Qual è lo stato attuale del mercato della pellicola? Si, parliamo di quei bussolotti che si inserivano (a volte con difficoltà, per i più maldestri) dentro le fotocamere (che, sì, si aprivano!) per scattare 12, 24 o 36 fotografie, e poi basta, e comunque era un’autonomia migliore perché sul medio formato il numero di scatti era inferiore (e legato al formato), sul grande formato lo “scatto” era unico.
Potrebbe essere che alcuni lascino questa lettura all’istante. Cosa ci interessa, del passato? E’ chiaro che ormai l’argomento non esiste più nel mondo contemporaneo, il mercato della pellicola è sceso ad un solitario 1% rispetto ai numeri di una volta, a nessuno viene in mente di definire “digitale” la fotografia, perché sarebbe pleonastico: la fotografia è digitale, punto. O, almeno, questa asserzione vale per la ripresa. Certo che ci sono ancora persone che hanno tra le mani delle fotocamere a pellicole, ma in quei casi va aggiunto l’aggettivo “analogico”, e non viceversa.
Abbiamo letto un interessante, profondo, lungo articolo sullo stato dell’arte (o della tristezza) del mercato della pellicola, che vi consigliamo di leggere integralmente se non litigate troppo con l’inglese. In questo nostro intervento la volontà in parte è commentare questo articolo (quindi aiutiamo anche chi ha poca confidenza per la lingua di Shakespeare e dei Beatles), ma specialmente aggiungere qualche nostro approfondimento che allarga un po’ la visione.
Grazie a questo articolo abbiamo potuto leggere qualche dichiarazione ufficiale di aziende come Kodak, Fujifilm, Lomography, ImpossibleProject, ma anche aziende più piccole, come CineStill che produce una linea di pellicole derivate dal mondo dei materiali cinematografici. Non si trovano nell’articolo opinioni da parte di Ilford (che non è stata reperibile al momento della stesura dell’articolo, ma crediamo che la ricerca non ci abbia poi perso troppo, nel senso che probabilmente il quadro non sarebbe stato molto diverso nella sua globalità).
Si evidenzia che l’interruzione della disponibilità di alcune “storiche” pellicole ha ovviamente un solo motivo: la mancanza di richiesta sufficiente per mantenere gli impianti in attività, che la maggiore richiesta è per il negativo colore e BN di sensibilità pari a 400 Iso, e anche questo è un tassello interessante da tenere a mente, che poi ci serve per trarre delle conclusioni che hanno non solo una valenza “vintage”.
Si dice comunque che negli ultimi 5 anni le vendite di pellicole si sono sostanzialmente stabilizzate, dopo il crollo che si è visto nel periodo 2002/2010: è una nicchia che esiste, che genera comunque un’economia interessante e che si rivolge ad un pubblico di appassionati, e non di “disadattati”; vogliamo dire che chi usa la pellicola non è una persona che “ancora non si è accorta che esiste il digitale”, ma che cerca delle emozioni diverse: forti, intense, raffinate. Per esempio, è chi ha ritrovato in un cassetto una vecchia fotocamera dei genitori, oppure dei nonni, oppure che ha cercato su eBay delle fotocamere vintage per rivivere un periodo storico, oppure perché trova bella esteticamente una reflex degli anni passati da portare al collo: in Giappone, questo fenomeno è molto vivace.
Altro tassello: le pellicole che stanno addirittura crescendo nel consumo sono quelle “istantanee”, con i due attori presenti sul mercato: Fujifilm con la sua Instax e Impossible Project (distribuita in Italia da Nital), per lavorare con le fotocamere Polaroid. Si tratta di una tendenza che spiega molte cose e ci indirizza: per gli utenti, la ripresa su pellicola fornisce un risultato che si percepisce molto poco, mentre il rapporto importante è legato al prodotto finale, che se “analogico” (una stampa) risulta convincente ed emozionante. Quello che può fare – dal punto di vista del linguaggio e dell’emozione – una pellicola può essere facilmente riprodotto anche con il digitale (che è pieno di software, preset e addirittura APP che simulano/ripropongono la pastosità, la grana e la resa delle pellicole più importanti). La stampa, invece, è una questione di relazione fisica: un sistema che riprende su pellicola ma che produce una stampa unica e dalla resa caratteristica è un elemento interessante. Ancor di più dell’immediatezza, che anzi è un approccio che si tende addirittura a limitare, per aumentare l’emozione: è l’esempio di un’app, WhiteAlbum, che permette di scattare 24 foto, senza poterle vedere, senza poterle modificare e che saranno “visibili” solo quando si inviano al laboratorio per la stampa: si riceveranno solo al ricevimento dell’album, e sta avendo un buon successo; alcune persone amano l’emozione dell’attesa, del far passare del tempo tra azione e fruizione.
