Il digitale e la rete mettono a dura prova i nervi di molti, in particolare coloro che possiedono (o possedevano) un potere e un controllo sulle informazioni e sul “sapere” e che ora si vedono messi in disparte dall’onda dell’innovazione. L’età avanzata mi porta ad avere visto molti tentativi di screditare il “nuovo” causa mancanza di conoscenza e specialmente per la paura di perdere “colpi”. Dalle aziende che difendevano l’analogico parlando del digitale come uno scherzo della natura, una cosa che “tanto non è mica una cosa seria”, fino alle comunità degli studiosi, degli accademici, dei tenutari della saggezza e della conoscenza. Si diceva che il digitale non poteva essere un sistema di archiviazione, che servivano i microfilm; si è detto che la riproduzione digitale di opere e reperti storici non poteva essere “volgarizzata” da una pubblicazione in rete, che avrebbe consentito a “tutti” (e non solo ai pochi eletti) di studiare, verificare, confrontare e addirittura screditare le tesi espresse dai “sapientoni”.
Qualche giorno fa, Lynne Brindley (eccola in una foto) – direttrice della prestigiosa British Library – ha dichiarato che la memoria storica da qualche anno è a rischio a causa dell’uso del digitale e di Internet, che crea dispersione, che provoca cancellazione delle informazioni, e creerà un “buco” di informazioni e di conoscenza per le popolazioni future. E’ quindi necessario – dice la Brindley – che le entità come la British Library si muovano per evitare questo rischio, proprio perché proprio le biblioteche sono state in grado finora di svolgere questo importante compito con i documenti “fisici”. Ve la facciamo corta, se volete potete leggervi gli articoli apparsi sui principali quotidiani (on line e su carta) come per esempio il Corriere, La Stampa, Repubblica (oppure internazionali come quello che ha fatto partire tutta la discussione) e tanti altri, che evitiamo di segnalarvi, tanto… è come leggere una velina, uguale per tutti: i giornalisti hanno cavalcato la notizia per aggregarsi anche loro al carro di chi critica il digitale, un po’ per snobismo e molto per sfruttare l’opportunità di dire che Internet non è poi la cosa migliore al mondo, che i vecchi schemi – quelli dove il potere dell’informazione era più centralizzato – funzionavano meglio. E quindi, tutti si sono messi in fila a trasferire, senza volontà di analisi critica, senza valutare l’infondatezza (o quantomeno della banalizzazione) delle dichiarazioni, votando a favore di una tesi che chiede a gran voce alle strutture “tradizionali” di occuparsi del problema.
Per fortuna, in rete non c’è solo questo tipo di informazione, e qualcuno si è mosso per far notare che forse… (forse… forse…) il problema è stato già affrontato anni fa, prima ancora che la signora Brindley se ne accorgesse e forse anche prima che alcuni giornalisti che hanno pubblicato la notizia sapessero cos’era Internet e la rete: Archive.org, che da 13 anni si occupa proprio di creare una memoria di quello che il web pubblica è l’esempio più lampante di qualcosa che… non bisogna inventare, si può certo migliorare, ma non bisogna pensare di arrivare ora a “salvare il mondo”. Qui sotto, un esempio: pezzi di storia di Jumper.it, che sono stati cancellati ufficialmente, ma che continuano ad esistere su Archive.org.
Quello che i personaggi che hanno competenza e cultura devono capire è che il mondo è cambiato, che oggi le tecnologie sono così evolute che si può e si deve cambiare approccio: non creare ambienti chiusi, non tirare acqua solo al proprio mulino, ma imparare ad integrarsi. Il centro del sapere è la rete, è l’intelligenza collettiva che unisce attraverso i percorsi digitali (quindi la cultura e la competenza delle biblioteche e degli studiosi dovrebbe essere messa a disposizione, e non limitarsi a proporsi come “unici tenutari del sapere”). Il problema non è la perdita della memoria, semmai è difficile cancellare qualcosa, il digitale ha una memoria da elefante, basta pubblicare una volta una foto on line per lasciarne traccia all’infinito, anche se la cancelliamo. I sistemi di backup più evoluti (come per esempio Time Machine di Apple) “ricordano” anche i files che abbiamo buttato via, potrebbe essere addirittura un incubo! Nell’articolo si parla del fatto che ci siamo persi un sacco di siti o di informazioni, ma non è così… nella cache di Google continuerà ad esserci, in Archive.org rimarrà traccia, sui blog che hanno ripreso le notizie, le immagini, i disegni… Quello che serve, sicuramente, è organizzare meglio questo contenuto, ma anche questo sta sviluppandosi sempre di più, tutti iniziano a creare metadati per trovare più agilmente i contenuti, perché sempre più il valore dell’informazione sta nell’essere trovata, e per trovare qualcosa nel magma immenso della rete bisogna creare collegamenti efficaci. Il ruolo dei giornalisti e anche dei docenti non è più legato alla capacità di “sapere dove sono le risposte”, perché questo ruolo è stato soppiantato dai motori e dalle chiavi di ricerca. Il loro mestiere dovrebbe essere l’analisi, lo studio, la capacità di offrire chiavi di lettura… non solo banalmente di “ricerca”, ma per fare questo serve fare uno sforzo, mentale e di tempo, in cui non è detto che si voglia investire.
