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Gli standard per il futuro digitale, al di fuori delle battaglie dei "grandi"

Domani, lunedi 10, è la giornata dell’apertura delle prenotazioni dell’iPad in Italia (e in altre nazioni). Venerdi sono stati annunciati i costi, a partire da 499 Euro per la versione base (solo WiFi e 16 Gb di memoria), e poi una scaletta che a step di 100 euro ci porta fino a 799 Euro per la versione “top”, da 64 Gb e 3G. Abbastanza prevedibile ipotizzare che sarà una corsa per accaparrarsi i primi apparecchi che arriveranno, anche se l’attesa di un mese in più rispetto alle iniziali previsioni dovrebbe avere dato la possibilità di non avere problemi di reperibilità. Insomma, dovrebbero essercene per tutti.

Una volta superato lo step “dell’esserci“, diventerà essenziale concentrarsi sul “cosa metterci dentro” a questo apparecchio che già in diverse occasioni abbiamo avuto modo di leggere che è stato definito una “macchina mangia soldi”. La scommessa di tutti gli editori (dei giornali e delle riviste, del web, del cinema, dei libri…proprio tutti) è di creare contenuti che il pubblico è non solo disposto, ma addirittura desideroso di comprare. Un po’ come la Polaroid di una volta, dove l’oggetto macchina fotografica era solo un veicolo per vendere rullini per scattare e sviluppare le foto, o un po’ come per le stampanti di oggi, che costano nuove quanto una confezione di inchiostro di ricambio, l’iPad è una scatola vuota che nasce per essere riempita di contenuti a pagamento.

Visto che siamo tutti creatori di contenuti, la domanda che ci dobbiamo porre – e che crea, a causa di una serie di discussioni accesissime sul web, in questo ultimo mese – è come realizzare tali contenuti. Vogliamo dire che, in attesa di evoluzioni così significative del mercato digitale, per ora si tratterà di “banali” riconversioni di prodotti già esistenti: riviste cartacee che diventano digitali, libri cartacei che si trasformano in ebooks, album fotografici che diventano DigitalPhotobooks (tanto per fare un esempio più tangibile per il nostro pubblico). Questo significa che – se accettiamo di considerare tutti questi contenuti come delle “applicazioni” – è necessario pensare che servano dei flussi di “conversione” che siano semplici e figli di un workflow tradizionale: per farla semplice, che non sia necessario partire da zero, ma che possano esserci strumenti che si integrano al lavoro tradizionale, e che facilmente possano consentire una distribuzione digitale.

Da qualche settimana, una strada – forse la più semplice e fluida – è stata bloccata: in pratica all’interno di Flash Professional CS5 è presente una funzionalità che consente di “convertire” (compilare, per dirla in modo corretto) la programmazione Flash in un’applicazione per iPhone (e iPad, di conseguenza). Apple ha bloccato, con un solo colpo di spugna, qualsiasi soluzione di questo tipo, per vari motivi: alcuni dichiarati e spiegati, ed altri evidenti comunque. Il poco amore di Apple nei confronti di Flash è evidente, non a caso con l’iPhone non si può fruire di contenuti Flash, questo lo saprebbe anche mia nonna, se fosse ancora viva. Ma il blocco nei confronti della tecnologia di Adobe ora è più profonda: quello che è stato bloccato non è il formato Flash da fruire come contenuto finale, ma anche la possibilità di usare questo linguaggio di programmazione (più visuale, e comunque estremamente potente) per creare applicazioni iPhone. Ed è iniziata una guerra, che per ora si è manifestata con lettere aperte da entrambe le parti, ma che potrebbe avere risvolti in ambiti più formali. Quello di cui si accusa Apple è di usare un atteggiamento di totale chiusura, a difesa della sua piattaforma “mobile” e, dall’alto della sua supremazia, potrebbe impedire uno sviluppo corretto della concorrenza.

Non entriamo nel discorso, potremmo parlarne per mesi: basta dire però che per “concorrenza” si intende essenzialmente quella di Android, il sistema operativo di Google per l’ambiente mobile, ma non solo: non so se sapete, ma Palm – marchio storico e forse la più forte alternativa dal punto di vista tecnologico all’iPhone – è stata acquisita da HP ad una cifra enorme (1,2 miliardi di Dollari) e quindi il colosso dell’informatica si è portato in casa non solo del know how, ma anche un eccellente sistema operativo, WebOS, che potrebbe essere una buona piattaforma di sviluppo non solo dei cellulari, ma anche dei tablet concorrenti ad iPad (non a caso, HP ha subito bloccato il suo progetto di tablet per integrare le tecnologie e l’OS di Palm).

In questa battaglia, che è davvero accesa e con risvolti sanguinari (metaforicamente parlando), si gioca il futuro della tecnologia, del mercato e anche dei contenuti realizzati dai “creativi” e da far fruire ai loro clienti. Ed è per questo che è importante comprendere dove stiamo andando. Da una parte c’è una fetta del mercato che vorrebbe creare un solo contenuto, e poi con poca fatica convertirlo per qualsiasi device, e quindi – sostanzialmente – per qualsiasi utente. Questa fetta, sostanzialmente, è legata all’ambiente Adobe, che vede finalmente attuabile il concetto di network publishing che lei stessa ha inventato all’inizio del nuovo millennio e che è stato, finora, solo una grande promessa in attesa di conferme. Dall’altro lato del campo di battaglia, chi ha in mano una piattaforma di tale successo, di tale efficacia e perfettamente integrata in un ecosistema a prova (apparentemente) di bomba, e che quindi tende ad impedire che i progetti nati per i suoi sistemi possa finire facilmente ad alimentarne altri, concorrenti. In questa secondo secondo lato, ovviamente, c’è Apple.

