The Chicago Sun-Times, uno dei più prestigiosi giornali americani, il 30 maggio, ha licenziato e mandato a casa tutto il suo staff di circa 30 fotografi. I motivi sono quelli di un taglio dei costi, ovviamente, ma c’è di più: quando bisogna “tagliare”, si riduce tutta la struttura in proporzione, non si taglia un dipartimento intero, a meno che non ci sia una strategia alle spalle, ed è di questa che bisogna parlare. Il management del giornale parla dell’esigenza di “informazione”, che il pubblico vuole più informazioni fotografiche e multimediali, e che quindi… licenzia i fotografi; per ottenere più contenuti visuali senza persone capaci di fare questo lavoro, il giornale promette corsi per l’uso dell’iPhone ai giornalisti, per consentire loro di effettuare scatti e riprese video mentre seguono gli eventi. E poi, ovviamente, si avvarranno di freelance dotati di smartphone, per infarcire gli articoli.
Questa non è la fine del fotogiornalismo, come in molti stanno dicendo: è la fine di un’editoria che – non essendo capace di creare prodotti di valore basati sulla fotografia – se ne libera, credendo che sia solo un costo. Riflettiamo, perché questa rischia di essere una buona notizia, per il fotogiornalismo e per la professione dei fotografi, purché si capisca che quello che sta cambiando è solo il posizionamento della fotografia e della sua cultura, non del mestiere. I motivi di questa dichiarazione (lo ammettiamo: controcorrente), sono i seguenti:
- Un editore che pensa che dei giornalisti possano mettersi a fare quattro foto o video decenti con l’iPhone e pubblicabili, è un editore che non sa di cosa parla. Prima di tutto, dal punto di vista economico (proprio il lato “forte”): i giornalisti si rifiuteranno di aggiungere, a costo zero, un lavoro in più (e allora, perché dare più soldi ai giornalisti? Non potrebbero darli ai fotografi?). In seconda battuta, perché la comunicazione che usa la parola è diversa rispetto all’immagine; certo che alcuni ci riusciranno davvero benissimo, quando faccio corsi nelle Case editrici (quindi ho cognizione di quello che si vive, all’interno di questo mondo), tendo a dire che questa fusione tra parole e immagini sarà sempre più importante, ma deve partire dalla formazione di base, nelle scuole di giornalismo, e non come corso “tecnico”. Il risultato sarà un peggioramento della qualità non solo delle immagini, ma anche del testo, perché il giornalista si troverà più impegnato a capire come fare “una foto decente”, invece che percepire e annotare gli aspetti giornalistici.
- Chi pensa che il problema sia fare un corso per spiegare come fare foto con l’iPhone è un beota. Semmai, servirebbe fare un corso su come, perché e quando fare una foto, un video, un’immagine. Se un giornalista possiede una fotocamera di qualità, perché dovrebbe lasciarla nel cassetto e usare un iPhone o uno smartphone? Il valore dell’uso di uno smartphone per fare foto sta nella sua immediatezza di comunicazione: dallo scatto, all’eventuale correzione/elaborazione con un’app, alla pubblicazione on line. Ma se le foto arrivano prima del testo (che deve essere scritto da chi, in quel momento, deve pubblicare le immagini), allora vuol dire uccidere non la fotografia professionale, ma il giornalismo. Una persona, per quanto in gamba (e il mondo è carente di persone in gamba, ci sono più mezze calzette, capaci di fare male mezze cose e non bene due cose insieme), non riuscirà a fare foto, video, elaborarle e allo stesso momento scrivere e correggere e pubblicare un testo. Questo vuol dire che le due azioni devono essere fatte in un secondo momento e quindi l’immediatezza di una foto online immediata perderebbe il suo senso.
- Chi giustifica questa scelta usando i dati di pubblicazione dei contenuti di immagini e video sui social network non capisce che il ruolo dell’informazione di qualità (o quantomeno quella a pagamento), deve essere quella di differenziarsi e non di appiattirsi. Ogni minuto (ogni minuto!), su Facebook vengono pubblicate 208,300 immagini, oltre 27 mila su Instagram, oltre 100 ore di video su YouTube. Secondo una stima di Yahoo saranno 880 miliardi le foto che verranno scattate nel 2014 (Marissa Mayer, la CEO, presentando le novità di Flickr, che ora offre 1 TB di spazio gratuito per tutti, per consentire di pubblicare immagini di alta qualità e risoluzione, ha dichiarato – ma poi ha smentito, dicendo che la sua frase era stata mal interpretata – che i “pro” nella fotografia non servono più a nessuno. In realtà, lei voleva dire che l’opzione “PRO” di Flickr non era più contemporanea, perché tutti fanno un sacco di foto, non solo i professionisti). Perché qualcuno dovrebbe, in questo magma di informazione visuale, puntare il proprio browser verso spazi di informazione gestiti da grandi editori, se questi ci propinano qualità uguale (se non peggiore… un fotoamatore farà foto migliori di un giornalista professionista che avrà fatto da due giorni un corso per fare foto con l’iPhone)? No, chi fa questa scelta pensa di essere intelligente, per risparmiare soldi, ma sta uccidendo definitivamente il ruolo dell’editoria di qualità (quella, lo dico ancora una volta per rimarcare, che vorrebbe essere fatta pagare).
