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La Kodak che c'è ancora in tutti noi (e come evitare gli stessi errori)

Lo sanno tutti, se ne sono accorti “persino” i mezzi di informazione principali e non solo il mondo della rete che viaggia alla velocità della luce: Kodak, dopo vari “rumours” è arrivata alla bancarotta assistita, come da leggi USA. Beninteso, non si tratta di una chiusura, e CitiGroup ha concesso un finanziamento di 950 milioni di dollari per proseguire l’attività, si tratta di una manovra per rilanciare l’azienda, per farla tornare alla redditività. In qualche modo, Kodak ha dichiarato ufficialmente di “non farcela da sola” e di avere bisogno di aiuto e proprio il giorno di tale dichiarazione è arrivata alla nostra redazione una lettera dell’ufficio stampa che garantisce la totale operatività, che riportiamo per correttezza giornalistica:

LE CONTROLLATE KODAK AL DI FUORI DEGLI STATI UNITI CONTINUANO NELLE LORO NORMALI ATTIVITA’ DURANTE IL PERIODO DI RIORGANIZZAZIONE AZIENDALE PREVISTO DALLA LEGISLAZIONE AMERICANA NELL’AMBITO DEL CHAPTER 11

Le Società controllate al di fuori del territorio americano non sono

soggette alla legislazione summenzionata

Il Flusso di beni e servizi ai clienti continua ininterrotto, a livello mondiale

L’Azienda ha ottenuto un finanziamento di 950 milioni di dollari

La riorganizzazione Kodak ha l’obiettivo di rendere  l’azienda profittevole ed economicamente sostenibile

A seguito dell’annuncio di oggi, da parte di Eastman Kodak Company e delle sue controllate Statunitensi, sull’avvio del processo di Riorganizzazione Aziendale c.d. “Chapter 11”, Eastman Kodak Company precisa che le sue consociate non-statunitensi non rientrano in questo processo e che continueranno ad operare nella normalità. Di conseguenza, anche tutte le consociate al di fuori del territorio statunitense manterranno tutti gli obblighi contratti verso clienti e fornitori in totale continuità.

“La decisione presa dalla casa madre negli USA di ricorrere al “Chapter 11” per la riorganizzazione volontaria delle società americane, non riguarda il nostro business europeo” ha dichiarato Philip Cullimore, Managing Director Europe, “In Europa, abbiamo assistito ad uno spostamento  sempre maggiore verso le applicazioni imaging rivolte al mercato Business to Business. Queste applicazioni, in Europa, sono caratterizzate da una significativa presenza nel comparto della stampa e stanno mostrando significative e rapide crescite”.

Detto questo, per persone come il sottoscritto, che non è giovane (ahimè) e che ha vissuto questa storia con passione e interesse da almeno 20 anni, non si può chiuderla qui, perché per le scelte e le decisioni del management di Kodak negli ultimi 20 anni (e non dieci… come in molti dicono: ci sono stati dieci anni di crisi evidente, ma i dieci anni prima hanno portato alle conclusioni inevitabili) reputiamo che le responsabilità, più che dell’ultimo Amministratore Delegato, Antonio Perez, che si è insediato nel 2005, siano dei suoi predecessori. Ma non siamo qui a giudicare, a fare la storia di un’azienda (semmai ci preoccupiamo delle molte persone che ancora conosciamo all’interno, e in generale di migliaia di persone in tutto il mondo che si trovano dentro una “scatola” che rischia di non resistere alle pressioni di un mercato difficile), ma cerchiamo di ripercorrere alcuni punti di questa storia per legarli a noi “esseri umani”, ai fotografi che in questi ultimi dieci anni hanno fatto e possono ancora fare scelte che assomigliano (e che si sono dimostrate, nei fatti, sbagliate) a quelle fatte da Kodak. Insomma, il tentativo è quello di prendere l’esempio della storia di Kodak, di calarlo su di noi, per cercare di seguire un percorso più “sano”. Ci proviamo…

1) Nel 1992 Kodak ha tentato di “bloccare” la strada del digitale proponendo un percorso tortuoso, basato su uno standard chiamato Kodak PhotoCD (ve lo ricordate)? All’epoca, il sottoscritto e pochi altri erano già profondamente dentro al mondo della fotografia “nativamente” digitale, e abbiamo urlato per dire: NOO, la strada giusta non è dire agli utenti di continuare a fare foto su pellicola (che faceva comodo al business di Kodak), per poi convertire le foto analogiche in digitali tramite un servizio esterno (per creare nuovo business, alla Kodak e ai laboratori che iniziavano a vedere un futuro oscuro).

Cosa ci insegna la storia?