Poi, ci sono un po’ come franchi tiratori, in realtà che poco c’entrano in questa battaglia, ma che possono approfittarne creando zizzania e trovando proprio vantaggio: per esempio Microsoft, che ha appoggiato alcune prese di posizione “anti-Flash”, che suonano però male perché è ovvio che Microsoft – avendo un concorrente di Flash che si chiama Silverlight – tende a mettere il concorrente forte all’angolo (ma fa sorridere, perché le stesse motivazioni che porta Apple a bloccare Flash sono le stesse che bloccano Silverlight…). Oppure la stessa Google, che con Android e persino con NexusOne (primo telefono della grande G) si propone come alternativa assoluta e “aperta” al mondo chiuso di iPhone e che si prevede che esca con un tablet concorrente.

Cerchiamo di tornare al nostro orticello: non possiamo certo noi combattere questa guerra, ma ci sono delle conseguenze che ci coinvolgono. Per esempio, sostituire Flash con soluzioni “aperte e standard”, come per esempio l’evoluzione dell’HTML (ormai ben famoso come HTML5) è vero che ci toglie dalla “tirannia” di Flash (spesso viene dichiarata così, personalmente non la considero tale), ma al tempo stesso ci fa fare dei passi indietro nella tecnologia e nella qualità di fruizione del web: prove fatte confermano che un’animazione Flash è più fluida, su qualsiasi device, e per la realizzazione di animazioni complesse, è necessario investire molte più risorse di tempo senza Flash. Ma c’è di più: questa guerra non agevola noi che vorremmo, certamente, produrre per qualsiasi device, senza importarcene di quello che, sopra di noi, venga percepito come vantaggioso o svantaggioso. In pratica, qualsiasi autore vorrebbe poter pr0porre (e vendere) il proprio contenuto su qualsiasi piattaforma, perché è l’utente finale (il cliente) che sceglie “come” visualizzare un contenuto, e quindi noi dobbiamo fornirglielo esattamente come lo desidera il cliente, che se no “fugge via”. Al momento attuale, o almeno è quello che sembra,  bisogna preparare una “torta” nuova per ogni utente (device) e questo genera aumento di costi, mancanza di ottimizzazione, perdita di tempo. E non è qualcosa di buono!

Non scendiamo sul lato puramente tecnico solo per non innescare discussioni di parte, tra chi difende uno schieramento e chi l’altro: Flash ha i suoi meriti e le sue colpe, e lo stesso vale per le scelte di Apple, difficili da digerire per alcuni, e comprensibili dal punto di vista strategico (e forse anche da quello tecnologico). Quello che diciamo è che serve una via percorribile: rischiamo che queste lotte possano solo rendere più difficile l’evoluzione di questo mercato per tutti. O, meglio, per coloro che non solo enormi e che quindi hanno le spalle forti per seguire “tutte le strade”. Murdoch, l’altro giorno, ha dichiarato la propria soddisfazione per avere venduto più di 64 mila abbonamenti al New York Times per iPad, e ha invece criticato Kindle (che invece aveva elogiato in passato… diciamo che le opinioni sono abbastanza variabili, da quelle parti). I piccoli (e non solo loro), soffrono invece queste battaglie, che impongono di fare scelte che potrebbero rivelarsi limitanti, oppure di dover fare investimenti “misti” che potrebbero trasformare tutto in un calvario senza fine.

Pensate alle situazioni “semplici” di casa nostra: non sarebbe bello realizzare un catalogo per un cliente, un fotolibro per gli sposi, un proprio portfolio di promozione, e renderlo disponibile in tante versioni? (Cartaceo, web, app per iPhone, per iPad, per Android…). Certo che si può fare, ma se ognuna di queste “versioni” è un prodotto da sviluppare partendo da zero, allora… si finisce col lasciare perdere, e rendere meno soddisfatto il cliente. Non servono guerre di religione, non serve prendere le parti dei colossi… serve qualcosa a noi, che siamo terra terra, e che vorremmo avere meno problemi (già ne abbiamo tanti…) di quelli che ci buttano addosso. La speranza è quindi che si possa trovare qualche soluzione, ma… in realtà le soluzioni ci sono, solo che in giro si tende ad avere più voglia di discutere che non trovare strade alternative.

Di questo (anzi, molto di più) parleremo al JumperCamp del 24 maggio a Milano, dedicato al Self-Publishing. Sarà l’occasione di scendere nel dettaglio, di capire, di non fare il gioco di nessuno, solo il nostro (di autori, di fotografi, di persone che vogliono “pubblicare” i propri contenuti, e vogliono avere la speranza di renderli fruibili al maggior numero di persone). Come potete vedere, l’argomento è molto profondo e molto attuale e strategico. Non basta un SJ per parlarne, e forse non interessa a tutti, quindi per coloro che sono interessati, l’appuntamento è da non perdere. Non parleremo solo di queste tematica di iPad, iPhone, Flash e compagnia (dando delle soluzioni…), ma anche di modelli di business (ovvero: come poter fare soldi con un’editoria di nuova concezione, digitale o stampata su carta), come creare i progetti e come scegliere gli strumenti tecnici e di promozione. Vi aspettiamo in tanti!