Torniamo su uno dei temi che ci sta più a cuore, e che potremmo identificare con un termine molto generico, spesso strausato e privo di un significato oggettivo: “La qualità“. Quando ce ne siamo occupati, abbiamo cercato di andare al di là delle ovvietà, anche se poi c’è sempre qualcuno che ci impone di tornare sui nostri passi, e quindi riprendere da zero la strada. Anni fa – tanti – cercavamo di segnalare che il progredire del numero dei pixel non portava necessariamente all’aumento della qualità, semmai a problemi più complessi nell’ambito delle costruzioni ottiche che richiedevano capacità di risoluzione ben superiori a quelli delle pellicole, visto che la dimensione dei pixel sul sensore stava diventando sempre più piccola. Tutti hanno annuito con la testa (perché, detto così, sembra sensato, vero?), ma poi sono usciti per andare a comprare le ultime fotocamere dotate di un numero impressionante di pixel: bello fidarsi, bello che credere che non sono le dimensioni che contano… ma se poi possiamo sfoggiare numeri e dimensioni da record la nostra semplicità umana ci porta ad essere più sicuri.
Abbiamo poi seguito una nostra opinione, controtendenza, che diceva che la qualità non è data dalla dimensione del sensore, che “fullframe” è un concetto che è stato accettato dalle aziende produttrici per volere dei fotografi. E’ uno dei pochi casi che è stato il mercato, e non i produttori, a chiedere prestazioni poco utili, dichiarando (e mantenendo) di volerle comprare, anche a prezzo altissimo. A parole, tutti sono disposti ad accettare l’opinione che la dimensione di un sensore non è al primo posto per definire la qualità, che anzi un sensore più piccolo può creare meno problemi di vignettatura degli obiettivi e sfruttarne la parte migliore della proiezione (quella centrale), che la tanto decantata “bellezza dello sfuocato” può essere facilmente ottenuta anche con formati più piccoli, semplicemente usando diaframmi più aperti e che quindi forse conviene investire in obiettivi luminosi, più che in dimensioni del sensore. Tutti d’accordo… “Luca, grazie! Ecco, ci hai fatto capire che non è sempre necessario un sensore fullframe per fare grandi foto…” e poi tutti sono corsi a comprare i fullframes, e godono come dei ricci! Beninteso, ne siamo felici, anche perché alcune fotocamere fullframe sono anche le migliori macchine sul mercato al momento, ma “a prescindere” dal fullframe….
Due anni fa, poi, abbiamo fatto la prova del nove, e siamo contenti che dopo due anni i più fighi, quelli più esperti, quelli “che quando parlano è come se fossero la Bibbia” sono giunti alla stessa conclusione (vuol dire che siamo più fighi dei fighi? No… ma forse ci facciamo le domande prima che queste diventino davvero “popular”): messe a confronto due sistemi, una reflex (chissenefrega se Canon o Nikon, e forse anche altre) con una fotocamera medioformato digitale, il risultato non è quello che si pensa: in molti casi, addirittura, vince il formato più piccolo, e lascia indietro il medioformato, una considerazione che era impossibile nell’era della pellicola. Lo avevamo dimostrato non in modo scientifico, ma nella pratica: abbiamo fatto foto, non misurazioni scientifiche, e specialmente abbiamo messo di fronte il risultato a migliaia di fotografi, il maggior test al mondo, senza ombra di dubbio. Conserviamo ancora oggi quei test, e oggi potremmo tirarli anche fuori, ma non serve: ora ci sono i risultati che contano, quelli dei numeri, quelli delle “persone serie”.
