Qualche giorno fa c’è stato a Milano un incontro focalizzato sul microstock. Sono stato invitato da TauVisual e dallo IED a parlare di questo fenomeno, e l’ho fatto volentieri perché sono tanti anni che lo consideriamo un fenomeno di rilevanza fondamentale per il mercato dell’immagine. Ora è un fenomeno discusso ovunque, ma quando ne abbiamo parlato come prima volta noi, era qualcosa di ancora sconosciuto in Italia (capita spesso che ci troviamo ad essere i primi a parlare di fenomeni che poi finiscono sulla bocca di tutti, anni dopo). La considerazione che però mi trovo a fare è che, nel 2010, si parla di un “nuovo fenomeno” come quello del microstock che in effetti nuovo non è: si festeggia infatti il suo decimo compleanno della nascita, che è stata una rivoluzione almeno quanto iTunes lo è stata per la musica. Non è nuovo, quindi, il microstock, ha dieci anni, eppure ancora oggi ci sono persone che reagiscono come coloro che, all’inizio degli anni ’90, dicevano che il digitale non era che una moda passeggera, e che saremmo morti con ancora la pellicola nelle nostre fotocamere.
All’epoca, dicevamo che non si poteva fermare l’onda, e lo ripetiamo ora. Non importa quello che pensiamo, non importa essere a favore o contro: il mercato è sovrano, decide, impone, influenza le modifiche. Quando ci troviamo davanti qualcuno (come è successo, in questo convegno) che è sicuro del fatto che il suo passato è l’unica cosa che conta, e che il “nuovo” è una cavolata, solo perché è diverso da quello che credeva giusto, e crede che attaccare chi ne parla sia l’arma per difendersi dall’onda… allora ha senso essere radicali. Chi si sofferma a valutare se è “adeguato” il costo di 1 dollaro a foto (metafora che sintetizza, in modo anche molto banale e ingiusto il modello di business del microstock), non vuole capire che oggi è già un successo mantenere questo prezzo, perché ogni giorno che passa il prezzo potrebbe scendere, anzi: è già sceso… proprio mentre stiamo scrivendo. Se date un’occhiata a quello che è successo negli ultimi due anni, ci si accorge che le fotografie si comprano sempre più “in abbonamento“, e non singolarmente, e comunque, nel microstock non si sono quasi mai comprate “singole foto”: si comprano crediti, che permettono di avere un fondo per comprare immagini. Non sarà certo un singolo che dice “io non ci sto“, a cambiare la direzione del mercato. Al massimo – e questo invece, gestito in modo intelligente, è addirittura una strategia utile – si può dire che “io non ci sto, e mi muovo su altri binari“, faccio altre scelte: quello che va bene a tanti potrebbe non andare bene ad un singolo, ma non si può far finta che il fenomeno non esista, non si può snobbare, non si può dire che possiamo essere superiori, da non considerarlo.
Quando si parla di microstock, ci si focalizza sull’argomento più evidente, il costo della singola foto (il “famoso dollaro”) e non sul fatturato. Quante foto bisogna vendere per ottenere un fatturato decente? Beh, prima di farsi questa domanda, bisogna chiedersi quante foto abbiamo nel nostro stock (con 100 foto si fa poco, con 20 ci si può solo fare una risata al bar, purché il caffé lo paghi qualcun altro). E poi, bisogna domandarsi che tipo di foto abbiamo: chi pensa che il microstock sia un posto per foto che fanno schifo, per scarti, per ciarpame recuperato in un cassetto, allora scoprirà che, mannaggia, i clienti del microstock non solo non vogliono pagare che pochi centesimi per una foto, ma le vogliono anche belle… e visto che di foto eccellenti il microstock di qualità è pieno, i fatti sono che chi non ha tante (e splendide) foto non guadagna nulla. Chi invece ha da un minimo di 7/800 foto eccellenti, ben indicizzate, interessanti, ben usabili a livello internazionale, di questa attività può “addiritttura” vivere, o almeno pagarsi il mutuo di casa, comprarsi attrezzatura adeguata al suo lavoro, eccetera.
