emily lau
Siamo nell’era dell’intelligenza artificiale, lo sappiamo tutti ed è un argomento che abbiamo spesso trattato in questa sede, perché attorno al nostro settore – immagine, fotografia, comunicazione – questa evoluzione è sempre più evidente e sempre più usata: nel software di analisi della ripresa, specialmente con gli smartphone, in quelli di post produzione, nell’analisi di quello che “il mercato ha bisogno” e richiede.
Il problema è che sempre più si applicano strumenti e processi che si basano su “previsioni”. Un “buonismo predittivo” che inizia ad infastidire, che si evidenzia sempre più per esempio in ambito commerciale: nei negozi si applicano – e si insegna al personale addetto, con grande attenzione e impegno – regole, frasi preconfezionate, sorrisi impostati, percorsi ricchi di “serenità”. In molti casi, è addirittura uno schermo che si pone tra cliente e venditore (cassiere/a, impiegato/a, eccetera) che fornisce il ritmo e le risposte giuste.
- Buongiorno (Sorridere e guardare il cliente, inclinare leggermente il viso per creare empatia)
- Ha la tesserina fedeltà?
- (Risposta SI) – Mano che si avvicina per ricevere la tessera
- (Risposta NO) – Sorriso: la vuole fare? Ci si mette un attimo, grandi vantaggi (Sorriso, viso che si avvicina leggermente verso il cliente per stimolare una reazione positiva)
- Cosa posso fare per lei?, sono a sua completa disposizione (Avvicinamento del corpo per far percepire un’intimità che porta a far crescere la fiducia)
- Ha scelto questo prodotto? davvero meraviglioso (Viso che annuisce, e sorride)
- Ma, visto che ha fatto questa scelta, perché non aggiunge anche questo altro prodotto, che completa al meglio la sua esperienza d’uso…
E così via, ovviamente il meccanismo è vecchio come la storia del commercio, ma prima si acquisiva con l’esperienza e poi c’erano persone più o meno dotate, capaci di trasmettere fiducia, empatia, competenza. Oggi, questa selezione (persone capaci o meno) non interessa più: uno sforzo eccessivo, e per di più pericoloso: si creerebbe una discrepanza percepibile tra un addetto alla vendita e l’altro, e quindi si rischierebbe di personalizzare il rapporto uscendo dalla cupola del brand, della catena, dell’istituzione che eroga il servizio, globalmente. Le persone/clienti non devono avere una sensazione che possa portare ad individuare un singolo venditore come più affidabile, è un pericolo che va evitato. Di fatto, lo studio dei processi di interazione tende ad azzerare il rapporto personale, ed è abbastanza facile capire che presto possiamo ipotizzare che si tratta di un tipo di relazione che potrebbe già oggi essere sostituito da macchine o da robot. Non viene fatto solo perché gli esseri umani costano meno (al momento), sono più controllabili (al momento), creano meno reazioni negative (al momento). Ma se è evidente che il processo di acquisto è sempre più orientato ai canali digitali, dove il rapporto “umano” sempre più scompare, è altrettanto evidente che queste risposte e interazioni che oggi sono “umane” ma che non hanno più nulla di “umano”, si stanno già trasformando in risposte automatiche intelligenti, grazie a bot (spesso nelle chat i risponditori sono dei bot, che sono programmati per rispondere con logica ad un processo di domande anche elaborato), e dove l’interazione a comando vocale diventa sempre più importante. Vi siete domandati come mai tanto impegno da parte dei giganti della tecnologia (Google, Facebook, Apple… metteteli nell’ordine che preferite di importanza) stanno dedicando ai sistemi di comando vocale?
Intelligenza artificiale: da usare o da combattere?
Molto più di quello che sembra, perché anche la progettazione delle immagini in qualche modo (molti modi) è influenzata da questi concetti. Le immagini sono sempre più costruite in funzione di processi che si vogliono prevedere ed orientare. Si producono immagini per rispondere a delle esigenze, oppure – per usare un tecnicismo informatico/digitale – essere il frutto di sofisticati algoritmi che si basano su quello che sono i comportamenti, i desideri, gli interessi dei destinatari, e che quindi vengono prodotte per riuscire a trovare la maggiore fruibilità e accettazione. Per farla semplice (ma è molto molto più complesso di questo) raggiungere il pubblico che ama i gatti con foto di gatti, foto di spiagge quando si ha voglia di andare in vacanze, eccetera.