- Forse la scelta di licenziare i fotografi è più facile, rispetto a licenziare altri professionisti che hanno delle realtà aggregative più forti, come per esempio i giornalisti? Secondo l’opinione (che condividiamo) di Vincent Laforet, i fotografi rappresentano all’interno del giornale il 5% del totale dei dipendenti, mentre sono circa 600 i giornalisti. Si poteva forse licenziare qualche fotografo e qualche giornalista, sarebbe stato più sensato, ma forse anche più pericoloso. Questo significa che solo l’unione fa la forza, ma deve essere unione positiva, costruttiva, forte, collaborativa. In questo, ci viene da pensare a quanto, in Italia, siamo incapaci, specialmente in questo settore della fotografia, di fare forza comune. Si pensa solo a fare le scarpe uno all’altro, si pensa di essere furbi, ma il giorno che succederà qualcosa come la storia che raccontiamo, saremo tutti ancora più indifesi.
Tutto questo dovrebbe lasciare l’amaro in bocca, ma crediamo che sia una buona notizia, tutto sommato. L’editoria e l’informazione di qualità devono scoprire e riscoprire la forza e il valore dell’immagine, puntare su questo elemento, proprio perché nel mondo si consumano e si producono sempre più immagini. Se l’editoria, se le aziende, se il mercato punta sull’impoverimento dell’immagine, sull’uso gratuito o malpagato di immagini realizzate da un pubblico amatoriale, se si vogliono trasformare i giornalisti in fotografi, quello che succederà è che un pubblico raffinato e sensibile, amante dell’immagine e del suo valore, potrà trovare altri settori dove l’immagine invece trova il suo spazio e il suo valore. E la monetizzazione di questo nuovo business, che sfuggirà agli editori e alle aziende più grandi, sarà portato da tante possibili entrate: abbonamenti di utenti appassionati, da sponsorizzazioni di aziende che vorranno uscire “dalla massa” brillando con luce nuova e forte, da pubblicità e da inserzioni che potranno essere create usando affiliazioni e modalità contestuali (come Google Adsense). O, ancora, saranno prodotti (libri, riviste, album, app, storie illustrate che potranno essere create per un pubblico specifico.
Le scelte stupide e senza futuro come quelle fatte da The Chicago Sun-Times aprono nuovi orizzonti per i piccoli, per quelli bravi, per quelli che sanno davvero come creare emozioni e valore con le immagini. C’è solo un problema: il fatto di non avere un “datore di lavoro” che ci paga le bollette, mette sulle nostre spalle le responsabilità delle scelte (estetiche, tecniche, strategiche): se sbagliamo, se facciamo prodotti che non hanno successo, è e sarà sempre più solo per colpa nostra. E questo significa anche che se faremo foto che non sono evidentemente migliori di quelle che miliardi di persone fanno e pubblicano online, vuol dire che non riusciremo a giustificare il nostro ruolo e il nostro prodotto. Insomma, la buona notizia è che ci sarà sempre più spazio per prodotti di vera qualità. E sempre meno spazio, nel business, per prodotti di scarso valore.
Andrea Di Castro says:
“Questo significa che solo l’unione fa la forza, ma deve essere unione positiva, costruttiva, forte, collaborativa.” Questo dev’essere la base da cui (ri)partire!
Fabio says:
In Italia siamo tranquilli.. I quotidiani prima di licenziare i fotografi dovrebbero almeno assumerli!
Paolo says:
Per la prima volta, forse, non sono d’accordo con te. ;) Comprendo il discorso e concordo con quello che dici ed ha senso. Non è sbagliato …hai ragione…ma è uno sguardo un poco limitato, permettimelo…lo dico con molto affetto e stima. Quando parli di qualità mi pongo delle domande. Cosa è la qualità? In quanti sanno riconoscere la qualità. Come si definisce e filtra la qualità. Ci sono testate convintissime che le loro immagini siamo di qualità anche perchè il loro pubblico compra lo stesso e mica se ne accorge se è un’immagine significativa o meno, non dico bella che è un’altra parola soggettiva e quindi facile a fraintedersi. Conosco da tempo giornalisti “ad esempio di viaggi” che fanno da loro le immagini a corredo del loro articolo. Le mandano al giornale e il ragazzotto di turno fa un po di postproduzione e a meno che sei proprio scemo “ecco qua una ‘bella’ immagine che piacerà a tanti lettori. Se non c’è conoscenza e cultura e non si sono viste migliaia di fotografia di grandi autori e non si conosce la storia…ecco che il tramonto di Ciro l’elettricista avrà più “mi piace” di un paesaggio di ANSEL ADAMS. Ecco che il ritratto del pescatore di sera sarà più apprezzato di un ritratto di Avedon su fondo bianco.
