Per quanto possiamo crescere, la voglia di ascoltare delle “storie” non sparisce; semmai, quello che manca è il tempo che abbiamo a disposizione per ascoltarle, ma non certo la voglia. Nell’evoluzione dei media digitali, che da passivi diventano “interattivi”, la potenzialità cresce e il mercato di evolve. Ne abbiamo parlato proprio oggi (domenica) in un intervento di due ore che ha messo le basi di un discorso che riguarda e si rivolge ad un pubblico di “creatori” molto allargato: fotografi professionisti di tutti i settori (matrimonio, moda, pubblicità), giovani che si avvicinano (o desiderano farlo a breve) al mondo della fotografia e si trovano tutte le porte “chiuse”, chi cerca genericamente nuove strade di comunicazione che possano attrarre l’attenzione distratta del pubblico.
Difficile sintetizzare due ore “fitte” di analisi dell’intervento denominato “Storytelling“, ma proviamo a fare del nostro meglio, almeno per offrire qualche percorso di approfondimento, che in realtà potrebbe essere la naturale evoluzioni di un post che abbiamo pubblicato più di un anno fa, proprio qui. Molte volte capita che lanciamo messaggi in anticipo sul mercato e sulla loro “materializzazione”; alcuni ne percepiscono la potenzialità magari acerba e se ne occupano subito, altri non si sentono attratti e hanno bisogno di un “remind” dopo circa un anno, quando il fenomeno diventa più evidente (anche perché alcuni che ci hanno ascoltato nel frattempo hanno anche prodotto qualcosa).
Prima di tutto, come abbiamo detto, l’evoluzione della “narrativa visuale” nasce grazie alla spinta che arriva dai nuovi media, tablet in particolare, ma anche smartphones, perché sono proprio alcune delle caratteristiche proprie di questi strumenti che permettono di arricchire l’esperienza vissuta dai fruitori:
- Immersione
- Interattività
- Integrazione
- Impatto (touch)
Questi elementi – a metà tra funzionalità tecnologica e potenzialità comunicativa – rendono gli utenti protagonisti della storia, possono immergersi e viverla “da dentro”, possono interagire e addirittura determinare scelte e finali e la possibilità di toccare e quindi di percepire sensazioni tattili (sebbene virtuali) creano un coinvolgimento e una partecipazione enormemente superiore, che non trova per ora spazio all’interno delle pubblicazioni (riviste, giornali) e nemmeno presso gli editori, ma che sta trovando strade dirette ed indipendenti: app-libri, progetti monotematici e potenzialmente anche album di matrimonio interattivi.
Le potenzialità non sono solo quelle dei nuovi device, ma anche di nuovi ingredienti:
1) metodi di “cattura” delle immagini, come Instagram e Hipstamatic, che hanno come caratteristica primaria quelle di aggiungere spessore narrativo e un po’ di magia “immateriale” che spesso crea un alone attorno alle immagini, mettendo l’enfasi sul contenuto più che sulla forma.
2) Software che nascono per applicazioni diverse (per esempio, quelli per fare “presentation”, i vari Powerpoint o – meglio – quelli più evoluti come Keynote, Prezi – che proprio ieri ha introdotto anche la versione stand alone per computer, oltre a quella tradizionale, che prevedeva l’uso via browser via web – e Haiku Deck) per creare immagini e sequenze animate e narrazioni sequenziali o interattive, fruibili in tanti modi (come video, come sequenze di immagini, come siti web o come vere e proprie App).
3) Musica e suoni, disponibili anche gratuitamente. Per questo, vanno bocciate tutte le iniziative (magari creativamente interessanti) che usano musica commerciale, senza averne i diritti. I fotografi e i creativi che fanno uso – anche per l’uso “privato” di un album di matrimonio, che “privato” non è – di musica “rubata” si meritano di ricevere lo stesso trattamento con le loro foto (ovvero, che tutti le rubino con la stessa leggerezza). Esempi di siti utili per questo scopo sono questo (per la musica) e questo (per i suoni). Leggete con attenzione le clausole di utilizzo e rispettatele ;-)
4) Navigazione e interfaccia, studiata per l’utilizzo touch e quindi adeguata alla dimensione delle dita, e non del puntatore di un mouse. Insomma, passiamo da pulsanti e zone da cliccare che hanno la dimensione di pochi pixel ad aree che devono essere grandi “almeno” quanto un dito, misurato in pixel (dai 40 ai 50 pixel).
