Le immagini generiche vengono snobbate dagli utenti del web. Inutili, quindi, rendono pesanti e poco “interessanti” le pagine, non consentono di aggiungere valore in generale, ma ancor di più nell’ottica di strategie di vendita. Questo è il frutto di uno studio recentemente pubblicato da Jakob Nielsen.
Faccio una premessa: non ho mai condiviso molto il lavoro di Nielsen, padre dell’Usabilità, concetto che vuole mostrare in che modo un sito può essere efficace nella sua comunicazione, evitando errori grossolani e facendo in modo che l’utente possa trovare sempre e velocemente le informazioni che desidera. Non è che non sia giusto, questo studio, ma come tutti gli “schemi” mette in luce anche i limiti di una comunicazione che funziona in certi ambiti, ma che non può essere assimilato a tutto. Per chiarirci: se il sito dell’Alitalia non mi consente di raggiungere l’informazione subito perché l’interfaccia non è logica, allora gli studi di Nielsen sono fondamentali, così come – nella vita fisica – le indicazioni all’interno di un aeroporto per sapere dove bisogna fare il check in, dove sono i gate e dove poter fare la pipì devono (dovrebbero) essere efficaci e logiche. Ma se lavoriamo su elementi emotivi, su coinvolgimenti concettuali, se vogliamo dare non solo “informazione veloce” ma trasmettere feeling, allora tutto quello che diventa “schema” si trasforma in una banalizzazione fastidiosa. Per fare un esempio ancora più calzante, ci sono siti-supermercati di dati e di informazioni che richiedono una struttura che proprio sta alla base della progettazione dei supermercati fisici, ma poi ci sono siti-botteghe che invece fanno della ricerca non banale, del sapore del “cercare e scovare” il loro punto di forza, proprio come i negozietti carichi di piccole-grandi meraviglie il loro fascino.
Sta di fatto che, qualche giorno fa, Nielsen si è occupato di come le persone reagiscono alle immagini on line, e dice cose che sono abbastanza ovvie (tutti gli schemi sono ovvii), che noi abbiamo difeso da diversi anni e che abbiamo cercato di trasferire ai fotografi. Siamo contenti che questi studi, meno autorevoli e meno “ufficiali”, trovino conferme, ma specialmente è l’occasione per riprendere alcuni concetti che possono rivelarsi utili nell’analisi delle strategie che i fotografi devono (possono) mettere in pratica, proponendo nuovi servizi ai clienti, ottimizzando i propri sforzi, ma specialmente cercando di capire quello che si “venderà” nel prossimo futuro, comprendendo che anche gli “schemi” delle richieste di oggi (specialmente nel campo della fotografia stock – non importa se micro o macro, e questo argomento lo tratteremo sul primo numero di Jumper Photo Magazine, con un’analisi abbastanza approfondita di come vediamo noi questo mercato in futuro) potrebbero non essere vincenti nel futuro. Insomma, usiamo l’autorevolezza di Nielsen per attivare e migliorare il valore della nostra produzione.
La prima grande verità che ci viene “svelata” da Nielsen è che alcuni tipi di immagini vengono letteralmente “ignorate” dagli utenti dei siti. Sono per esempio quelle che hanno una funzione puramente decorativa. Le persone interpretano questi elementi visuali come “orpelli” di nessun valore informativo, servono solo come motivi visuali per alleggerire la pagina (appesantendola invece dal punto di vista dei bit). Siamo d’accordo, l’occhio umano – non dobbiamo dimenticarlo – è un organo di difesa, prima di tutto: presta maggiore attenzione a quello che non conosce e che non ha ancora codificato, perché potrebbe essere portatore di pericolo. Una volta che ha codificato, gli “all’erta” si riducono e l’attenzione si concentra su altro. Siamo stufi tutti di immagini che non dicono nulla, che non raccontano o approfondiscono, così come non ne possiamo più di parole buttate al vento, che riempiono solo spazi (sulla carta, sul web, tra un discorso l’altro dal vivo).