Le cose sono cambiate. Prendiamone atto. Va anche detto che moltissimi fotografi una volta potevano fare il loro lavoro solo perchè a differenza di altri, giornalisti compresi, avevano la competenza dell’uso del mezzo, della pellicola e quindi il loro valore era solo saper utilizzare un mezzo. Ora che il mezzo non ha bisogno di competenze siamo tutti fotografi,…certo sapere raccontare con immagini significative e non solo spettacolari è un’altra cosa… ma quante persone sanno coglierne la differenza??? Quindi anche se si è fotografi “DAVVERO”, con capacità fotografiche superiori alla media non c’è molto modo di elevarsi. La Magnum ormai fa marchette,..dico …LA MAGNUM… ci sarà un motivo no? Ho passato un weekend con Scianna, Berengo, Harari etc… e anche loro vivono più che altro di quello che hanno prodotto nel passato. Qualcosa di nicchia resterà e vivrà bene. Qualche imprenditore/editore illuminato e colto ci sarà… ma sarà sempre una cosa di nicchia, per pochi che magari hanno già un nome o pochissimi altri new entry. Quindi la notizia di Chicago non è ne bella ne brutta, è una conseguenza di questa mutazione culturale tecnologica …una mutazione epocale come successe a Londra nell’800 con la rivoluzione industriale. Da sempre molti mestieri muoiono e altri nascono. Qualcuno rimane di nicchia. Non esistono più “quei” calzolai, non esistono più i fotolitisti, gli spazzacamini, i riparatori di grammofoni ;D …La fotografia muterà probabilmente in video e rimarranno solo gli artisti fotografi, quelli che usano il mezzo per esprimere concetti artistici, quindi non propriamente fotografi di professione. Succede. E’ una mutazione. Rimanere attaccati ai rami dell’albero ormai travolto dal vento del nuovo mercato è stupido, o si muta e ci si mette le pinne o si annega,… forse qualcuno potrà trovare un salvagente per un po’,…magari si trova uno scoglio su cui fare quella strana cosa che una volta si chiamava fotografia. Mutazioni. Succede. E’ successo. Mutiamo con il mercato e non disperiamoci, ci sono un sacco di cose da fare “intorno” a quello che resterà della fotografia. :)
Paolo says:
Chiedo scusa, il mio commento è finito come replica a Fabio, non era mia intenzione, era rivolto in generale, sorry! :(
Luca Pianigiani says:
In realtà stiamo dicendo la stessa cosa, Paolo. Quello che aggiungo io è che l’inevitabile (compresi i cambiamenti storici che hai citato) hanno lasciato aperta una porta di nicchia, che può rinascere e far rinascere. Non vale per tutti, solo per i migliori, quelli che trovano e troveranno qualcosa da proporre, di altissima qualità e che saranno capaci di cercare nuovi mercati, con utenti in grado di comprendere ed apprezzare (e anche criticare… per questo bisogna essere bravi).
Oggi non basta più “saper fare foto”, lo diciamo da molto tempo. E non si può sperare più che qualche entità come le riviste e gli editori possano far sopravvivere questo settore. Malgrado questo, c’è spazio, e parte di questo sarà quello lasciato proprio da questi colossi. C’è da rimboccarsi le maniche, non per piangere ;-)
osvaldo says:
il commento di fabio è bellissimo :)
luca allora coalizziamoci e facciamo un giornale solo con i fotografi, senza giornalisti. le immagini si commentano da sole… beh, magari accompagnate da una didascalia
Luca Pianigiani says:
Possiamo anche farla, una rivista di sole immagini. Ma deve essere un progetto super figo… non tanto per fare…
mario says:
si, sono daccordo con i due precedenti post nel senso che:
“Questo significa che solo l’unione fa la forza…in italia siamo tranquilli, non corriamo questo pericolo” :-)
( sulla necessità di uscire dal provincialismo e sul modo, sano, di fare rete mi sono già espresso in altro post)
Luciano says:
Affascinante e lodevole, il tuo vedere sempre in e il positivo… Anche con un cancro, si può ripartire e vivere quel che ti resta raccogliendo molto di più dalla vita… Però: perché arrivare al cancro?!
Parlo da fotografo iscritto all’ordine che ha collaborato 15 anni con un quotidiano… No, mi spiace, ma ciò che muove questo atteggiamento non è quello del buon maestro che ti porta a migliorarti, pur dandoti le bastonate. Ma del padrone che capitalizza, forte del fatto che ha un pubblico senza pretese…
Per noi non è cogliere un “opportunità” ma è semplicemente continuare a sopravvivere in un mondo fatto di compromessi e interessi!