L’altro giorno ho trovato una cartolina che proponeva una frase meravigliosa:
“L’ordine è disordine con scarsa fantasia”
Scritta dal poeta/artista e “agitatore popolare” Ivan, al quale è stata dedicata una mostra evento, a Milano (per informazioni, cliccate qui). La rete non ha bisogno di “ordine”, di librerie con tutto perfettamente allineato e logico. La rete è capace di trovare quello che si richiede, e se vogliamo che quello che noi pensiamo, che realizziamo, che è frutto della nostra creatività possa essere ritrovato, e non soccombere con noi (o prima di noi) serve trasferirlo all’interno della rete, usando gli spazi sempre più sconfinati a disposizione (in questi giorni, per esempio, abbiamo scoperto una meravigliosa applicazione che si chiama SugarSync che si preoccupa di trasferire in rete e di sincronizzare tutte le cartelle che sono presenti sul nostro computer, e poterle navigare dall’esterno, anche con un iPhone o iPod Touch. Si possono avere a disposizione fino a 250 Gb…), oppure sempre più si parla di un GDrive, ovvero uno spazio offerto da Google per “depositare” i nostri documenti, con la semplicità solita dei servizi offerti da questa azienda e con il solito “contributo” di pubblicità, che non infastidisce e ripaga tutti nel risultato (utenti hanno servizi gratis, Google guadagna dalla pubblicità). Beninteso, questi sono archivi “privati”, ma è possibile creare spazi da condividere all’esterno, con altri o con tutti. E proliferano iniziative private che generano sistemi di organizzazione di contenuti, per renderli fruibili: è recente la proposta di un motore di ricerca chiamato FindAnyFilm che consente di ricercare qualsiasi film, in qualsiasi “formato” dedicato ai film prodotti in Gran Bretagna, è prevedibile che ci saranno altre iniziative simili, fruibili facilmente dagli utenti, ora e nel futuro.
Ma, prima ancora del trasferire on line, quello che serve è indicizzare, perché attraverso i “tag” è possibile dare un futuro a noi e alle nostre opere. Se vogliamo garantirci un futuro, dobbiamo essere pronti a fare uno sforzo, e a “taggare” tutto quello che davvero ci interessa., e non solo aspettarci che strutture come la British Library ci vengano “a salvare”. Le immagini devono essere indicizzate, con metadati che possono essere letti dai motori di ricerca, per fare un esempio pratico: questo non serve solo per noi, per il nostro archivio, per trovare quell’immagine importante perché ci viene chiesta (e magari pagata…) da un cliente, ma anche per avere garanzia di un futuro: le cose che non si possono trovare, non esisteranno, si perderanno, moriranno. Parlando di “tags“, ho trovato una soluzione bellissima (scusate, amici che non usate Mac… purtroppo mi capita molto più spesso di provare e scoprire idee e soluzioni per la piattaforma che uso): si chiama Tags, ed è un modo semplicissimo per indicizzare qualsiasi documento: basta selezionarlo, premere i tasti ctrl + barra spaziatrice e appare una finestra che ci consente di inserire le chiavi di ricerca, che potranno essere ricercate da qualsiasi motore di ricerca, offline oppure on line. Per esempio, potete indicizzare il contenuto di una cartella, dei documenti, ma se avete una pagina web aperta potete “taggarla” con le informazioni che vi permetteranno di ritrovarla, oppure, se avete un’immagine aperta in Photoshop che state lavorando, basta premere la combinazione di tasti che vi abbiamo segnalato e inserire dei tag al volo: questi dati rimarranno all’interno del vostro file, facilitandone quindi la ricerca facilmente, integrandosi a Spotlight.
Ma questi sono solo degli esempi pratici (per non essere solo filosofi e solo teorici), che volevamo condividere con voi; il senso del discorso è che il futuro della memoria passa dalle nostre mani, non da quelle di “entità preposte”, dalla nostra sensibilità di pensare che con poche attenzioni, quello che facciamo e abbiamo fatto sarà preservato, anche dopo di noi. Ed è un argomento che nemmeno vi immaginate quanto ci stia a cuore…
di Luca Pianigiani