Fotocamere vintage e pellicole sono molto Hipster, molto amate da un pubblico interessante perché alternativo, amante delle sfumature e alla ricerca di emozioni meno ovvie. Sono quelli che amano le biciclette TokioByke (che si spogliano di ogni orpello per essere essenziali, ma che si comprano a caro prezzo), che leggono IL (il supplemento de “Il Sole 24 Ore) che tende a trasformare la grafica trash in una essenziale componente radical chic, che mangiano gli hamburger “come li fanno negli USA” e per questo sono anche disposti a pagare il triplo (ma che poi magari scoprono che sono quelli di McDonald’s, come è successo a Milano qualche settimana fa… tra parentesi, però, se volete mangiare un hamburger davvero eccezionale a Milano ”come lo fanno in Australia” andate al BurgerWave: parola di esperto!)
La sparizione della pellicola ha contribuito alla nascita di fenomeni popolari quali i selfie e i timelapse, ma ha anche contribuito al miglioramento della qualità media della fotografia nel mondo (il poter sbagliare, senza “pagare” questi errori, genera una evoluzione).
La pellicola, sparendo, ha aperto – è importante dirlo – una serie di approcci alla fotografia che fanno ormai parte della nostra cultura moderna, nel bene e/o nel male: i selfie sono nati perché non c’è la pellicola (se no sarebbe stato un fenomeno impossibile da creare, troppa attesa e troppi soldi da spendere), i timelapse sono frutto della mancanza di pellicola (pensate a pagare tutti quegli scatti), gli slow motion anche. La testimonianza visiva della crescita progressiva e costante dei nostri figli, dei nostri gatti e cani, della crescita dell’arredamento della nostra casa, dell’apparizione e sparizione di fidanzati/e, amici e amanti, della testimonianza di quello che amiamo, di tante attività che si sono trasformate in professioni (food e fashion blogger, per esempio). Il miglioramento della qualità media delle fotografie scattate, che sono figlie della correzione di mille e mille errori, la creazione di emozioni tramite mille artefici e interventi. Ma se le pellicole sono il ponte per raggiungere l’obiettivo di far emozionare le persone verso il mondo della fotografia di qualità (magari anche “ad alto costo”), ben venga: possono essere portatrici sane di un fenomeno, di cui non sono “causa”, ma che contribuiscono a creare grazie ad una serie di sensazioni psicologiche e non necessariamente pratiche.
Il mercato della pellicola: come approcciarlo?
Personalmente non sento la mancanza della pellicola, sono nato fotografo, a 5 anni sapevo già che lo sarei diventato (se no, volevo fare lo scrittore… il mio destino era scritto: scrivo di fotografia da trent’anni). Per anni non ho più fotografato, il troppo “esserci dentro” mi aveva tolto l’emozione e il desiderio, l’ho ritrovato con un cellulare Nokia, che faceva foto così brutte dall’essere qualcosa “di totalmente diverso”, ed è tornato l’amore (per quello che la “pellicola non era”). Quello che però percepisco – anche sulla mia pelle – è che la forza delle emozioni stampate è in crescita, e vale per molti. Torniamo ai tasselli: per esempio, non hanno più senso le pellicole diapositive, non hanno una fisicità premiante, sono luce come uno schermo, ma sono ormai inferiori ai monitor e ai proiettori digitali. Se pellicola deve essere, è per stampare, anche se come detto non è obbligatorio riprendere in analogico per stampare. Gli effetti si possono ricreare, quasi tutto meno che il tocco fisico. Almeno finora, sono in arrivo dei nuovi brevetti che permettono di trasferire sensazioni (vibrazioni, calore, resa tattile dei materiali), e allora vedremo. Fino a quel momento, dobbiamo capire cosa emoziona le persone (e le emozioni “fisiche” emozionano), individuare target di persone che possono apprezzare elementi fuori dagli schemi, processi e prodotti alternativi, che possono amare l’idea di non correre verso il futuro, ma passeggiare attraverso le emozioni del passato. C’è un mercato piccolo, ma enorme: non sono due concetti contrapposti, è sempre una questione di rapporti e di proporzioni. “Piccolo” significa andare a “pochi”, “Enorme” vuol dire che forse da ogni singolo contatto possiamo trarne tanto (tanto per noi, non per il “mercato globale”).
Per prendere in mano questo mercato, emergente perché guarda all’indietro, magari potrebbe essere utile approfondire leggendo questo bel libro, è un bel viaggio che fa sognare e magari costruire qualche idea concreta.
Daniele says:
Ciao Luca! Cosa ne pensi della film Ferrania! Io direi bello per un azienda italiana e voglia di scattate anche a pellicola .
Barbara says:
Ahahah.. scusa Luca, ma dire che hipster = alternativo mi sembra un pò esagerato. Dove vivo io (Amsterdam) il normale è l’hipster (e ormai non se ne può più). Il “vecchio normale” è l’alternativo. Questione di punti di vista.
Luca Pianigiani says:
ahahahaaha…. anche a Milano ;-) Pensavo ad una visione più “globale” però.
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