Cosa serve, quindi, al mercato (e quindi quello che avrebbe senso produrre)? Immagini che sono quelle che rientrano in questi percorsi di comunicazione “preconfezionata”, una standardizzazione che richiede un accesso sofisticato ai dati (capire cosa funziona, in questo momento, quello che funzionerà, eccetera), in pratica usare quello che fa l’intelligenza artificiale, ma usando mezzi ed economie più “personali” (difficile poter accedere ai big data che sono quasi ad uso esclusivo dei grandi… ). Ma questo funzionerà? Possiamo prevedere che il mondo verrò invaso sempre più da immagini “perfette” perché generate grazie e sulla base degli algoritmi. Il viso di successo dei prossimi anni, i colori, le forme, addirittura le “provocazioni” (una volta si poteva credere che essere “provocatori” significava andare “contro gli schemi”, quando invece “contro” è uno degli schemi più tradizionali e scontati al mondo).
Cosa vogliamo dire? Che ci saranno tecnologie che ci faranno fare “click” quando l’immagine sarà perfetta, per questi schemi, o addirittura (non siamo lontani) che sarà la stessa fotocamera che genererà scatti ad hoc, senza il potere decisionale dell’autore/creatore di click. Ci allarghiamo: perché servirà fotografare, se sarà possibile generare contenuti perfetti frutto di miliardi di immagini già scattate (un viso, un corpo, uno sfondo…) sulla base di ingredienti che verranno generati dall’analisi dei dati? Senza considerare che ovviamente la creazione di immagini di sintesi (3D) sta facendo sempre più passi in avanti e quindi quello che non esiste nei database infiniti e sconfinati di “proprietà” dei social network (Instagram: 50 miliardi di foto, aggiornato a settembre 2018, solo per fare un esempio), ma se ne potranno produrre miliardi partendo da zero. Anzi no: partendo dai dati.
La nostra impressione è che il mestiere del fotografo dovrà scontrarsi con un mondo che deve andare oltre allo “scontato”, e per “scontato” intendiamo “tutto quello che i dati possono elaborare, prevedere, intuire, anticipare prima che l’essere umano possa riuscirci”. Arriveremo tardi, arriveremo imprecisi, e specialmente costeremo troppo (le macchine potranno produrre di più a costo zero, e non parliamo di macchine fotografiche). Le immagini sono come il grano: il mondo si alimenta di questo, primariamente, e solo i grandi potranno produrre in quantità necessaria questo “cibo”.
Cosa rimane (rimarrà) a chi fotografa? Non – come detto – andare contro – perché ci saranno miliardi di foto che seguiranno sapientemente questo “contro”. Dovranno, davvero, uscire dagli schemi, creare cambiamenti nella mente e nelle abitudini, nella percezione, arrivare a creare contenuti che possano generare reazioni non previste, che possano “esplodere” come delle bombe che colpiscono con una ondata di sapere e di coscienza vera. A chi saranno destinate queste immagini, così fuori dalle logiche? Ad una nicchia di utenti, che iniziano a percepire che qualcosa non sta funzionando, che capisce che ci stiano conformando troppo, che il valore di un accesso universale all’informazione e al sapere che abbiamo guadagnato con tanta fatica (e che invece è ancora bloccata in diversi Paesi del mondo), in realtà è solo una farsa: siamo più informati – in dose infinita – su quello che qualcuno ha deciso di volerci permettere , ma questo eccesso ci impedisce o ci rende difficile invece di guardare oltre, di cambiare idea, di trovare alternative. Siamo sommersi, e soffocheremo, da contenuti che ci arrivano perché siamo parte di un sistema. Ci saranno (chiamateli, se volete, eroi) persone che invece vorranno rompere questo schema, e seguire strade nuove.
Se qualcuno crede che questo sarà un gesto eroico (è un bel soggetto buona per una serie TV o per un film), forse non capisce che questo “eroismo” lo hanno manifestato tantissimi in passato: spezzando dei meccanismi e creando coscienza verso temi e dettagli che non apparivano in superficie. In ambito fotografico, i veri fotoreporter di un’epoca in cui le immagini non arrivavano o erano fortemente diluite e alleggerite. Ma sono stati scrittori, poeti, visionari: tutte persone a volte giudicate “maledette” o “fastidiose” solo perché pensavano in modo diverso e volevano trasferire questa loro visione. L’unica differenza, rispetto al passato, è data dal fatto che la lotta non è più verso l’oscurantismo, la censura o la mancanza di accesso, ma l’esatto contrario. Aprire una breccia è stato più facile, ora serve maggiore sforzo e si dovrà lottare non contro “Menti umane” che ci contrastano, ma con computer che sono in grado di prevedere miliardi di mosse in più.