Che il mercato non accetta i compromessi: o sta fermo o corre veloce, cerca scorciatoie, cerca semplificazione. I meccanismi per “controllare” l’evoluzione sono inutili. Bisogna seguire o la strada della tradizione (elevandola qualitativamente al massimo e accettando di lavorare su una nicchia di mercato, fatta di pochi utenti e di eccellenza), oppure di sposare, completamente e definitivamente, il nuovo corso. Il nuovo corso l’hanno seguito aziende che non avevano nulla da perdere, e ora sono sane e ricche.

2) Nel 1996 Kodak, insieme a Fuji, Agfa e Konica per quello che riguarda le pellicole, hanno sviluppato un nuovo formato chiamato APS (Advanced Photo System) per cercare di rifare il “make up” alle pellicole in un momento in cui il digitale cominciava a dilagare. Il mercato non ha dato molto credito a questo formato, che aveva una qualità addirittura inferiore al ben più popolare 35 mm, che creava dei “vantaggi” che il pubblico non ha percepito (perché non esisteva tale esigenza) e che è stata inizialmente molto contrastata dai laboratori, che in un momento di evidente crisi si sono visti obbligati a comprare nuove apparecchiature costose per garantire il servizio di sviluppo e stampa. Nel 2011 ufficialmente la produzione di pellicole APS è terminata, ma non ha mai raggiunto un volume significativo, ed è stato probabilmente un progetto che non ha allungato la vita delle pellicole, ma ne ha decretato le sue evidenti limitazioni di potenziale crescita

Cosa ci insegna la storia?

Ci insegna a non essere furbi: bisogna dare al mercato quello che il mercato chiede, anzi: quello che “ancora non chiede” (evidente il successo dell’iPad in questo caso… nessuno chiedeva questo prodotto, ma una volta “scoperto” lo ha abbracciato… bisogna essere abbastanza visionari per capire quelle che sono esigenze “latenti”, se no si arriva troppo tardi). La furbizia (teorica) dell’APS è stata quella di cercare di accecare il mercato, sviandolo dal digitale e cercando di mostrare come “innovativo” qualcosa che in realtà innovativo non era. E il mercato, la massa, gli utenti, non sono stupidi… anzi. Non facciamo lo stesso errore, non tentiamo di essere – per quanto grandi possiamo essere o considerarci – più furbi e geniali, proponendo soluzioni che davvero non generano innovazione e utilità. Può funzionare (e non ci crediamo lo stesso) nel breve periodo, ma poi si crolla.

3) Nel 2004 Kodak ha cessato la produzione di fotocamere digitali professionali. La scelta, probabilmente, era inevitabile, perché nella realtà dei fatti Kodak si appoggiava su costruttori di fotocamere (Canon e Nikon) e integrava “semplicemente” i sensori e alcune componentistiche elettroniche, il mercato ha portato i due grandi marchi a sviluppare tecnologie interne: Canon direttamente con i sensori, entrambe con elettronica personalizzata e sempre più evoluta. Al tempo stesso, Kodak sviluppava anche un dorso digitale che ha avuto un discreto successo, e avrebbe potuto proseguire in questo campo, ma volutamente si è tirata fuori dal business professionale, certamente di nicchia ma anche di elevato utile. La scelta di dedicarsi solo alla commercializzazione di apparecchi amatoriali forse è stata motivata da mille riunioni interne, ma i fatti dicono che per produrre apparecchi consumer bisogna avere la capacità di produrre con fortissima capacità competitiva, elevatissimi numeri con utili bassissimi. Pur avendo avuto grande successo di vendita e di marketshare (Specialmente negli USA), il business della vendita di compatte digitali non ha portato alle casse di Kodak quasi nulla in termini di utile. E ora la situazione peggiora ancora, come si vede dalla foto che ho scattato ieri da Mediaworld, preoccupata della reazione a catena nella vendita dei prodotti Kodak che hanno a magazzino, e scegliendo quindi la strada della svendita pura…

Cosa ci insegna la storia?

Ci insegna che per vendere prodotti che generano utile limitato (per esempio, produzione quantitativa di foto) spesso si cade nel tranello del “produrre tanto”, ma non guadagnare nulla. Se vogliamo fare l’industria che sforna tonnellate di prodotti a costo bassissimo dobbiamo essere organizzati, confrontarci con la concorrenza che è sempre più agguerrita, e avere la capacità di ottimizzare ogni elemento della catena di produzione. Altrimenti, dobbiamo valutare che puntare sulla qualità del prodotto, richiesto e “pagato” da pochi, può essere la soluzione giusta, sempre che ne siamo capaci e sempre che siamo in grado di studiare una strategia di marketing e di promozione che ci consente di essere “davvero” al top.