A coloro che dicono che il microstock fa la fortuna solo delle agenzie, ha senso segnalare che ogni settimana iStockPhoto paga 1,6 milioni di dollari di commissioni agli autori (grazie a Giorgio Fochesato, riferimento italiano di iStockPhoto, oltre che amico, che ce l’ha segnalato), e che ogni secondo, in media, su questo sito (da oltre 2 milioni di visitatori unici/mese) viene venduta una foto. Forse ha senso valutare la forza, poderosa, di una “macchina” di questo tipo per la vendita delle proprie immagini, perché il senso del discorso è: vogliamo esserci anche noi, in questo immenso armadio dove tutti comprano foto, oppure vogliamo rimanerne fuori? Ma le domande successive, molto più profonde, sono:
1) Se sono dentro questo armadio, posso contemporaneamente lavorare su altri fronti, dove la monetizzazione delle singole foto è superiore, anche se la quantità sarà inevitabilmente inferiore? (la risposta è, ovviamente, si, quindi consideriamola una possibilità in più, non in meno)
2) Se decido, purché non sia per motivi “filosofici” (perché non portano a nulla, solo a discutere), di non entrare in questo armadio dove tutti comprano foto, cosa posso fare per risultare appetibile lo stesso per una fascia di pubblico di acquirenti di fotografie, che possano garantirmi un fatturato annuale decoroso?
A questa seconda domanda, cerchiamo di rispondere, pur consigliando a tutti di valutare la risposta della prima, che potrebbe portare, per esempio, a sdoppiare la propria professione (e anche la propria immagine, se serve): foto ad alto costo per una fascia della committenza, e microstock, anche sotto pseudonimo se non vogliamo “bruciarci” (anche se pensiamo che sia tutt’altro che un “bruciarsi“, ma qualcuno potrebbe anche pensarlo), per fare “cassa”.
Una delle idee che abbiamo sviluppato (l’abbiamo studiata da tempo, ne abbiamo parlato con alcuni amici fotografi, e pensiamo che sia un’idea forte), è quella di creare un microstock “personalizzato”, proponendo ai propri clienti, oltre a quelli nuovi, una soluzione di “abbonamento” che possa risultare competitiva e stimolante per una fascia di utenti. Per fare questo, è necessario fare un’analisi del proprio mercato, e della tipologia del proprio lavoro, facciamo un esempio:
ESEMPIO > un cliente ci “compra” in media 10 fotografie all’anno, diciamo ad una cifra di 100 euro cadauna per un determinato uso. Totale, 1000 euro di fatturato. Perché compra le nostre foto e non quelle di un altro fotografo? Mettiamo che sia perché apprezza il nostro stile, così forte e così personale che diventa un filo conduttore della sua comunicazione. Facciamo però un’analisi ulteriore: di quante immagini ha “davvero” bisogno quel cliente? Probabilmente molte di più, per il sito, per una piccola comunicazione interna ai rivenditori, per un banner di una newsletter, eccetera. Tanti utilizzi che non giustificano il costo del nostro lavoro, e quindi alla fine o si fanno accordi che non soddisfano tutti (tradotto: dammi altre foto, che ti pago poco… il fotografo si sente sfruttato ma non può dire sempre no, per non rischiare di perdere il lavoro “importante”, ma cerca di farsi riconoscere il proprio lavoro, richiedendo una cifra più alta che rende meno contento il cliente). Pensate ora ad un’altra soluzione, che potrebbe invece essere più golosa.