… E comunque al giornalista non gli viene dato di più! Semplicemente gli viene detto: che così potrà continuare a fare il suo lavoro! (Questo quello che succede in Italia a Chicago non sò)
Paolo says:
Sembra quasi che il fotografo sia destinato ad una nicchia di sempre più bravi ma sempre meno?
La foto si trova già all’interno dei social, di YouTube, d’altra parte anche sui tg nelle tragedie sempre più video riprese dagli smartphone
A mio parere si l’unone fa la forza, ma di trovare qualcosa di nuovo da fare e da proporre altamente professionale, che possa fare la differenza, una cosa che noi possiamo dare
michele stellatelli says:
ciao, rispetto a questo concetto:
“se si vogliono trasformare i giornalisti in fotografi, quello che succederà è che un pubblico raffinato e sensibile, amante dell’immagine e del suo valore, potrà trovare altri settori dove l’immagine invece trova il suo spazio e il suo valore”
Mi viene da pensare…………..ma se la qualità media delle immagini decade, il pubblico a questa si abituerà e questa metabolizzerà per cui la domanda di immagini ben fatte tenderà ad esaurirsi.
Il vero problema è un sistema economico alla frutta anzi alla grappa, la coperta è corta, l’unica soluzione è accettare il dato di fatto: il valore monetario di un’ora-fotografia è ormai bassissimo, dobbiamo trasformarci in consulenti di immagine ad ampio raggio,la fotografia sarà solo una parte delle competenze.
mario says:
ok, ma se “qualunque” giornalista ovvero “chiunque” può fare oggi fotografia perchè “qualunque” fotografo
non può “scrivere, raccontare, descrivere” ? :-)
è impedito da qualche norma o perchè è più “difficile” (e allora hanno ragione a dire che a fare le foto invece son buoni tutti) ?
è un problema culturale in senso stretto, di propensione o vocazione?
e ancora, se è un problema culturale in senso stretto, “qualunque” architetto, per esempio, è allora automaticamente ( è il caso di dire con le macchine di oggi) fotografo migliore di un fotografo di architettura?
Un ingegnere della Canon/Nikon è un fotografo industriale migliore?
se è così allora aveva ragione Franco Vaccari quando diceva che “Non è importante che il fotografo sappia vedere, perché la macchina fotografica vede per lui” :-) diversamente qual è il punto del mestiere che lo caratterizza e che lo rende ancora una professione per tanti ma non per tutti?
sandro says:
Son contento per chi appunto vede ancora positività in tutto questo …parafrasando e non me ne voglia nessuno …io credo che aver dato la possibilità a tutti di scattare foto belli brutti professionisti e non si sia fatto la solita cosa come dare a tutti la possibilità non di avere la patente ma di avere l’automobile che ci porta(porterebbe) grandi vantaggi ma anche tanti guai per l’uso anarchico che se ne fa fino a raggiungere gli abituali paradossi, come è successo due giorni fa, che una donna ha travolto e strascicato per 4 km la povera ragazza che ha avuto la sfortuna di trovarsi sul suo cammino. io credo che dovremmo tutti rientrare nei ranghi sia per la fotografia che come per l ‘automobile, invece ogni giorno che passa si concede a tutti di fare tutto ..e questo è il risultato chissà dove arriveremo
Un saluto
Roberto Cecato says:
Questo è l’onevitabile cambiamento storico, e siamo tutti presi un può allo sprovvisto. Dagli anni 70 fotografia non racconta più le notizie, rimasta ad un ruolo illustrativo sempre piu poveroo e triste. Proprio del 1980, alle prime armi, mi ha detto il mio maestro che secondo lui alla fine del secolo la professione di fotografo sarebbe scomparsa. Era il momento della Sony Mavica, primissima digitale che ha fatto pensare e discutere, l’annuncio di una nuova era. Il mio maestro ha sbagliato la profezia di una decada. Ormai è fatta: la nostra professione come l’abbiamo vissuta e conosciuta è finita. Bisogna far fruttare quello che può essere utile dalla nostra esperienza e inventarsi nuovi modi di vivere, una sfida per tutti. Grazie Luca per condurci a queste riflessioni sempre importanti,
Guliano Bernardi says:
Non capisco come si possa essere positivi con una notizia così…Dobbiamo essere realisti e prepararci al peggio per quel che riguarda la professione di fotografo, o almeno fatelo voi giovani, io mi sono già reso conto da un pò…
L’hanno scorso ho fatto 10 matrimoni, quest’anno solo tre, colpa la crisi ma anche il cambio generazionale, figli di Facebook, giovani sposi che: le foto le fa mia sorella, le foto ce le fa il nostro amico,o adirittura , ieri ho saputo di una coppietta di sposi che non ha proprio voluto le foto !