Altra caratteristica importante è l’uso di “persone”: se in passato forse potevamo pensare che un gruppo di persone fotografate sotto il titolo “La nostra società” potessero essere effettivamente il team di quell’azienda. Ora, quando vediamo questi gruppi “perfetti”, dove le segretarie sono tutte belle e bionde, il manager ha la faccia da simpatica canaglia, il vestito giusto e gli occhiali fashion, dove – per non fare un torto a nessuno, nell’ottica della “politically correct” – ci sono persone di varie etnie ed età, allora non ci caschiamo più, sappiamo che sono foto di stock, che quelle persone non sono “vere” e che quindi… non ci interessano (forse avere il cellulare della segretaria carina… ma non è informazione disponibile!). Al contrario, immagini di persone “vere”, che ci permettono di sapere chi c’è dietro una realtà che possiamo vivere solo attraverso un sito (la faccia del blogger che leggiamo, le persone che si occupano del marketing, della produzione, del rapporto con i clienti di un’azienda) sono elementi che catturano l’attenzione e che quindi fanno “investire” più tempo. Insomma, più produzione dedicata ad una realtà e meno stock, se vogliamo attrarre e avere immagini che effettivamente catturano l’attenzione.
Altro argomento: la capacità descrittiva vince sull’immagine generica. Un sito che ci mostra immagini di prodotti che effettivamente ci permettono di andare alla ricerca di dettagli interessanti otterrà maggiore attenzione rispetto ad un sito che usa le immagini sono come “segnaposto”. L’esempio calzante fatto dallo studio di Nielsen è quello di una pagina di televisori su Amazon, dove si vede più l’immagine di un canoista o di un bambino o di un paesaggio, ma l’utente non è interessato a comprare nessuno di quei “prodotti” mostrati, ma una cornisce quasi invisibile che è “il televisore”. Al contrario, mostrare dettagli che possono fornire elementi di valutazione oggettiva, è una strategia vantaggiosa: per chi vuole avere un sito efficace, e per i fotografi che vogliono proporre il proprio lavoro.
Per finire questa breve carrellata, va valutato il discorso della dimensione delle immagini. Si parte da un consiglio “storico”, che era quello che Nielsen inseriva nel 2005 (quando leggevamo i suoi libri), ovvero di non eccedere nella dimensione delle immagini. All’epoca era essenzialmente per motivi di velocità di banda, un problema che in parte è stato risolto, ma anche per motivi di risoluzione degli schermi (vi rendete conto che cinque anni fa la media dei siti era ottimizzato a 800×600 pixel? ora che abbiamo sui portatili risoluzioni con base 1280 e 1440 e desktop che arrivano e superano facilmente i 1600 pixel, questo problema è davvero alle nostre spalle). Nielsen continua in parte a difendere comunque una navigazione non appesantita da immagini grandi, ma se questa scelta può essere anche discutibile in certi casi (per esempio, quando l’immagine è più importante del testo), di sicuro è condivisibile il discorso che quando è l’utente che richiede di “ingrandire”, questa esigenza deve essere soddisfatta: troppo spesso, l’immagine – quando clicchiamo per ingrandirla – è solo del 20% più grande, per di più (questo lo aggiungiamo noi) con una qualità pessima, compressione eccessiva, con perdita di sfumature di colore importanti. Se è l’utente a “volerla grande” vuol dire che vuole approfondire dei dettagli, quindi valgono non solo dimensioni e qualità migliore, ma anche soluzioni di navigazione come per esempio Zoomify per poter ingrandire a piacimento ogni dettaglio.
In definitiva, questi pensieri riflettono un malessere del mondo del web (ma secondo noi è molto più ampio il discorso, e vale per tutti i media): non se ne può più della “fuffa”, non serve a niente, occupa spazio e non aiuta a creare vera informazione. Con questa esigenza si devono confrontare i produttori di immagine (non solo foto, ma anche video, anche grafici, illustratori. eccetera), e proporre alternative credibili ad una massificazione di un linguaggio visuale che non porta a nulla, e che non avrà successo solo perché codificato e universalmente codificato. Andare oltre al banale, al “pronto e riscaldato”, ma con strategie di marketing e di vendita innovative, può essere un’alternativa sulla quale lavorare.