Di cosa parliamo? Del fatto che i DXOLabs hanno pochi giorni fa pubblicato i test effettuati sulle principali fotocamere e dorsi medioformato ed è quindi possibile il confronto diretto con le altre fotocamere. Quello che si evince è che – in termini assoluti e scientifici – nessun sistema medioformato digitale, che pur costa molto di più, eguaglia le prestazioni assolute di pulizia del segnale (mentre più o meno si equivalgono in range dinamico e in profondità del colore) delle più evolute fotocamere D-SLR, come la Nikon D3X (che è, al momento, la regina come prestazioni assolute) oppure la Canon EOS 1 Ds Mark III, ma nemmeno le fotocamere di fascia professionale che non sono nella categoria “top”, come la Nikon D700, la Canon EOS 5D Mark II, la Sony Alpha 900 (ho parlato di tutti, ok?). Incredibile, vero? Noi avevamo mostrato, due anni fa, un risultato simile, avevamo confrontato due dorsi/fotocamere digitali medioformato da 33 e 39 milioni di pixel addirittura con un modello da 10 milioni di pixel e sensore NON fullframe (evito di citare marchi e modelli, se no dopo arriva il solito che pensa che siamo qui a fare marchette…). Quei risultati ci avevano offerto un quadro che in realtà portava a indicare come “leggermente superiore” o “analoga” la qualità del risultato del medio formato a bassa sensibilità, mentre già a 400 Iso il confronto era palesemente e totalmente a vantaggio delle “piccolette”: anche i risultati del DXOLab confermano che l’alta sensibilità è un tema “proibito” per le fotocamere medio formato digitale, e non è un concetto illogico: sono molti i campi professionali che richiedono alta qualità e alta sensibilità (la fotografia di matrimonio tra questi).
Visto che di questo parlavamo due anni fa… la domanda che ci poniamo è: di cosa ha senso parlare, oggi che “persino” i siti tecnici hanno “scoperto” questi fatti? Torniamo alla rubrica di Wired che spesso citiamo: le cose che sono “Wired“, quelle che sono “Tired” e quelle che sono “Expired“. Jumper svolge un po’ il ruolo di ricerca del “wired” del nostro mercato, lasciando gli argomenti tired e expired ad altri. E in questa specifica ricerca della qualità, tendiamo ad allontanarci dalla discussione e dal confronto. Come si fa davvero a misurare la qualità? E’ come parlare di uno strumento musicale, definendone la sua qualità dalla capacità di emettere un suono dal punto di vista dei decibel: l’intensità del suono è importante, ma anche le sfumature, il colore del suono, persino i difetti che “sporcano” la perfezione. Cosa ci portano questi test, che vogliono essere imparziali e al tempo stesso indicare la “via”? Certo, sono di aiuto laddove non si riescono trovare valutazioni obiettive, perché filtrate dalla compiacenza, dagli interessi, o anche solo dalla simpatia o dalla competenza relativa ad una o all’altra tecnica o gamma di prodotto. Il fatto è che la qualità ormai è superiore alle esigenze: spesso non si sfrutta appieno, anzi… Il fatto è che ci si fa tante paranoie su alcuni dettagli e poi si manda tutto al diavolo con ottiche di basso costo, con luci mal posizionate, scattando direttamente in Jpg, comprimendo le immagini, con conversioni colore pessime, con stampe poco curate. E poi, specialmente, la qualità è difficilmente comparabile, se non in termini relativi. Il rumore di un sensore come si valuta? A monitor, ingrandendo il pixel in 1:1? A chi serve vedere un pixel di un’immagine di 20 milioni di pixel in 1:1? A parte le esigenze scientifiche e le “pippe”… a nessuno. In stampa? Come si fa a comparare risoluzioni diverse? Lo abbiamo affrontato anche noi, durante i nostri test, e ci eravamo spaccati la testa, e notiamo con piacere che anche “quelli bravi” non hanno trovato una risposta. Se si prende una 8 milioni di pixel e una 30 milioni di pixel… si stampa lo stesso formato stampabile con la risoluzione più bassa? Il rumore del sensore di maggiore risoluzione potrebbe essere anche superiore (e quindi la qualità inferiore), ma stampando in riproduzione ridotta tale difetto sarebbe meno percepibile. Oppure… stampando in 1:1? Torneremmo al problema del monitor. Diciamolo… la qualità NON si misura così, ma si fanno delle immagini, si mostrano nell’applicazione pratica e si valutano dei pareri degli utenti, non delle macchine. Meno scientifico, ma più “fotografico”.