Io ho cominciato a fare il fotografo nel 1980, ho aperto 3 negozi di fotografia con laboratorio, nel 2000 dovevo essere realista e smettere alle prime avvisaglie del digitale, invece a forza di essere positivo mi sono mangiato il tesoretto che mi ero risparmiato negli anni ’80 e ’90, e se chiudo domani rimango con la Nikon, l’auto e l’archivio di diapositive…e tanto amore per la fotografia !
facciamoci coraggio…
Flavio Massari says:
>>>>> Tutto questo dovrebbe lasciare l’amaro in bocca, ma crediamo che sia una buona notizia, tutto sommato. L’editoria e l’informazione di qualità devono scoprire e riscoprire la forza e il valore dell’immagine, puntare su questo elemento, proprio perché nel mondo si consumano e si producono sempre più immagini.
Francamente trovo disgustoso questo modo di voler fare i fighi trasformando una notizia totalmente negativa in una buona notizia. Dov’e la buona notizia? Che trenta fotografi siano rimasti disoccupati è una buona notizia? Che dei trenta uno o due di loro potranno forse trovare il modo di riciclarsi è una buona notizia? Lo sarà per questi pochi forse quando e se questo accadrà….. Che un giornale abbia quest’idea della fotografia, sapendo che non è che lo specchio della grande maggioranza degli editori e ahimè anche dei lettori è una buona notizia? Certamente i nostri 30 faranno altro, forse meglio forse peggio, ma la notizia rimane pessima e non è spalmarla di miele che la rende buona…. A meno che non riteniamo ottima la notizia di un terremoto o uno tsunami devastante, perchè nella ricostruzione ci saranno tante opportunità di far cose belle…. Come si chiamavano quei due che ridacchiavano al telefono dopo il terremoto dell’ Aquila…….?
Luca Pianigiani says:
Flavio, ovviamente non hai capito il concetto espresso, cosa pensi che io sia insensibile? Preferisci che si dica “che schifo il mondo”? Su, fa schifo, ma questo non cambia le cose. Piangersi addosso non serve a nulla, pensare che ci siano i buoni e i cattivi neanche. Sono “stronzi” quelli che hanno licenziato 30 persone? No, non sono stati capaci di gestire l’evoluzione, ma stanno forse cercando di salvarne 600 (e il loro business, anche se non è detto che ci riusciranno, se andranno avanti così). La buona notizia non è quella dei licenziamenti, ma del DOVER prendere atto che un modello di business (editori che pagano e assumono fotografi) che apre gli orizzonti ad un nuovo business: quello di fotografi che fanno prodotti che possono vendere loro, cercando il valore su quello che fanno.
Prima di “disgustarsi” cerca di capire i concetti, a volte sono più profondi di quello che le provocazioni possono fare intendere. Le provocazioni forti attivano il cervello e fanno capire come reagire. Siamo una nazione che tende a piangersi addosso, invece che reagire… Io tento di dare – nel nostro piccolo, piccolissimo – di dare strumenti per reagire. Per chi vuole coglierli.
mauro fermariello says:
Bel post, non concordo solo sul fatto che i giornalisti si rifiuteranno di fare le foto gratis. Hanno la pistola alla tempia, faranno qualsiasi cosa. saluti
Luca Pianigiani says:
@Mauro: mi sa che non conosci da dentro la categoria dei giornalisti … Ci sono stati scioperi perché i giornalisti “della carta” si rifiutavano di scrivere “per il web” …
Gianmario says:
Hai ragione Luca, ci sono giornalisti disposti a scioperare perché non vogliono scrivere “per il web”, ma sono ormai una minoranza: quella protetta da un contratto, mentre buona parte delle notizie di quotidiani e riviste arriva da collaboratori sottopagati, disposti a tutto, anche a fare un corso di fotografia lampo pur di lavorare. Non è solo la qualità delle immagini a soffrire, sulla carta e ancora di più sul web (dove non ci sono caposervizio o caporedattori a fare verifiche) il livello qualitativo dei contenuti è in caduta libera, così come in molti campi della cultura in generale.
