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Le storie si creano online, ma chi le scrive e disegna?

L’ultima trovata di Facebook si chiama Timeline, ed è uno step da valutare a fondo e profondamente. Chi mi conosce, sa quanto poco io abbia affinità e simpatia per questo social network, ma devo dire che le sue ultime mosse si fanno interessanti. Non necessariamente nei riguardi di Facebook, in quanto tale, ma per capire come si sta muovendo la comunicazione, e come dovremmo prepararci (se non lo siamo ancora) con la nostra attività.

Parto da un fatto precedente a Timeline, si tratta di un’acquisizione fatta da Facebook di cui ho parlato su ilColophon prima delle vacanze (tra l’altro, seguiteci anche li, abbiamo due rubriche che scriviamo, una è l’editoriale, che condividiamo con altre belle “penne” (Francesco Rigoli e Antonio Tombolini), la seconda è quella de “il Magazziniere” che esce al martedì e che parla di “Magazine” digitali). In questo articolo si parlava e si motivava la scelta di Facebook di acquisire una società che ha sviluppato un “Libro” particolarmente innovativo, One Choice di Al Gore. E si segnalava, forse a volte sfugge, che la parola “book” è inserita nel nome stesso, e pur non essendo interesse del management di Facebook allargarsi al mondo dei libri nella sua concezione tradizionale, la vicinanza nei confronti di questo universo è notevole (anche perché c’è anche il concetto di “publishing” in tutto questo gioco). Non ci ripetiamo, leggete l’articolo su ilColophon e poi tornate qui per proseguire il filo del discorso.

Dicevamo, la notizia è quella della nuova funzione “Timeline”, che cosa fa? Il video che abbiamo inserito qui sopra lo spiega facilmente; in ogni caso, si tratta di uno spazio dove è possibile creare una “cronistoria“, volendo dalla nostra nascita e arrivando a oggi. Il percorso si “intreccia” con le immagini che pubblichiamo via via, e il risultato risulta affascinante per l’utente (l’interesse scatenato è stato sin dall’inizio altissimo), ma deve far riflettere – e molto – la nostra categoria.

Il primo punto è che l’immagine digitale pubblicata in rete guadagna di colpo un ruolo “storico”, e questo significa che “rimane” sotto gli occhi di tutti per un tempo indefinito, e non “scade” nello scorrere dei contenuti in bacheca. Dopo anni in cui la fotografia online viveva solo per qualche istante, per un giorno o comunque percepita come un’onda in continua mutazione, ora lascia uno spazio per essere vissuta e fruita con un ritmo e una cadenza tutta nuova per il web. Le immagini arrivano per rimanere, e non per essere consumate e poi dimenticate, e ogni immagine rappresenta un tassello di una storia, di una testimonianza. C’è chi ha già pensato come usare questa funzionalità per una propria attività di marketing, in particolare nella fotografia di matrimonio, noi andiamo oltre e ci domandiamo: i fotografi professionisti hanno capito che il loro mestiere è quello di raccontare delle storie, che sono però le storie dei clienti e non quelle che vogliamo inventarci noi? Ci spieghiamo: quante volte viene mal interpretato il ruolo  e la “missione” del fotografo dallo stesso operatore del settore? Penso in particolare alla foto sociale per privati (matrimonio, appunto, ma non solo): troppo spesso quello che vince è, da parte del fotografo, un approccio creativo-egocentrico. Il fotografo interpreta un servizio fotografico come “un personale modo di interpretare creativamente e stilisticamente un evento vissuto da altri“. Facebook Timeline propone invece un approccio completamente diverso, che è e diventerà sempre più l’approccio di massa. Le persone amano le “loro” storie, vogliono essere al centro dell’attenzione, vogliono condividere quello che sono (o pensano di essere); il compito di coloro che le storie le sanno raccontare o illustrare è quello di crearle e svilupparle in quest’ottica: lasciando al centro le personalità e le aspettative di queste persone, non un’interpretazione “artistico-creativa” esterna. I registi sono i protagonisti, i fotografi devono essere interpreti materiali di questa storia.