POSSIBILE SOLUZIONE > Una soluzione potrebbe essere quella di produrre immagini stock, valide per parecchi clienti e che intelligentemente uniscono la stessa ricerca stilistica che vi contraddistingue e che viene apprezzata, ad una tipologia di immagini estremamente vendibili e “usabili” in tante situazioni. A quel punto, una volta confezionate le immagini su un sito ad hoc, inclusa modalità di vendita on line diretta (ci sono molte soluzioni pronte all’uso, dal costo molto contenuto, ne possiamo parlare…), potrebbe essere proposto ai clienti una modalità di abbonamento: la possibilità di comprare l’accesso a questo archivio con una modalità commerciale da definire (100 foto? illimitato al costo mensile di XX euro? fate voi), che consentirà a questi clienti di poter adottare proprio quella modalità di abbonamento considerata vincente dai clienti sul microstock. Un esempio di queste modalità (esempio reale usato sul microstock) è la seguente: 300 Euro per poter scaricare 20 foto al giorno per un mese. Magari, per una realtà più piccola potrebbero essere diversi i numeri (10 foto al mese? come detto, va studiata la formula in funzione di tanti fattori, ma analizzate il concetto, non i dettagli). Questo potrebbe dare grande vantaggio al cliente che – apprezzando il vostro lavoro – decide di comprare l’abbonamento per tutte quelle foto di “contorno”; le pagherebbero pochissimo, ma potrebbero garantirvi una sicurezza e un fatturato annuale superiore, creando soddisfazione e non logiche di “insoddisfazione”. Inoltre, apprezzando e affezionandosi sempre di più al vostro stile, quando serviranno foto “ad hoc” (la nuova copertina del catalogo, la foto della nuova sede… foto che non sono di stock, ma devono essere fatte “su misura”), saranno spontaneamente portati a chiederle sempre a voi, e non a fare ogni volta una “gara” per trovare il fotografo più a buon mercato.
Questa soluzione, che abbiamo proposto come “possibile”, ha già trovato molto interesse, abbiamo capito che abbiamo dato un’alternativa per proporsi “in altro modo”: non nella massa, e non con quell’atteggiamento di superiorità che potrebbe risultare non adeguato ai tempi attuali.
Detta così è farla un po’ facile, ma come detto, la problematica andrebbe analizzata di caso in caso. Magari un fotografo non ha uno stile personale molto marcato, ma potrebbe avere un archivio completissimo di foto di montagne, o di cavalli, e proporre un uso “ad abbonamento” che renda concretamente vantaggioso per gli utenti accedere e scaricare un numero rilevante di fotografie (evitando meccanismi “abbuffata”) potrebbe portare ad un fatturato maggiore rispetto al tentativo di vendita “una tantum” di una foto ad un prezzo “decente”. E, in tutto questo, va valutato che mentre se decidiamo di proporre il nostro lavoro tramite un microstock “potente” come iStockPhoto possiamo avere il vantaggio che tutta l’attività di marketing e di promozione ci arriva “gratis” dalla forza della “location” (dobbiamo solo preoccuparci di fare le foto migliori, indicizzarle meglio possibile e continuare a produrre), nel caso di soluzioni “personalizzate” dobbiamo lavorare molto nel farci conoscere ed apprezzare.