La notizia del licenziamento dei fotografi a Chicago non è rilevante in quanto buona o cattiva, è un evento inevitabile vista la situazione di gran confusione in cui ci troviamo, che dimostra come nel tentativo di far quadrare i conti, si prendono decisioni sballate un giorno dopo l’altro. Anche i ristoranti comincerebbero a licenziare gli chef, se nessuno fosse più in grado di capire la differenza fra un cibo di buona e cattiva qualità, se il problema da risolvere fosse solo quello delle calorie a che servirebbero le raffinatezze gastronomiche? Ora per quanto riguarda la fotografia e l’informazione in generale, sembra (ma non sono del tutto convinto che sia così) che siano sempre meno quelli capaci di distinguere nel menù proposto dalla stampa e dai media, quello che c’è di buono da quello che c’è di cattivo. Quando non ci sono più soldi per pagare i professionisti dell’informazione
( fotografi o giornalisti) e si tenta di imbandire la tavola con quel poco che è avanzato, cosa si può ottenere? Chiedetelo a Carlo Cracco o a Danilo Cedroni quanto costa allestire un menù e una tavola di alto livello. In Italia la situazione è diversa e decisamente peggiore di quella americana da molto tempo, da anni i giornali non hanno più fotografi dipendenti, si lavora con i free lance, che devono accattivarsi simpatie e trovare storie sempre nuove per ricavare compensi magrissimi, pensate che a fronte che delle 800.000 lire a pagina di borderò di cui disponeva una rivista come Airone negli anni ottanta, attualmente non si arriva ai 100 euro, i fotografi del TCI lavoravano a fine anni settanta e ottanta con compensi da 500.000-700.000 al giorno, per mesi interi, gli editori anche quelli piccoli, anticipavano le spese dei collaboratori in trasferta, pagavano rullini e sviluppi per i servizi fotografici, quando un direttore giudicava interessante un servizio già prodotto, lo acquistava pagandolo nel giro di un mese, indipendentemente dalla data di pubblicazione. Chi mi viene a raccontare che senza soldi si possono produrre belle storie, racconta mezze verità, se un fotografo del National Geographic disponeva di 6 mesi per produrre un lavoro(adesso concedono pare 6 settimane), forse un motivo c’era, oggi se ancora ti arriva un incarico, ti chiedono di anticipare i soldi e di metter in fattura le spese, che così risulteranno utili, sui quali pagare le tasse. Mi sembra evidente, un sacco di cose sono cambiate, in peggio, come senza il mecenatismo, non ci sarebbe stata l’arte nel Rinascimento, mi par di capire che con i pochi spiccioli degli editori non rimanga molto da progettare. E non datemi del pessimista. Ciao
manuela says:
L’ immagine fotografica di qualità è universale e parla tutte le lingue. Peccato che i primi a non capirlo siano proprio i giornali. Editori date al giornalista in mano la penna, al fotografo la fotocamera e al lettore un giornale ben fatto, ve ne saremmo tutti grati.
mario says:
“…Da sempre molti mestieri muoiono e altri nascono. Qualcuno rimane di nicchia. Non esistono più “quei” calzolai, non esistono più i fotolitisti, gli spazzacamini, i riparatori di grammofoni… ”
Ho comprato un paio di scarpe di una famosa marca marchigiana, la suola naturalmente è tutta gomma con il marchio in vista sul tallone. la suola era ormai “piallata” ma la tomaia ancora buona, il mio calzolaio con 30 euro ha rifatto completamente le suole e sostituite le solette. Non ho più il marchio sul tallone ma un paio di scarpe invernali perfette per un altro paio di stagioni.
il calzolaio dice che erano anni che non vedeva tanta gente, due ragazzi hanno (ri) iniziato a riparare ombrelli e cinture e certo non festeggeranno mai il loro primo milione di utile ma ci campano.
ma voi pensate davvero che cambiano solo “alcune” cose? le parole traggono in inganno, questa non è una crisi è ( l’inizio) della fine di un modello di civiltà tutto occidentale ( nella storia dell’uomo niente è rimasto per sempre) . chiamatelo come volete ma la crescita all’infinito in un sistema per definizione finito è impossibile.
la tanto acclamata apple usa con orgoglio la parola “ecosistema” e tutti a ripetere dimenticando il fondamentale concetto di entropia. Inutile farsi illusioni, chi a oltre 50 anni ha fatto per 30 anni matrimoni non diventerà un esperto dei nuovi media di colpo ma avrà accumulato esperienza per indirizzare e guidare altri percorsi…con i giovani per esempio.
Vittore Bizzi says:
Rimarranno molti pochi fotografi. Quelli in grado di innovare e anticipare i tempi. Chi pensa che basta adattarsi si dovrà ricredere. Bisogna essere bravi, veloci e flessibili. Questo non vuol dire svendersi ma reinventarsi. Fare il fotografo è diventato più facile per quello che riguarda la produzione più difficile per quello che riguarda mantenersi. Luca lo ha sicuramente capito e la sua professione è cambiata in maniera radicale negli ultimi anni. La mia anche. La vostra?
mario says:
@Vittore Bizzi ciao, potresti fare un esempio di come è cambiata la tua? Luca Pianigiani negli ultimi 20 anni si è occupato di editoria/consulenze/formazione/web/ etc ma non so se ha uno studio di produzione.
io continuo a pensare che aggiornarsi ed essere flessibile sia un imperativo, ma “reinventarsi” mi sa tanto di “fare altro”, legittimo e a volte necessario ma è un altro discorso.