Facebook e la funzione Timeline è forse l’album “moderno” (non solo della laurea, del matrimonio, delle vacanze… ma della vita), di chi è al centro della rivoluzione culturale del digitale e del web,  i fotografi ancora una volta rischiano di snobbare questa tendenza, relegandola ad un sottoprodotto, o peggio ancora ad uno scarto, ad un segno di decadimento per “la fotografia vera e di qualità”. Invece che usarlo come strategia e come alleato, rischia di diventare un concorrente, un nemico. E non si può vincere contro un nemico così forte: per quanto uno voglia combatterlo, diventa sempre più difficile rimanerne fuori o, ancora più difficile, uscirne. Ieri sera, al supermercato due modelle brasiliane in coda davanti a me sono state “abbordate” da un ragazzo che con un inglese stentato (io avrei avuto il vantaggio di poter usare la loro lingua di nascita, pensate a che vantaggio non sfrutto ehehehe!) non le hanno chiesto il numero di telefono, e nemmeno la “mail”, e forse nemmeno il loro nome, bensì come poteva trovarle su Facebook. Sapete come è finita – mentre io in mezzo a questa situazione mettevo sul nastro la mia confezione di Fanta Zero e le pile stilo per il mouse – la questione? Che una delle due modelle ha scritto su un foglietto il suo riferimento Facebook, perché è una porta che si apre facilmente e quindi l’accesso non è così esclusivo e selettivo. Poi, certo, accettare l’amicizia non significa che poi si diventerà amici per davvero, ma l’apparenza è quella. E poi su Facebook si è chi si vuole essere, non chi si è “realmente”.

Facebook (e, immaginiamo, presto lo faranno anche G+ e altri) sta usando la tecnologia e la potenza aggregativa dei suoi 800 milioni di utenti in tutto il mondo, per creare “Libri”, “storie”, percorsi visuali. Saremo noi – professionisti dell’immagine – a renderlo vivo, a consentire di alimentarlo, saremo noi protagonisti di questa esigenza proponendo immagini che servono a questo scopo, riusciremo a trovare una formula per essere i referenti per la realizzazione di queste storie? Ci metteremo a disposizione per offrire la nostra competenza e sensibilità, senza voler essere necessariamente protagonisti con il “nostro stile”?

Il dubbio che abbiamo è che le aspettative dei professionisti siano quelle che funzionano solo in certi ambiti del mestiere, e di applicarle a tutte le sfaccettature dell’attività (dove rischiano di portare ad un prodotto inadeguato). Nella foto di moda, per esempio, imporre o cercare di imporre il proprio stile come “firma” è spesso un elemento vincente (purché si proponga una firma e uno stile efficace, ovviamente). Nell’universo dell’uso della fotografia “stile Facebook” serve più un fotoreporter che cattura le sensazioni, che le interpreti con la sensibilità di un amico e di una persona che conosce a fondo le persone che vengono riprese. Che sappia dare il giusto valore alle sfumature importanti, proprio quelle che vorranno entrare a pieno titolo sulla pagina di Facebook, e ancor di più in quella della “Timeline”.

Le persone vogliono essere visibili, essere presenti, sempre più in rete che non nella realtà, ed è inutile “bollare” questo desiderio come alienante o figlio di una mancanza di valori. Abbiamo una grande opportunità di proporre la migliore immagine a chi chiede immagine. C’è da risolvere un problema commerciale (quanto monetizzare) e un problema di approccio: le persone vogliono un’immagine perfetta, ma naturale, non perfetta in assoluto ma diversa da quello che vogliono essere, non alterata da interpretazioni che non stanno vivendo direttamente sulla pelle. Vogliono immagini che raccontino storie, non immagini, non quadri, ma una rappresentazione e la sintesi di un momento, da condividere immediatamente con amici (più o meno amici o amici sul serio). Il marketing in questo senso, da parte dei fotografi, è ancora tutto da fare, ma la tecnologia va avanti, corre, e rischia di dare risposte più concrete di quelle che ci possiamo inventare per giustificare la nostra incapacità di essere “dentro” questa rivoluzione fatta di immagini.