In definitiva, quello che vogliamo dire è che non c’è una formula: c’è un approccio diverso al business. Si può (e si deve) continuare a proporsi ad alto livello, per produrre ad hoc immagini di qualità, che ci facciamo pagare la giusta cifra. Ma se questa attività non riempie le nostre giornate (e il nostro portafoglio), allora dobbiamo pensare a coprire il mancante con attività che possano venire incontro alle esigenze del mercato attuale, senza sbuffare, senza credere che in questo modo stiamo “svendendo” la professionalità e l’etica. Trovare nuovi modelli di business non significa “svendere”. Un disco “fisico” di musica costa 20 euro in un negozio; lo stesso disco in versione digitale costa 9.99 euro, ma ascoltare la musica alla radio è gratis, il “pagamento” per chi ascolta è quello di accettare la pubblicità che mantiene in vita le emittenti che ci “regalano” la musica. Nessuna di queste tre realtà “svende”, semplicemente applica modelli di business diversi, quello che conta è che alla fine dell’anno tutti si possano portare a casa i soldi che servono per vivere (si spera bene). L’idea di un abbonamento al proprio archivio deve essere pensato sul cliente, non su di noi; noi dobbiamo pensare al modello di business che rende possibile la soddisfazione del cliente e la nostra sopravvivenza. Smettere di pensare che il mondo della fotografia non valga più nulla perché le foto oggi vengono fatte pagare 1 dollaro. Pensate che oggi un pubblico enorme è disposto a pagare 1 dollaro per foto che, prima, rubava. Come nella musica: Napster è fallito (c’è di nuovo, ma è solo un marchio, in mano alle case discografiche), iTunes che proponeva a pagamento quello che Napster “regalava” sta superando il traguardo di 10 miliardi di brani venduti. E gli autori di musica gongolano…
Ps: ricordatevi che, se vi interessa, la tematica approfondita del microstock, le possibili evoluzioni del mercato della fotografia e le sue tendenze di marketing rientrano nel programma dei corsi disponibili nella modalità “Rent-a-CAMP”, che possono raggiungervi ovunque in Italia. Se volete approfondire direttamente, ora potete…
sante castignani says:
qui sto alla finestra e mi godo il panorama; non sono coinvolto in queste dinamiche, e le mie scelte mi portano altrove; sono contento che esista il microstock, spesso me ne avvalgo per accontentare clienti che hanno bisogno di immagini, e non sono interessati ala loro provenienza; mi irrita il meccanismo delle limitazioni d’uso, per cui quella foto non può essere usata commercialmente, o la mancanza di consenso da parte dei soggetti ritratti, per cui te la vendo, ma rischi tu;
dal lato del fotografo, invece, visto l’assorbimento di tempo ed energie che una appropriata gestione di questo lavoro richiede, dico che è una scelta che va fatta se non si hanno modi diversi di valorizzare le proprie capacità; magari un giovane dinamico può farsi le ossa; una vecchia volpe smagata può farci cassa; ma chi, invece, nel concepire il proprio scatto ama seguire più una propria visione del mondo (che non dimentichiamocelo, è la chiave che fa appassionare alla fotografia) che le richieste di un mercato spesso civettuolo (le foto più vendute, diciamocelo: sono tra il diuretico e il lassativo) farebbe forse bene a cercare spazi più rispettosi della professionalità; meno lavoro, e più pagato. E non è vero che fare una cosa in più non toglie nulla al resto: toglie, toglie; toglie gli spazi vuoti, la riflessione, l’autoascolto, tutti elementi che ricaricano la creatività.
Ma nessuna demonizzazione di nessun segmento del mercato, nessuna irrazionale difesa ad oltranza di ciò che non esiste più. Occhio però, tutto passa, credo che i numeri saranno sempre meno paganti, investiamoci, ma non a lunghissimo termine.
sante castignani says:
qui sto alla finestra e mi godo il panorama; non sono coinvolto in queste dinamiche, e le mie scelte mi portano altrove; sono contento che esista il microstock, spesso me ne avvalgo per accontentare clienti che hanno bisogno di immagini, e non sono interessati ala loro provenienza; mi irrita il meccanismo delle limitazioni d’uso, per cui quella foto non può essere usata commercialmente, o la mancanza di consenso da parte dei soggetti ritratti, per cui te la vendo, ma rischi tu;
dal lato del fotografo, invece, visto l’assorbimento di tempo ed energie che una appropriata gestione di questo lavoro richiede, dico che è una scelta che va fatta se non si hanno modi diversi di valorizzare le proprie capacità; magari un giovane dinamico può farsi le ossa; una vecchia volpe smagata può farci cassa; ma chi, invece, nel concepire il proprio scatto ama seguire più una propria visione del mondo (che non dimentichiamocelo, è la chiave che fa appassionare alla fotografia) che le richieste di un mercato spesso civettuolo (le foto più vendute, diciamocelo: sono tra il diuretico e il lassativo) farebbe forse bene a cercare spazi più rispettosi della professionalità; meno lavoro, e più pagato. E non è vero che fare una cosa in più non toglie nulla al resto: toglie, toglie; toglie gli spazi vuoti, la riflessione, l’autoascolto, tutti elementi che ricaricano la creatività.