Stefano says:
Tutto condivisibile e molto probabilmente le tue conclusioni rappresentano il futuro dell’immagine. Attualmente però bisogna anche ricordare che il sig. Yuri Arcus, il fotografo da cui hai preso l’immagine, per mostrare cosa non servirà in futuro, fattura qualche milione di dollari all’anno proprio con immagini del genere vendute sui microstock. Io ti leggo sempre appassionatamente perchè mi sembra di leggere il futuro. Leggere il SJ è come guardare nella sfera di cristallo. Attualmente però i numeri sono ancora dalla parte di Yuri. E se invece per il futuro servisse sia Bigazzi che il cotto e mangiato?
Luca Pianigiani says:
E’ assolutamente giusto, Stefano. La mia infatti non è una critica nei confronti di chi fa business oggi. Ma come al solito, i meccanismi del successo sono difficili da inseguire, più facile (anche se più faticoso, per certi versi) cercare di anticiparli, per essere al centro delle evoluzioni, e non rincorrendo metodologie che, quando appaiono evidenti e mature, sono difficili da raggiungere per chi comincia ora.
paolo says:
Buongiorno
a Novembre (e Dicembre) non ci sono seminari?
Luca Pianigiani says:
Ciao Paolo: si, ci saranno le li annunceremo la prossima settimana ;-)
Giorgio Fochesato says:
attendo con impazienza il numero 1 del JPM ;-)
Luca Pianigiani says:
Anche noi ;-))
marco says:
strategie di marketing e vendita innovative per i fotografi che vendono le proprie immagini ma non per quelli che lavorano su commissione dove devi convincere il cliente che quanto ti chiede è superato e occorre presentare immagini con contenuti e di significati mentre spesso ti chiedono la fuffa e nel miglior caso qualcosa di descrittivo a servizio dell’utente;
è importante creare immagini con stile proprio dove si comunicano, a seconda delle esigenze, non più solo belle immagini in senso tecnico e puramente descrittive ma anche contenuti che possano essere usati per “significare” ciò che interessa alla bisogna,
ciao a tutti marco
Massimo Dordoni says:
…e siamo sempre lì, alla percezione pura, alle dinamiche primordiali della sopravvivenza.
Illuminante come sempre caro Luca.
Buona giornata.
ps per conto mio non so se sono leone o gazzella, ma corro, corro, corro….
Vittore Buzzi says:
Solo alcune informazioni.
Nielsen, Norman e Tognazzini (se quest’ultimo nome non vi dice niente “During his 14 years at Apple Computer, Tognazzini founded the Apple Human Interface Group and acted as Apple’s Human Interface Evangelist.”) le trovate qui http://www.nngroup.com/about/people/
Le ricerche e i precetti di Nielsen hanno la sgradevole sensazione di sembrare informazioni banali e ovvie. La grandezza del NNG (Norman Nielsen Group)è quella di prendere delle informazioni banali e ovvie e di dedurne uno schema di riferimento di avanzare delle ipotesi e poi di andare ad eseguire dei test in maniera scientifica. Cosa né banale né ovvia.
Sulle immagini Nielsen ha sempre avuto un approccio minimalista e sui siti internet ha sempre pensato alla rete con un occhio da architetto delle informazioni.
Quasi tutti i suoi precetti non sono, facilmente applicabili a:
· Siti Artistici
· Siti di professionisti della creatività
· Siti da feticisti degli oggetti
Però penso che se si “vende” qualcosa (può anche essere la propria professionalità) allora i principi di usabilità servono e tanto magari mescolati con un po’ di emotività.
Interessante, a questo proposito, la Home Page di Apple che apre con uno schermo nero da cui il nuovo “Air” risalta e buca il monitor (per i feticisti) per poi lasciare spazio al sito completo.
L’immagine è un potente veicolo emotivo se viene usata in maniera corretta sfocia poi in una vendita o in un contatto. Per noi fotografi che vendiamo la nostra professionalità è più che mai vero. Ovvio che un sito con immagini bellissime in cui è impossibile trovare il nostro numero di telefono o la nostra mail non serve a molto.