Io vorrei continuare a fare il fotografo, in chiave terzo millennio sicuramente, ma se devo fare altro io preferisco di gran lunga gli orti e non scherzo.
Luca Pianigiani says:
Per la cronaca, produco, compro, vendo e progetto comunicazione e immagini per aziende, editori e clienti nazionali, internazionali e multinazionali. In questi trent’anni sono passato dall’essere Forografo, produttore di pubblicità, di riviste, di siti, di riviste digitali.
Il concetto è che faccio, non solo “dico”. E ho visto (e in piccola parte influenzato) l’evoluzione del mercato dell’immagine e lo vivo sulla mia pelle a contatto con il mercato, forse più all’avanguardia rispetto alla media perché si rivolge a me una tipologia di azienda che cerca innovazione. Ho avuto tante volte conferma che la parola “innovazione” apre le porte, purché sia vera, profonda, concreta… E non per modo di dire (è un modo di dire dilagante). Quando si stupisce e si emoziona, chissà com’è si aprono gli orizzonti dei budget.
Crederemi, non sto facendo teoria, cerco sempre di parlare di fatti, magari leggermente in anticipo, ma proprio per avere la chiave e la magia dello stupore: per me, per il mio studio, e per trasferirlo ai professionisti che ci seguono e agli studenti ai quali insegno.
Vittore Buzzi says:
Io faccio il fotografo da molti anni.
Il mix del mio fatturato è molto cambiato.
1990 – 1999 — 100% commerciale
2000 – 2005 50% commerciale 25% archivio (veniva venduto tramite Alamy allora avevano 50.000 foto di cui 4000 mie foto stock dell’Italia) 25% matrimoni
2006 – 2009 35% matrimoni 30% archivio 25% commerciale 5% corsi di fotografia 5% editoriale riviste estere
2010 – 2011 55% matrimoni 5% archivio (il mercato della foto stock crolla a livello individuale mentre aumenta il fatturato complessivo) 20% commerciale 18% corsi fotografia 2% editoriale riviste estere
2012- 55% matrimoni 1% archivio 15% commerciale 29% corsi fotografia
2013- 45% matrimoni 35% corsi fotografia 20% commerciale
Il fatturato è aumentato costantemente tranne nel 2010 quando il crollo delle vendite di foto stock mi ha trovato impreparato a sostituirne il flusso di cassa. Si sono accorciati i tempi dei cambiamenti ed, a oggi, dopo aver vinto un premio al World Press Photo si sta aprendo un nuovo filone la vendita di stampe ad amanti della fotografia di reportage sopratutto all’estero.
Questi cambiamenti non sono subiti ma cercati con azioni forti di comunicazione su internet e sui Social media riorientando la mia offerta secondo le esigenze del mercato e reinventandomi la professione producendo immagini. Grandissima fatica, credete, non ho avuto tempo per lamentarmi ho dovuto correre, studiare ed imparare. Se non lo avessi fatto oggi non sarei più nel settore della fotografia. Devo ringraziare la mia gioia nel fare il mio lavoro e i colleghi con cui ho condiviso il mio percorso. Da solo non ce l’avrei fatta.
Alessio says:
Luca…. Vittore….. grazie per questi ultimi due interventi!
Ogni volta che leggo feedback del genere mi convinco che sono sulla strada giusta e sto facendo le scelte giuste! :D
mario says:
ciao, intanto mi fa piacere che qualcuno si prende la briga di rispondere e quindi dare seguito alle discussioni che altrimenti si fermano a qualche commento senza “interazione”.
@Vittore hai detto bene : da solo non ce l0avrei fatta. lo sostengo e…lo pratico da tempo. in un altro post ho fatto esempi concreti. vincere le invidie e le proprie insicurezze.
Perchè questo mestiere è “Quando si stupisce e si emoziona” lo avevo domandato in un post : ” cosa è che ancora tiene di questo mestiere?” e non si tratta di poesia ma di sano lavoro artigianale. Io resto convinto che questo sia un mestiere da Artigiano e non da industriale poi è chiaro che tutto questo questo non può avere nulla di sprovveduto ed è fintroppo ovvio ribadirlo.
il mio fatturato è calato siginificativamente negli anni ma riducendo le spese e condividendo tanto il mio utile ha retto meglio.
Luca nessuno pensa che tu viva fuori dal mercato lontano dagli umori reali è solo questione di core business.