Ma nessuna demonizzazione di nessun segmento del mercato, nessuna irrazionale difesa ad oltranza di ciò che non esiste più. Occhio però, tutto passa, credo che i numeri saranno sempre meno paganti, investiamoci, ma non a lunghissimo termine.
Sergio Dateo says:
Luca, grazie! Sei sempre cristallino. E non è facile in una questione così complessa. Gli spunti e le aperture sono tanti, ma ti faccio una domanda sola: lasci intravedere di aver già ragionato su una modalità affidabile di vendita diretta, senza passare dai grandi attori dello stock. Hai in mente qualcosa di specifico e già minimamente collaudato? Esiste, che tu sappia, un’alternativa alle piccole software house locali? (che – senza nulla togliere – di solito hanno costi non proprio piccoli e poca esperienza specifica nel settore fotografico)
È sempre un piacere leggerti.
Sergio Dateo says:
Luca, grazie! Sei sempre cristallino. E non è facile in una questione così complessa. Gli spunti e le aperture sono tanti, ma ti faccio una domanda sola: lasci intravedere di aver già ragionato su una modalità affidabile di vendita diretta, senza passare dai grandi attori dello stock. Hai in mente qualcosa di specifico e già minimamente collaudato? Esiste, che tu sappia, un’alternativa alle piccole software house locali? (che – senza nulla togliere – di solito hanno costi non proprio piccoli e poca esperienza specifica nel settore fotografico)
È sempre un piacere leggerti.
Luca Pianigiani says:
Si, ci sono alternative, alla base di tutto c’è una strategia di contenuti, di marketing, un’analisi delle esigenze dei clienti, del tipo di prodotto da proporre. Il resto, alla fine, è quasi banale. Ci sono soluzioni pronte all’uso, ci sono addirittura templates di WordPress per gestire la parte funzionale. Sono le idee che sono importanti, e vanno studiate con grande attenzione.
Luca Pianigiani says:
Si, ci sono alternative, alla base di tutto c’è una strategia di contenuti, di marketing, un’analisi delle esigenze dei clienti, del tipo di prodotto da proporre. Il resto, alla fine, è quasi banale. Ci sono soluzioni pronte all’uso, ci sono addirittura templates di WordPress per gestire la parte funzionale. Sono le idee che sono importanti, e vanno studiate con grande attenzione.
Sergio Dateo says:
Sto proprio mettendo a fuoco il quid, credo di essere a buon punto, è da un bel po’ che ci lavoro. Ciò che mi manca è una cornice. La proposta non si inserisce negli attuali stock. Semplicemente: è diversa. Tuttavia, la parte informatica di presentazione, ricerca, selezione delle immagini mi viene costare (preventivi alla mano…) cifre difficilmente ammortizzabili, anche in un quadriennio. Se hai per le mani qualche riferimento specifico, anche solo di partenza, te ne sarei grato. E forse non solo io!
Sergio Dateo says:
Sto proprio mettendo a fuoco il quid, credo di essere a buon punto, è da un bel po’ che ci lavoro. Ciò che mi manca è una cornice. La proposta non si inserisce negli attuali stock. Semplicemente: è diversa. Tuttavia, la parte informatica di presentazione, ricerca, selezione delle immagini mi viene costare (preventivi alla mano…) cifre difficilmente ammortizzabili, anche in un quadriennio. Se hai per le mani qualche riferimento specifico, anche solo di partenza, te ne sarei grato. E forse non solo io!
Monica Marziani says:
L’ opportunità che i microstock ci offrono è anche quella di capire che cosa il mondo della comunicazione cerca, dal punto di vista del prodotto video-fotografico. Questo vale per chi ha ambizione di vendere immagini pubblicitarie e non può essere per tutti, anche se è da sempre la sfida più avvincente per un fotografo.
