Questa settimana, molto distante da noi, una forza devastante si è scatenata. Un nome così dolce, Sandy – come quella dolce “Sandy – Olivia Newton-John” che faceva girare la testa a “Danny Zuko -John Travolta” nel film Grease – ma così violento e inesorabile, da portarsi dietro decine di morti e creando danni per miliardi di dollari. E, forse, cambiando in parte i risultati delle votazioni americane, a favore di un Barak Obama che è stato addirittura apprezzato pubblicamente dal governatore del New Jersey, pur essendo quest’ultimo repubblicano e quindi del partito avversario a quello di Obama (cose che, in Italia, non avremmo mai visto).
In questa occasione, un elemento che si è potuto constatare è come cambia la narrazione giornalistica e fotogiornalistica in occasioni in cui il coinvolgimento di tutta la popolazione è globale e totale. Intendiamo dire che mentre eventi popolari come la premiazione degli Oscar o la finale dei 100 Metri delle Olimpiadi possono essere catturate e raccontate solo dai media più importanti, purtroppo un uragano è sotto gli occhi di tutti, e tutti provano anche solo a scacciare la paura cercando di narrare quello che vedono. Che vedono, appunto… e quale migliore strumento della fotografia c’è al mondo per mostrare un tale fenomeno (video a parte, ovviamente…)? E così – nell’era della comunicazione digitale – in rete si sono riversate un numero impressionante di immagini, che tutte insieme (e non necessariamente una sola, come può avvenire con l’occhio del maestro e del professionista capace di questa eccezionale sintesi) raccontano alla perfezione un momento. Drammatico e interminabile. In particolare, Sandy è stato “l’uragano di Instagram”, perché proprio questo social network basato sulle immagini è stato tra i più usati per questo scopo: le statistiche dicono che oltre 10 immagini al secondo sono state pubblicate mentre la furia di Sandy era al massimo della sua azione.
Ma perché proprio Instagram? Ovvio che c’è Facebook (che però unisce persone che si conoscono, che in modo disordinato mettono insieme parole, immagini e sensazioni), ovvio che c’è Twitter (che privilegia le poche parole – al massimo 140 lettere ma spesso anche meno – e non tanto le immagini che visualizza in modo freddo e con scarso impatto), ma Instagram, che in molti confondono con “un’app che contiene qualche effetto “speciale” da appiccicare sulle foto”, ma che in realtà prima di tutto è una piattaforma di condivisione di emozioni tramite immagini. Per capire meglio quello che “significa” Instagram, abbiamo scelto una frase, che vi riportiamo prima in inglese e poi nella sua traduzione:
*Instagram is a tool and a model for easy, non-verbal sharing of experiential and emotional data. It is image-capturing for pseudo-ethnographic recording, rather than image-capturing for beauty or composition. Ironically, the best way to understand this model is to analogize the use of a traditional digital photograph.
(Istagram è uno strumento e un modello per una semplice, non verbale condivisione di dati derivati da esperienze ed emozioni. E’ un sistema di cattura delle caratteristiche delle persone, più che un sistema che privilegia la bellezza o la composizione. Ironicamente, il modo migliore per capire questo modello di comunicazione è quello di “rendere analogico” l’uso della tradizionale fotografia digitale)
Si, Instagram è uno spazio dove vivono le emozioni. Magari semplici, ma tradotte in un linguaggio che privilegia il contenuto, più che la forma. E la storia di Sandy è stata molto più raccontata con le immagini di Instagram, che non dalla fredda televisione, e nemmeno dalle pur raffinate immagini che usciranno – o sono già uscite – sulle patinate riviste o sulla porosa carta dei giornali. L’emozione delle persone semplici, quelle che non erano lì a documentare e ad assistere, ma che vivevano quel dramma sulla loro pelle, con la furia della natura che entrava nelle loro case, che metteva in pericolo le persone più care e i beni più preziosi di una vita. Tutte queste “istantanee”, senza pretese, semplici nella loro presentazione, ma con la dignità di una cronaca davvero vissuta intimamente, ci fanno capire, ci fanno partecipare da dentro, ci danno l’idea di quello che è stato. E probabilmente anche per questo, Time ha aperto l’account di Instagram a 5 fotografi, tutti molto attivi su Facebook: Michael Christopher Brown, Benjamin Lowy, Ed Kashi, Andrew Quilty e Stephen Wilkes. Un esperimento, ma anche una necessità: non era un modo per essere trendy, ma per essere VELOCI nel diffondere le notizie La gallery che ne hanno fatto è una delle più popolari che abbiano mai fatto e ha attirato il 13% del traffico durante la settimana. L’account di Instagram ha ricevuto 12000 nuovi follower in 48 ore. Una delle foto (del fotografo Benjamin Lowy) è finita in copertina (una delle varie copertine che il magazine offre questa settimana) e anche se non è di grande risoluzione, la definiscono bellissima, quasi un dipinto. Benjamin Lowy spiega sul suo Tumblr che usare l’iPhone è stato per lui, negli anni, un’esperienza liberatrice, per cui non si sente “al lavoro” a manovrare una macchina complessa, ma semplicemente scatta e si gode anche le imperfezioni.