Luca Pianigiani says:
@Mario: quale pensi che sia il mio core business, mandare gratis newsletter alla domenica? ;-))
mario says:
@Luca, No non credo. io per l’ 80 % faccio studio ( ci provo almeno) e il restante sono le altre attività ( corsi, qualche articolo ecc) . Ho avuto l’impressione che le tue percentuali fossero a parti invertite, tutto qui. ma forse mi sono sbagliato. niente di più e niente di meno.
ps. per essere chiari e sgomberare da qualunque equivoco: se non ritenessi comunque in qualche modo utile le cose che qui si dicono non avrei motivo per tenerlo tra i bookmark e solo che mi piace discutere…
la cara vecchia comunicazione : messaggio1 — feedback- messaggio2 cercando di utilizzare lo stesso codice e lo stesso canale ;-))
Luca Pianigiani says:
Nessun problema e ovviamente grazie che ci segui. Ci tenevo a rimarcare in concetto che credo che sia sempre necessario parlare di quello che si fa, ed è questa la filosofia di questo spazio. La teoria serve a poco, se non si verifica, e quello di cui parlo fa parte del mio “fare”. Jumper è quasi un hobby, e sicuramente è un costo, non un guadagno. Mi guadagno da vivere facendo altro (produzione e progettazione, appunto), quindi vivo con la stessa intensità e gli stessi rischi vostri il mercato :-)
Vittore Buzzi says:
Giusto, la riduzione drastica delle spese mi ha permesso di avere qualche soldo da reinvestire.
Non ho citato il video che ora è iniziato ad entrare nei miei progetti… Piano e grazie ai matrimoni…
Molto è cambiato anche nella attrezzatura… via le refelex e spazio al Micro 4/3. Leggere meno costose… Solo poche situzioni richiedono più di 12 milioni di pixel.
Sono anche diventato editore di me stesso.
La mia pagina FB fa circa 250.000 interazioni alla settimana.
È diventata uno strumento di marketing potente ed efficace curata con amore e contenuti.
Per quanto riguarda Luca penso che quello che sta facendo non sia banale e che sia costato molti sacrifici, si è inventato dei nuovi mercati ha visto opportunità dove nessuno vedeva niente.
Io lavoro con molti associati diversi a seconda dei settori…. Still-Life,pubblicità, architettura,weddding,corsi,video…. È impensabile che io abbia le competenze,l’attrezzatura e gli spazi per fare tutto.
Vittore Buzzi says:
Infine una nota su editori,photoeditor,giornalisti e grandi agenzie fotografiche.
Quest’anno al World Press Photo c’erano 7 italiani premiati di cui 6 free lance e uno soltanto,Paolo Pellegrin, che lavora per una agenzia.
Un photeditor, piuttosto importante, mi hainiziato ad ad ammorbare con la “solita” tiritera “sei sprecato a fare matrimoni dovresti pubblicare di più e non solo sui blog o su FB e in India o in medio oriente” l’ho guardato e gentilmente ho chiesto: “vuoi comprarmi o pubblicarmi un lavoro?” Ha esitato poi ha detto “certo, anche se i budget sono ristretti…” mi conosce da 20 anni e in 20 anni zero non l’ho più sentito.
Penso che non dare qualità giornalistica, foto giornalistica e video sia uno siocchezza abissale, depauperare un giornale al livello di un blog locale non lo renderà più forte ne accelererà il declino. Oggi fare editoria ha dei costi notevolmente più bassi produrre contenuti interessanti rimane sempre un mestiere che si deve imparare e non si fa con il digitale, o con il computer o con internet, si fa con la testa investendo su se stessi e condividendo con le persone vicine.
Infine Luca sai benissmo che Jumper non genera direttamente denaro ma lo fa per via indiretta. Come le foto di reportage mi consentono di riempire i corsi e di prendere altri tipi di lavori… Oggi la professione ha preso delle vie “indirette” che da fuori sembrano semplici e accessibili ma che alla prova dei fatti richiedono tanto tanto lavoro. Vedremo tra un anno cosa sarà successo se il Chigago Sun Times avrà riguadagnato salute e se noi avremo cambiato ancora il nostro mix di fatturato :-)
DArt says:
Il post solleva una serie di questioni che effettivamente andrebbero portate avanti, come ho potuto leggere in alcuni commenti.
Ultimamente sono dell’idea che la figura del fotografo con l’avvento del digitale sia paragonabile a quella dello scribacchino ai tempi dell’alfabetizzazione. La scrittura divenne alla portata di tutti, e lo scribacchino scomparve. Eppure oggi esiste la figura del dattilografo, mentre molti altri utilizzano strumentalmente le proprie nozioni di scrittura e lettura, tanto sul lavoro quanto nel resto della propria vita privata.
Credo che il digitale similmente all’alfabetizzazione abbia concesso a molte figure professionali di utilizzare allo stesso modo gli strumenti fotografici, funzionalmente al proprio lavoro (ad esempio ho un’amica restauratrice che fa anche macro dei materiali di statue e mobili di cui si occupa). Così mentre molti ambiti hanno meno bisogno di un fotografo e quindi in un certo senso la fotografia si è “disciolta” nelle varie aree, oggi il fotografo duro e puro è qualcuno che, come dà a intendere il tuo articolo, ha bisogno di specializzarsi in maniera esponenzialmente superiore rispetto a quello che era in passato.
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