Jumper

La qualità, a disposizione di tutti. Democrazia, ma anche business

Bizzarro, mi trovo a distanza di quindici giorni, a parlare di nuovo di McDonald’s, ma ci serve per parlare di un fenomeno che è davvero interessante, che sta diventando sempre più seguito dai grandi del mercato. Si tratta di un meccanismo che avvicina brand (e qualità) finora rivolte ad un pubblico molto selezionato e in grado di pagare cifre spesso proibitive, a “tutti”. Forse la prima ad esplorare questa soluzione è stata la catena di abbigliamento H&M, che affida ad importanti stilisti (o a popolari personaggi, come Madonna per esempio) delle collezioni a “tiratura limitata” ma ad un prezzo molto “popolare”. Lo stesso sta accadendo in questi giorni proprio con McDonald’s che ha affidato al grande maestro della cucina italiana, Gualtiero Marchesi, la ricetta per un panino e per un dessert che potesse unire la tradizione dell’alta cucina italiana con quella del fast food per eccellenza. Sono nati, quindi, due proposte: quella attuale, e disponibile fino al 26 ottobre, che si chiama “Vivace”, con spinaci cotti saltati al burro, cipolline stufate, una croccante fetta di bacon sottile e maionese aromatizzata alla senape e pane con semi di girasole e quella di un altro menù per il mese di novembre.

Saranno in molti, probabilmente, a commentare: io da McDonald’s non ci vado, si mangia male, non è nella “mia cultura”, o addirittura segnaleranno anche motivazioni di tipo etico, politico, “anti-global“. Spero che venga compreso il messaggio interessante, che non deve portare necessariamente all’andare in un ristorante per assaggiare il panino di Marchesi, ma a trovare l’ispirazione per capire quanto sia strategico guardare “oltre” il proprio “orticello”. Essere in grado di rivolgersi ad un pubblico molto allargato è sintomo di intelligenza, e anche di “cultura”: troppo facile rimanere ancorati ad un ambiente autoreferenziale, dove tutti parlano di cose che conoscono, che si capiscono, che non si “mischiano” con le “masse”, che hanno la puzza sotto il naso. Più difficile confrontarsi con un pubblico che è più difficile da catturare perché più distratto e meno capace di andare a fondo alle cose, abituato ad “urlare” invece che sussurrare, ai colori saturi e non alle sfumature, allo schiaffo e meno alla carezza. La sfida non è essere il migliore tra i migliori, ma essere compreso da tutti, e ancor di più contribuire alla crescita di tanti.

Quanti saranno coloro che prenderanno in giro il grande Gualtiero Marchesi, per essersi “abbassato” al ruolo di “paninaro”? Io credo che – senza considerare l’elevato ritorno economico che avrà avuto – sia stato un gesto di grandissima intelligenza, e avrà potuto far capire la differenza tra un approccio di “lusso” anche in un ambito così “popolare”: è evidente (ho provato, cerco sempre di non parlare per “sentito dire”). E credo che quindi se si vuole portare un pubblico che per vari motivi (economici, culturali, sociali, geografici) non ha avuto la possibilità di assaggiare gusti, sapori e raffinatezze di alto livello a volere approfondire, studiare e crescere, questa potrebbe essere la strada giusta.

Certo, alla base di tutto c’è solo un’operazione di business e di strategia, che usa il “brand” come elemento di attrattiva: nella moda, poter avere un “Versace” a basso costo porta a fare la coda di un giorno davanti a H&M, un meccanismo che porta a sicurezze sociali se si indossa un marchio… ma c’è qualcosa di più: un  concetto di esclusività che non ha come “muro” il costo, ma semmai l’intraprendenza nell’essere riusciti ad accaparrarsi il maglioncino o le scarpe che dopo un giorno erano già esauriti. Ci sarebbe molto da dire, e anche da combattere: come sarebbe bello poter far comprendere i veri valori della vita, che non sono solo quelli di una targhetta o di un nome, ma vorremmo puntare su sfumature che non hanno a che fare con questi discorsi che, alla fine, poco servono (e che si fanno da sempre: si passa dall’essere vittime all’essere critici dello stesso fenomeno. Come diceva “Bocca di Rosa“, la canzone memorabile di De Andrè: “La gente da’ buoni consigli se non può dare più il cattivo esempio“).