Siamo convinti che questa copertina non è importante perché realizzata con un cellulare, ma perché è frutto di questa sensazione più o meno latente di un modo nuovo di coinvolgere le persone all’interno dell’informazione, e non solo da fuori. E’ anche un’occasione per capire che Instagram è sostanzialmente diverso rispetto ad altri sistemi che “interpretano” creativamente le immagini: lo scatto della copertina di Time è stato realizzato con un’app differente (Hipstamatic), ma è stata poi “distribuita” con Instagram. Per cercare di tradurre questo discorso forse complesso e ostico per chi non è “dentro” questo fenomeno tutto digitale, potremmo dire che l’App di Hipstamatic potrebbe essere analoga ad una specifica pellicola (Tri-X Kodak bianco e nero, Kodachrome 25, Velvia FujiFilm, eccetera), mentre Instagram è anche un sistema per inviare le immagini a qualcuno, come un corriere espresso… solo che va a tante persone e non ad una sola.
Questo fenomeno va compreso (nel caso non sia ancora compreso), e per questo forse servono alcuni consigli:
1) Non è detto che sia necessario usare un cellulare/smartphone per usare Instagram. E’ necessario averlo per iscriversi al servizio (potete chiedere ad un amico di farvelo fare, sul loro iPhone o Android: ci si mette un minuto), oppure usare qualche trucco che si può trovare on line. Da quel momento si può scattare anche con un’Hasselblad e poi pubblicare su Instagram usando uno dei tanti servizi che ci sono online (non “ufficiali”, visto che Instagram ufficiale è solo raggiungibile tramite device mobile, ma che comunque funzionano egregiamente).
2) Per imparare ad usare il “linguaggio” di Instagram, conviene partecipare attivamente. Per questo – nella speranza che non arrivi un uragano di pari portata di Sandy da queste parti – vi proponiamo di partecipare ad una manifestazione che si terrà tra qualche giorno a Torino – la TorinoDesign Week – dove c’è proprio un concorso basato su Instagram aperto a tutti. Noi di Jumper siamo sponsor “tecnici” e siamo contenti di poterlo proporre in questo spazio. Ci saranno tantissime persone che parteciperanno, e capire come questo fenomeno si “muove” ci darà probabilmente stimoli e curiosità di approfondire. Partecipate, e indicate nella didascalia (oltre al titolo o alla descrizione, anche questa indicazione: #TDW12 che permetterà di identificare queste immagini per partecipare alla selezione). E, ovviamente, partecipate alle tante iniziative che questo evento propone, a Torino (una delle città che da sempre è una delle più vivaci dal punto di vista culturale, ma che proprio in questo periodo sta tirando fuori il meglio di sè e merita quindi gli occhi concentrati di chi cerca qualcosa di stimolante per la mente).
3) Essendo una piattaforma di comunicazione, Instagram offre non solo il lato “creativo” della condivisione, ma anche la potenzialità di uso per promuovere il proprio lavoro. Insomma: come se fosse un agente che lavora per noi, insieme a noi, ed esplora opportunità. Di questo (molto) parliamo il 9 novembre, in un JumperCamp davvero incredibile, mai visto in Italia: parliamo di marketing (leggi: come trovare clienti e nuove opportunità di lavoro) basandoci sulle potenzialità delle immagini, e Instagram offre moltissime di queste potenzialità (abbiamo una lista lunga un chilometro).
Lo sappiamo: molti pensano che queste cose siano dei “giochi”, che le cose “serie” siano altre. Nel frattempo, Instagram trova spazio sulla copertina di Time (che speranze avete di ottenere lo stesso risultato?), e non certo per “l’effetto speciale”, ma perché parla la lingua della condivisione, della voglia di vivere le emozioni della fotografia. Un po’ come, all’epoca, era la “vera” Polaroid, quella che si scattava e si stava a guardare mentre si sviluppava, e poi diventava oggetto prezioso, vissuto ed emozionante. Qui abbiamo mostrato un esempio di puro fotogiornalismo, ma ce ne sono altre decine, centinaia di potenzialità concrete, nella comunicazione pubblicitaria, industriale, aziendale, e persino (tantissimo) in quella di matrimonio e sociale. Rimanerne fuori sarebbe un delitto, sarebbe come ripudiare la forza della fotografia, nella sua essenza più pura.