4) Strumenti per iniziare a capire come costruire storie (magari ancora in fase di progetto molto basic), come per esempio Storify che aggrega argomenti sotto forma di testi, immagini, video e di distribuire tutto questo “contenitore” (storia) sui social network, oppure CowBird, una piattaforma che propone di creare delle “storie” usando testo e immagini. Sono strumenti semplici, abbastanza poveri nella loro costruzione, ma che permettono di mettersi in gioco ed iniziare a “fare” e non solo “parlare” e poi consentono l’interazione con persone che potrebbero avere interessi comuni; tra questi ci saranno i vostri primi “clienti” quando passerete a fare le cose sul serio (qualcuno deve pur conoscervi, se volete proporre le vostre storie).
Ancor di più, però, dobbiamo fare un cambiamento mentale, facendo uno sforzo che ci trasforma da professionisti che realizzano “immagini” a narratori che raccontano delle storie. Forse ha quindi senso leggere quello che Wikipedia indica per definire la parola “Storytelling” (spesso usata senza comprenderla a fondo):
Storytelling è una metodologia e disciplina che usando i principi della retorica e della narratologia crea racconti influenzanti in cui vari pubblici possono riconoscersi.
Il suo successo è determinato dal fatto che il racconto è una forma di comunicazione naturale ed intuitiva, capace di coinvolgere le persone.
Quello che dobbiamo è coinvolgere, influenzare, creare un legame tra narratore e fruitore, altrimenti la magia non nasce. Se comprendiamo e sfruttiamo invece questo legame, possiamo capire come creare immagini (ferme e in movimento) che si integrano e uniscono tra di loro e creano un vero prodotto che trasmette emozioni. Vera, profonda, e non solo “effetti speciali”: che noia, le pubblicazioni digitali che si limitano ad usare le funzionalità dei software: diffidate di chi parla di tecnica, di pulsanti da premere, di manuali di utilizzo, non sarà tramite questo che imparerete a pensare, progettare e costruire prodotti di successo in questo settore.
Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato oggi. Abbiamo mostrato progetti che “funzionano”ed altri che non funzionano, senza preoccuparci di segnalare come “negativi” progetti anche molto importanti, realizzati da grandi “nomi”. Anche per far capire che in questo settore c’è ancora tutto da costruire, e quindi non ci sono posizioni già definite: i grandi possono fare cose molto piccole, i piccoli cose molto grandi, ed avere successo. Di questo proseguiremo a parlare sui nostri mezzi di informazione (questo sito, JPM, la nostra rivista su iPad e iPhone, e su un’altra piattaforma editoriale sulla quale stiamo lavorando); di questo parleremo sui nostri canali di formazione professionale (Jumper Camp con sede a Milano, JumperPremium per la formazione on line e quindi accessibile a tutti e Rent-a-Camp che risponde alle esigenze di chi dice di volere formazione “non solo a Milano”: la facciamo, ma serve che ci sia davvero l’interesse a trovare il modo per riuscirci, non è difficile… basta volerlo: noi è un servizio che offriamo dal 201o!). E poi ci sono i nostri prodotti che mettono in pratica le esperienze che maturiamo e che consigliamo: per esempio il libro digitale WGR Project, realizzato da Agnese Morganti e Malia Zheng che è secondo noi un buon esempio per capire come una bella storia può essere costruita e sviluppata usando proprio gli ingredienti che abbiamo citato. Non l’avete ancora visto? Si scarica da qui, per iPad.
Le storie si possono raccontare, usando le soluzioni più innovative che sono anche a portata di mano. Non raccontateci storie ;-)
Sandro says:
Noi reporter abbiamo sempre raccontato storie attraverso le immagini, lo storytelling ci appartiene da sempre.
Questa infatti per noi é da qualche anno la possibilitá di una nuova vita (con buona pace della stanca e vecchia editoria italiana). Io mi sono mosso in questa direzione giá da un paio d’anni, anche su iPad.
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