Sono strade che portano a trovare nuove forme di monetizzazione di una conoscenza che spesso non viene riconosciuta sul campo del lavoro (leggete: pagata) e quindi si tenta di riproporla come valore e cultura che possa portare un reddito (aggiuntivo, integrativo o sostitutivo). In certi casi, si tratta anche di operazioni di marketing delle aziende che sono disposte a fornire tale conoscenza, tecnica e/o culturale, al fine di avvicinare utenti alle loro attrezzature, e di conseguenza all’acquisto.
Qualche giorno fa ero all’Apple Store appena aperto in centro a Milano, e distrattamente (mentre stavo discutendo per una riparazione) seguivo quello che un giovanotto stava raccontando ad un pubblico molto variegato di persone – più “meno giovani” che “giovani” – che la sua esperienza è nata con le reflex (chissà “quale esperienza”), ma che ora preferiva scattare le foto con l’iPhone. Benissimo, anche perché non solo è una procedura abbastanza comune a molti, ma perché si trattava di un mini corso ben posizionato nell’ottica di un’operazione di marketing in un negozio di un’azienda che non vende fotocamere ma smartphone, quindi ci stava che fosse una visione di “parte”.
Non importa (oggettivamente non ho nemmeno ascoltato, e senza offesa non credo che venissero erogate perle di saggezza o di approfondimento tale da richiedere attenzione da parte nostra) quello che si diceva, la domanda che ci siamo posti è: ma cosa si potrebbe insegnare, oggi, della fotografia? Quale è la finalità che si debbono porre i nuovi “maestri”,e quali sono le richieste del pubblico?
Ovviamente, visto che ci dedichiamo per buona parte del nostro tempo alla formazione universitaria in Accademie di Graphic Design che trattano anche la tematica della fotografia (che non insegnamo noi, ci occupiamo di altri settori) abbiamo anche di fronte agli occhi anche i metodi formativi che si sviluppano in questo ambito, e questo ci aiuta ad analizzare le possibili evoluzioni di questo insegnamento. Abbiamo avuto anche modo di intercettare una ricerca/censimento realizzato dall’Università di Firenze firmato da Cristiana Sorrentino realizzato per conto della SISF (Società Italiana per lo Studio della Fotografia). Un lavoro prezioso anche se difficile da sviluppare in modo esaustivo, perché come la stessa autrice segnala:
È importante sottolineare che, come per i precedenti rilevamenti, si sono riscontrate non poche difficoltà nel reperimento delle informazioni: esse, infatti, in molti casi, all’interno dei siti internet delle singole università, risultavano incomplete. Per questi motivi, il censimento non può essere considerato del tutto esaustivo ed è suscettibile di approfondimenti e sviluppi futuri, includendo anche altri ambiti formativi (fra gli altri, le Accademie di Belle Arti e gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche). Inoltre, al fine di evitare ulteriori ambiguità, si è deciso di censire solo gli insegnamenti e i laboratori contenenti nella titolatura del corso la parola “fotografia” (o “fotografico”) o la radice “foto” (come nel caso di “fotogiornalismo”).
I titoli che emergono con più ricorrenza sono “Storia della fotografia” (10) e “Storia e tecnica della fotografia” (10), quest’ultima nelle numerose varianti come “Storia e tecnica della fotografia e degli audiovisivi”, “Teoria, storia e tecnica della fotografia” e “Storia e tecnica del linguaggio fotografico”. Ma si trovano anche titolature come “Fotografia e cultura visuale”, “Arte, moda, fotografia”, “Cinema, fotografia, televisione”, “Modelli e linguaggi della fotografia contemporanea”.
Già, questa è una delle difficoltà: la fotografia è una disciplina che fa parte di tantissimi settori, con attitudini ed esigenze diverse: un corso di fotografia verso dove si può/deve orientare? Il documento, che va letto se vi interessate davvero alla tematica formativa e non solo “marginalmente”, mostra per esempio che negli ultimi anni il numero di docenti impegnati si è fortemente ridotto, a causa delle varie riforme che hanno investito il mondo della scuola, ed appare chiaro da alcuni dati più specialistici, sempre citando il documento:
la fotografia continua ad avere un ruolo tutto sommato marginale e non specialistico, come dimostrano sia la distribuzione dei crediti formativi per insegna-mento sia la scarsa possibilità di continuità formativa tra laurea triennale e specialistica (solo in 5 atenei su 12 lo studente ha la possibilità di approcciarsi alla didattica della fotografia nella laurea di primo livello e approfondirne gli aspetti e i linguaggi in quella di secondo livello).