Me come essere un buon fotografo pubblicitario è un mestiere, anche vendere con i microstock deve a mio parere essere affrontato come un mestiere, non come un attività da “svuotacantine”.
Detto questo, credo anche che dieci anni fa fosse decisamente più difficile capire esattamente come affrontate questo mestiere da …(“microstockista”?).
Personalmente ritengo che avere un’attenzione verso gli sviluppi delle tecnologie sia altrettanto importante che darsi il giusto tempo per metabolizzare i cambiamenti, più importante che essere il “primo” a offrire un servizio. Forse è anche perchè a me, questi tempi di metabolismo, sono necessari per chiarirmi le idee.
Anche allo stato attuale, il mercato internazionale è molto più affermato di quello italiano, la cui domanda è in crescendo ( così dicono e mi fido). Ma è anche molto differente come gusto, e qui si cela una grande sfida da raccogliere.
Altra considerazione: l’utilizzo che dell’immagine di microstock deve essere fatto. A quale cliente deve essere rivolta? All’agenzia pubblicitaria, che con il suo staff di grafici deve estrapolare un suo prodotto finito di comunicazione, oppure alla piccola azienda che ha un addetto alla preparazione dei contenuti, che quindi ha bisogno al volo di un prodotto finito (di qualità “finale”) da utilizzare?
Anche in questo caso gli input sono molto diversi e quindi l’offerta di immagini deve orientarsi di conseguenza.
Per quanto riguarda le piattaforme, per chi è interessato ad approfondire, c’è anche la piattaforma Joomla! (http://www.joomla.it/) che ha un’estensione open source, VirtueMart (http://virtuemart.net/) che è un carrello elettronico per gestire anche i prodotti “download”, molto ben documentata, per cimentarsi in un fai da te.
Monica Marziani says:
L’ opportunità che i microstock ci offrono è anche quella di capire che cosa il mondo della comunicazione cerca, dal punto di vista del prodotto video-fotografico. Questo vale per chi ha ambizione di vendere immagini pubblicitarie e non può essere per tutti, anche se è da sempre la sfida più avvincente per un fotografo.
Me come essere un buon fotografo pubblicitario è un mestiere, anche vendere con i microstock deve a mio parere essere affrontato come un mestiere, non come un attività da “svuotacantine”.
Detto questo, credo anche che dieci anni fa fosse decisamente più difficile capire esattamente come affrontate questo mestiere da …(“microstockista”?).
Personalmente ritengo che avere un’attenzione verso gli sviluppi delle tecnologie sia altrettanto importante che darsi il giusto tempo per metabolizzare i cambiamenti, più importante che essere il “primo” a offrire un servizio. Forse è anche perchè a me, questi tempi di metabolismo, sono necessari per chiarirmi le idee.
Anche allo stato attuale, il mercato internazionale è molto più affermato di quello italiano, la cui domanda è in crescendo ( così dicono e mi fido). Ma è anche molto differente come gusto, e qui si cela una grande sfida da raccogliere.
Altra considerazione: l’utilizzo che dell’immagine di microstock deve essere fatto. A quale cliente deve essere rivolta? All’agenzia pubblicitaria, che con il suo staff di grafici deve estrapolare un suo prodotto finito di comunicazione, oppure alla piccola azienda che ha un addetto alla preparazione dei contenuti, che quindi ha bisogno al volo di un prodotto finito (di qualità “finale”) da utilizzare?
Anche in questo caso gli input sono molto diversi e quindi l’offerta di immagini deve orientarsi di conseguenza.
Per quanto riguarda le piattaforme, per chi è interessato ad approfondire, c’è anche la piattaforma Joomla! (http://www.joomla.it/) che ha un’estensione open source, VirtueMart (http://virtuemart.net/) che è un carrello elettronico per gestire anche i prodotti “download”, molto ben documentata, per cimentarsi in un fai da te.