Grazie Luca per aver ritirato fuori JN era un po’ che non se ne parlava e man mano che la rete cambia anche il modo di utilizzarla si evolve.
roberto zanni says:
ho provato a vendere in stock immagini con contenuto appena differente dalla “media”
ma vengono regolarmente rifiutate dal gestore
preventivamente
quindi se vuoi vendere produci solo immagini scontornate semplici di concetti consueti senza nessuna variabile
anche la forma deve essere nei canoni richiesti
il fast food delle immagini ha fatto chiudere il ristorantino con piatti fatti a mano
forse quando si saranno stancati delle stesso sapore delle immagini
intanto 4foto in padella e la cena è pronta
Luca Pianigiani says:
Roberto (ed altri): le tematiche che affrontiamo sul SundayJumper cercano di guardare oltre. “Oltre” può essere positivo, ma al tempo stesso non bisogna sempre “correre avanti”: quello che conta è sapere dove si sta andando. Al momento, il mercato è assolutamente e quasi totalmente legato a dei clichè che seguono direzioni opposte a quelle che abbiamo indicato. Cambiare oggi (o sperare di cambiare) rischia di essere una scelta suicida. Al tempo stesso, arroccarsi sulle posizioni attuali e crederle “assolute” e di lunga durata è prassi anche in questo caso pericolosa. Bisogna sopravvivere oggi, e bisognerà (si spera) sopravvivere domani. Quello che abbiamo segnalato in questo SJ è una tendenza, frutto di studi, che conferma un’esigenza di un cambiamento, ed è un cambiamento che dovremmo (credo) sfruttare e proporre, con i giusti tempi e con le giuste azioni; al tempo stesso, dobbiamo mangiare oggi, e se oggi ci chiedono alcuni prodotti, dobbiamo essere in grado di darli. Guardando, appunto… oltre.
Giorgio Fochesato says:
@Roberto: hai mai visto la collezione Vetta di iStock? è anni luce dallo stock tradizionale eppure è un successo enorme per tutti: clienti, fotografi, agenzia.
I clienti trovano foto pazzesche di una creatività e particolarità unica. I fotografi possono esprimersi fuori dai canoni dello stock a guadagni maggiori.
Il mercato sta cambiando da un pezzo ormai!
Vetta: http://www.istockphoto.com/vetta
Luca Pianigiani says:
Giorgio: Vetta e le strategie di iStock in parte riflettono una parte di questa evoluzione, non certo da sola. Quello che andrebbe valutato è un concetto più ampio dove “creatività” e “particolarità” si uniscono all’utilità. Ma questo fa parte di un’altra storia, molto più complessa. Quello che si voleva segnalare era una percezione che diventerà più forte anche grazie a dialoghi come questo (non certo noi, piccoletti, ma almeno gli studi condotti da Nielsen) per aprire gli occhi ad un uso più “intelligente” dell’immagine: sul web ma non solo! E’ un argomento per chi “compra” immagini, in prima battuta, e di conseguenza per chi le crea ;-)
Giorgio Fochesato says:
Vetta è un esempio concreto di questo cambiamento. Ce ne sono decine di esempi simili anche in altri settori ovviamente. A volte bisogna rendersi conto (e non lo dico a te) che quando ci accorgiamo di un cambiamento bisogna correre, perchè qualcuno sta già pensando al prossimo. Il cambiamento nella fotografia d’archivio, dove le fotografie “banali” non attirano più come prima, è in atto da molto tempo, quando arrivano i risultati delle ricerche vuol dire che ci sono dei numeri da analizzare e che di conseguenza il trend è più che avviato…
E’ il caso di iniziare a capire (non Jumper ovviamente) che lo scontorno bianco ha fatto il suo tempo… avrà sempre un’ampia fetta di mercato, ma parallelamente si sviluppano filoni ben differenti da questo genere che sono ugualmente redditizi proprio perchè sono nicchie ricercate.
E ovviamente a questo punto non mi resta che aspettare il JPM!
(hai notato come suona bene JPM in inglese?)
;-)
Luca Pianigiani says:
Giorgio: si, JPM suona bene, in inglese… speriamo ancora meglio di PDN ;-)
corrado a. says:
Stupidando:
Quanto dice Nielsen per me è poco credibile, non perchè abbia elementi per affermarlo, ma… per il nome.
Prevale in me il famoso detersivo per piatti e l’attore dei film demenziali…
(è’ come sostenere la ragione in un diverbio automobilistico vestiti da carnevale)
Scusate l’intervento :-)
ciao
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