Mettendo insieme i punti di questo discorso, come ci piace fare (o come tentiamo di fare), possiamo dire che la fotografia potrebbe avere ancora grandi margini di evoluzione nella sua formazione: spazi lasciati vuoti dagli atenei, esigenza di migliore specializzazione dei corsi attualmente proposti, analisi delle esigenze reali e dell’evoluzione della fotografia stessa. Per riuscirci, andrebbe però messo a fuoco il “cosa” insegnare, e quale “parte dell’esperienza” si può e specialmente “ha senso” trasferire alle nuove leve/generazioni.
Il mestiere di fotografo, soprattutto in Italia, ha seguito percorso autodidattici e specialmente in gran parte casuali: molti fotografi sono diventati tali, e anche bravissimi, seguendo un percorso personale, e certamente non replicabile, specialmente oggi, quando la fotografia è molto diversa rispetto al passato. Se – come spesso notiamo – si cerca di far seguire / replicare il proprio e personale percorso, se si usa come “testimonianza” la propria esperienza, purtroppo quasi sempre si arriva ad una semplice narrazione di una storia che non si ripeterà. Addirittura la tecnica che si è acquisita, oggi che senso può avere? L’approccio al “come fare una fotografia” dal punto di vista dello strumento, come si adatta o si può adattare oggi a sistemi di ripresa che hanno una logica completamente diversa? Se uno smartphone oggi permette addirittura di scegliere “dopo” la messa a fuoco dei piani o la sua esposizione, a cosa serve spiegare come effettuare questa scelta prima dello scatto? Se i visori delle mirrorless ci consentono di vedere esattamente la resa dell’esposizione, perché parlare di strumenti di misura che la analizzano a prescindere e che forse hanno più senso usando una reflex (che ha tante doti ma ci mostra l’immagine catturata da uno specchio e non da un sensore), e ancor di più quello che aveva tanto senso quando si scattava con la pellicola che ci imponeva un grado di previsione accuratissimo?
Quanto funziona applicare, per le nuove generazioni di “fotografi” le regole e gli approcci del passato? Qualcuno – ne sento tanti – dicono che solo usando la pellicola si impara a fotografare, solo usando un esposimetro a mano si capisce come si espone, solo usando la fotocamera in manuale si può capire come si scatta. Ne capiamo totalmente la filosofia, e possiamo anche parzialmente condividerla come concetto di base (imparare le cose in modo difficile per comprenderne la loro logica), ma al tempo stesso rimane un grande dubbio: non sarà che queste procedure – che hanno permesso a chi fa questo mestiere di impararlo dieci, venti, trent’anni fa – sono le uniche che si conoscono e quindi si insegnano? Siamo sicuri che dobbiamo trasmettere nel futuro un approccio che ha il sapore del feticismo e del vintage, invece che tradurre tutto in ambito moderno?
Oggi il mondo ha bisogno di fotografia che si sviluppa su canali di comunicazione molto variegati, quanto sarebbe bello ipotizzare dei corsi di fotografia che possano unire davvero il valore della tradizione con la contemporaneità. Per esempio: come si potrebbe prendere il valore dei grandi autori e trasformarli in contenuti e immagini “instagrammabili”? Come aggiungere cultura alle immagini che finiscono sui siti internet, come comprendere quali immagini davvero funzionano, non solo tra quelle che “facciamo” ma anche tra quelle che “selezioniamo” (come diceva un amico fotografo, ci sono ormai più fotografie di ghepardi che ghepardi… serve davvero farne altre oppure “fare il fotografo” può voler dire anche “saper scegliere e selezionare” immagini che già esistono?).
La fotografia di oggi è per molti inferiore a quella di “un tempo”, da tutti i punti di vista… secondo noi, non è così, al contrario. Il livello medio è altissimo, e cresce: dal punto di vista tecnico e da quello espressivo; una volta un corso di fotografia proponeva basi tecniche e un approccio alla composizione per utenti che non sapevano “comunicare con le immagini”. Oggi la tecnica è secondaria (non diciamo che sia “inutile”… dobbiamo però identificare cosa davvero “serve” e cosa invece è solo tempo sprecato), la capacità di comunicare con le immagini fortissima. Un corso moderno di fotografia dovrebbe spogliarsi di tanti balzelli, e sviluppare molto altro, ma serve prima formazione ai formatori, per orientare il loro sforzo e le priorità verso traguardi meno figli di quello che hanno amato, che amano (o amavano) della fotografia, e più verso quello che ameranno della fotografia le generazioni presenti e futuri. Serve, crediamo, un bagno di contemporaneità, e il desiderio di contribuire all’evoluzione della fotografia, anche se questa ha un suo sviluppo che non assomiglia a quello del passato. Altrimenti, stiamo dicendo che non si ama (e non si trasferisce) un amore ma una delusione, e non è un bell’approccio.