Nimoy
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