Cos’è la qualità? Qualcosa che ricerchiamo per produrre quello che abbiamo in mente, oppure per nascondere qualcosa che manca? La creatività? L’originalità? La capacità di stupire, emozionare, coinvolgere? Al fotografo rimarrà solo la competenza tecnica, la competenza (o le attrezzature) per “spaccare il capello”? Partita come arte, la fotografia si ridurrà a banale interpretazione artigianale del “fare”, del “riprodurre”, dell’essenza tecnica? Saremo solo ingegneri dell’immagine, nemmeno architetti? Quello che importerà sarà garantire solo fondamenta sicure? Pareti dritte a prova di filo a piombo? Basamenti in grado di sorreggere il peso previsto? Saremo solo questo?
Sarà che mentre raccoglievo il materiale per questo SundayJumper sono arrivato ad una pagina del New York Times che proponeva alcuni shooting di Paolo Pellegrin (Magnum) a molti divi di Hollywood, e sono rimasto pitonizzato da una semplicità che si trasforma in perfezione,ma anche dall’autorevolezza del fotografo che ha consentito scatti assolutamente “proibiti” ad attrici senza trucco, a situazioni non controllate dagli uffici stampa e dai responsabili immagine che decidono cosa si può fotografare e in che modo… dall’uso della luce, dei contrasti, dei riflessi di vetri che appaiono come vere magie. Quando penso a “qualità” penso ad un mix che regala emozioni, sensazioni, che non può lasciare indifferenti, che parla di una creatività, di una capacità artistica che viene supportata dalla tecnica e dagli strumenti non più di quello che può valere un pennello per un pittore o un martello per uno scultore. Non ci sono – che io sappia – trattati che parlano delle marche dei pennelli di Picasso… e nemmeno – tantomeno – test che mostrano il tipo di risultato usando, sullo stesso quadro di Picasso, pennelli di forme e dimensioni diverse.
Sono un amante della tecnica, che credo in tanti anni di avere scoperto come dominare (anche se sempre c’è qualcosa da imparare), trovo affascinanti e stimolanti le evoluzioni delle macchine, dei software, delle prestazioni generali (per per questo ne parliamo spesso qui), ma troppo spesso mi accorgo che sono in tanti quelli che guardano solo a questo elemento, e allora mi convinco che c’è qualcosa da cambiare. Ci sono i “guru” che spiegano ogni sfumatura della tecnica, ma non ci sono “guru” che fanno altrettanto sulla creatività. Ci direte: questo non si può insegnare, è parte di un processo di evoluzione culturale, di ciascuno di noi. Eppure… qualcosa deve cambiare, e in fretta. Perché la tecnologia corre dal basso, e il grado che è in grado di raggiungere anche nelle fasce più basse spesso è comunque elevatissimo. Gli spazi professionali non si garantiranno attraverso SOLO una ricerca maniacale del dettaglio tecnico (importante, fondamentale, ma come flusso e non come singolo: inutile avere l’impianto stereo eccezionale con i cavi che fanno schifo, e specialmente per ascoltare la sigla dei Puffi). Guardiamo insieme le foto di Pellegrin e iniziamo a fare un confronto – come quelli di DXO – con la qualità media. Non dei sensori… delle fotografie. Non si riesce con i numeri, vero? Bene, cercheremo di dare spazio ad altre forme di confronti, di valutazioni, per contribuire a far crescere l’intelligenza e la cultura collettiva; se verremo tra qualche anno “copiati” anche su questo, sarebbe davvero un bel successo!