Vogliamo pensare al nostro settore, che viene sempre meno considerato come professione e come forma di cultura, e ci viene da dire che sarebbe bello creare occasioni dove la “qualità” venga portata a tutti, che possa essere una forza per coinvolgere e non solo per “differenziarsi”, per unire e non per creare caste di utenti. Sono sempre più convinto che  l’intelligenza di massa sia da riconsiderare meglio (o iniziare a considerare). Troppo spesso, si valuta che ci siano livelli di utenti: la massa becera, e l’elite dei benpensanti. Spesso, invece, se la “massa” non riesce a seguire concetti e raffinatezze elevate, il problema non è dato dalla mancanza di “intelligenza”, ma da una carenza di comunicazione, da un dialogo che non inizia e che non riesce a superare un muro molto spesso. Se siamo così tanto “colti e capaci”, perché non riusciamo a sfondare queste barriere? E’ un compito nostro, se davvero siamo “più preparati”, altrimenti vuol dire che siamo noi a sbagliare qualcosa. Se si accettano fotografie pessime a tutti i livelli, vuol dire che nessuno è in grado di distinguere la differenza. Che fare? Il pensiero è quello di fare come McDonald’s e H&M: proporre altissimo livello ad un pubblico allargato, con fatti e non solo con parole, perché solo un’evidente differenza tra bassa e alta qualità potrà fare la differenza. Il panino Vivace di Marchesi è più buono, diverso, originale, ben studiato… chi lo assaggia scopre nuovi gusti. Le nostre foto – di alta qualità e di grande professionalità – sono davvero di un livello “emozionale” molto superiore? Se lo sono, le persone capiranno, se avranno la possibilità di scoprirle, se saremo in grado di avvicinare un pubblico allargato e parlare la loro stessa lingua.

Dannatamente difficile, vero? Si, lo sappiamo. Ma c’è prima di tutto l’esigenza di superare la barriera (facile) del mettersi in disparte, di avvolgerci con la meravigliosa e calda coperta che giustifica il nostro mancato successo dando colpa agli utenti che “non capiscono”. I maggiori successi dell’ultimo periodo sono nelle mani di chi ha trasformato un orologio di plastica in un oggetto più prezioso di quelli in oro (Swatch), un cellulare in una fotocamera prestigiosa, un’app da pochi centesimi in fenomeno culturale per l’immagine. Dobbiamo andare incontro al mondo, e non chiuderci in una solitudine che può solo portare a insoddisfazione, umana ed economica e ad una rigidezza che non ci permetterà di assorbire, amare e condividere il mondo che abbiamo attorno. La creatività, l’arte, la comunicazione sono “mestieri” o “missioni” che non possono avere un riscontro se non contaminandoli dalla realtà che ci circonda, anche se a prima vista potrebbe non piacerci. Ci vediamo da McDonald’s per mangiare un panino, e ne discutiamo? ;-)

Update: Dopo vari commenti che parlano di “panini”, vorrei richiamare l’attenzione al tema di questo Sunday Jumper, facendovi qualche domanda:

1) Parliamo di panini e di McDonald’s?

La risposta è NO

2) Tentiamo di convincere le persone ad andare ad acquistare e consumare un panino?

La risposta è NO

3) Cerchiamo di minare la tradizione della cucina italiana?

La risposta è NO

4) Abbiamo FORSE usato la metafora del panino per parlarvi di un argomento che è l’arroccamento di molti verso un ambiente “amico” che capisce la nostra “qualità” e anche le nostre “frustrazioni”?

La risposta è SI

Sono costretto a fare questo update perché non voglio passare la giornata a difendere la qualità (o la non qualità) dei panini di McDonald’s, cercavo di andare più a fondo, e come spesso accade cerco una strada “easy” per farlo. Evidentemente la tematica usata come metafora scalda gli animi più di quello che volevo approfondire, ma così si rimane in superficie, ed è quello che purtroppo accade in tante situazioni. Se volete continuare a commentare sulla cucina di McDonald’s fate pure, però forse ci stiamo perdendo un’occasione più succulenta…