4) Kodak ha snobbato tecnologie emergenti, dichiarando ufficialmente che avrebbe portato solo perdita di soldi. Un esempio, le stampanti consumer a getto d’inchiostro. Ricordo perfettamente i visi di alcuni manager che sfottevano le aziende che erano maggiormente impegnate in questo business dichiarando “NOI non siamo mica così folli da entrare in un business che non rende nulla!”. Alla luce dei fatti, le aziende che hanno puntato su queste tecnologie sono cresciute, sono ben vitali e hanno guadagnato posizioni rilevanti nel mercato della fotografia. Kodak è entrata, troppo in ritardo, in questo business, con l’unica arma che poteva usare arrivando per ultima: proporsi come alternativa “economica”, riducendo quindi ancor di più la possibilità di business, e senza ottenere grandi risultati nemmeno dal punto di vista dei numeri, globalmente.

Cosa ci insegna la storia?

Ci insegna che alcuni mercati nuovi tendiamo spesso a snobbarli, perché pensiamo che non siano remunerativi, o legati alla “nostra cultura”. Se li analizziamo da fuori, con sufficienza, spesso commetteremo degli errori: è successo con il Microstock (che ha fatto la fortuna di molti che hanno capito in tempi utili questa occasione, che pur sembrava “non dare utile”), è successo con il video con le reflex, sta succedendo con la produzione di contenuti per iPad. Non si può analizzare se non si studia a fondo, se non si prova, se non si cerca di trovare una soluzione adeguata al nostro mondo.

5) Kodak (e il suo management, ma anche i suoi dipendenti, che si sentivano “al sicuro”) ha sempre pensato che la sua dimensione avrebbe potuto metterla nella condizione di poter “condizionare” (scusate il gioco di parole) il mercato. Oggi, essere “grandi” spesso è un pericolo, si pensa di avere le spalle forti per poter sopportare qualsiasi pressione, ed uscire vincitori. Non è stato così, ma lo stesso “errore” lo stanno rischiando molti altri “big”: Nokia sui telefoni (era il leader assoluto), Microsoft (che prima ha sottovalutato Linux, poi l’iPod, poi Google, poi l’iPad, poi Android, poi il cloud computing), gli editori (che tentennano sullo sviluppo dell’editoria digitale), i produttori di contenuti, i provider telefonici, la televisione, eccetera.

Cosa ci insegna la storia?

Che oggi, nell’era digitale, gli equilibri possono cambiare alla velocità della luce, basta individuare alternative geniali che spostano il mondo, senza per questo derivare da aziende di pari dimensioni di quelle che si vogliono sostituire. Nessuno avrebbe potuto facilmente sostituirsi a Kodak per produrre pellicole (anche se Fuji gli ha tolto una bella fetta, negli anni ’80 e successivi), ma il concetto è che Kodak è crollata perché nessuno ha avuto più bisogno del suo prodotto. Vale lo stesso per l’editoria di carta (forte della sua capacità economica e di distribuzione, scomparse di colpo con la nascita dell’editoria digitale), della televisione (YouTube distruggerà le emittenti televisive…) e così via. Non bisogna quindi avere paura di mettersi in competizione con i “Grandi”, servono solo “grandi idee”. Le idee sono il motore più potente e al tempo stesso più economico che si possa pensare, e non è a caso che le aziende stanno cercando con tutte le forze di difendere le loro idee (brevetti). Per noi “piccoli” le idee sono qualcosa che potrebbe essere anche copiato, ma il metodo per vincere è di inventare continuamente nuove idee… prima che ci vengano copiate, noi ne avremo inventate di nuove…

Potremmo andare avanti, magari ci scriviamo un libro prima o poi. Quello che ci premeva era dare un segno e un’interpretazione che fa capire come dobbiamo imparare dalla storia, come le scelte dei grandi sono più vicine a quelle di noi “mortali” e quindi possiamo trarne insegnamento. E per coloro che, magari, pensano che queste cose sono semplici da analizzare a posteriori, possiamo allegare prove evidenti che abbiamo segnalato quanto potessero essere sbagliate le scelte di Kodak negli ultimi 15 anni, in tempo reale. Cosa ne abbiamo ottenuto? Che in Italia una rivista e un giornalista che critica delle scelte di un’azienda così importante viene messo alla berlina (nel modo più semplice: si toglie la pubblicità, non si invita più agli eventi, si emargina), ma abbiamo ottenuto anche il rispetto profondo da molti operatori (che non avevano il coraggio di dire queste cose, o potevano dirle perché non erano coinvolti direttamente e specialmente non erano “subalterni”), ma specialmente dal mercato, che leggeva pareri e opinioni frutto non di interessi di parte, ma di analisi seria. Nella realtà dei fatti, noi siamo rimasti piccoli, ma vitali, forti, innovativi, credibili. Anche questo è un piccolo insegnamento: non bisogna fare informazione “soggiogata”, così come non bisogna fare solo informazione “contro”. Bisogna essere seri, e agire con correttezza ed etica. In un mondo che dispone di “fin troppa informazione”, essere un riferimento ed essere credibili e sinceri è l’unica strada possibile. Almeno, questo è il nostro punto di vista….