Luca Pianigiani says:
Monica: bentornata e grazie delle due considerazioni.
Sergio: oltre al consiglio di Monica, raccoglieremo a breve una lista di soluzioni, che condivideremo qui, tutti insieme. A breve :-)
Luca Pianigiani says:
Monica: bentornata e grazie delle due considerazioni.
Sergio: oltre al consiglio di Monica, raccoglieremo a breve una lista di soluzioni, che condivideremo qui, tutti insieme. A breve :-)
eman says:
Considerazione personale da non sottovalutare la questione tempo.
Per riuscire a piazzare 700/800 foto, a mio avviso, ci vogliono almeno due anni solo per caricare online i file (istock ad esempio pone un limite di 15 foto per settimana).
Questo comporta un notevole costo in energie e produzione, ma consideriamo che le foto possono essere vendute più e più volte nel corso del tempo, ciò ci fa pensare che il servizio dovrebbe renderci dopo almeno 3/4 anni da quando abbiamo iniziato a lavorarci.
Ovviamente si fa una media, c’è poi chi brucia le tappe e chi invece si stuferà prima!
Grazie per gli spunti comunque!
eman says:
Considerazione personale da non sottovalutare la questione tempo.
Per riuscire a piazzare 700/800 foto, a mio avviso, ci vogliono almeno due anni solo per caricare online i file (istock ad esempio pone un limite di 15 foto per settimana).
Questo comporta un notevole costo in energie e produzione, ma consideriamo che le foto possono essere vendute più e più volte nel corso del tempo, ciò ci fa pensare che il servizio dovrebbe renderci dopo almeno 3/4 anni da quando abbiamo iniziato a lavorarci.
Ovviamente si fa una media, c’è poi chi brucia le tappe e chi invece si stuferà prima!
Grazie per gli spunti comunque!
Giacomo says:
Tempo fa anche io ho provato ad entrare come autore nel mondo del microstock, ma dopo varie prove sono giunto alla conclusione che il gioco non vale la candela, almeno nel breve periodo. Perchè? Perchè in primo luogo la qualità richiesta è elevata e in seconda battuta se non vengono rispettate le politiche commerciali delle varie agenzie microstock sono più i file che vengono scartati in partenza rispetto a quelli che vengono ammessi alla vendita. Quindi non è una soluzione praticabile come “svuotacantine”, nè praticabile a tempo perso e tantomeno con file di “serie b”.
Come giustamente riportava Luca, per avere un ritorno dal microstock bisogna avere un portfolio bello corposo e soprattutto ben indicizzato, cosa che richiede tempo, fatica e notevoli risorse economiche da impiegare per produrre una mole di lavori vendibili.
Faccio un esempio banale: per una foto di food di buona qualità bisogna comprare le materie prime, possibilmente cucinarle, eseguire lo scatto, passare alla postproduzione (meglio ancora con scontorno), caricare il file, indicizzarlo, e…. aspettare che venga approvato! Io penso che non occorra meno di mezza giornata per fare tutto questo. Mezza giornata che è fatta di costi vivi sostenuti subito (acquisto delle materie prime) e altri costi che sono dati dal nostro tempo. Non parliamo poi del costo di eventuali modelle/i se si tratta di foto a persone.
E tutto questo non sapendo nemmeno se poi la foto verrà venduta domani o tra 2 anni. Ammettiamo che siamo bravi e in mezza giornata facciamo 10 scatti buoni. I conti non tornano lo stesso. Perchè se il microstock può essere visto positivamente nel lungo periodo (per assurdo… sto 2 anni producendo solo foto di microstock e poi mi fermo e aspetto che producano fatturato), rimane però prima il problema di come sostenere i costi e poi monetizzare nel breve periodo, e mi pare che sia questa invece la questione più impellente di chi si occupa di fotografia oggi. O no?
Giacomo says:
Tempo fa anche io ho provato ad entrare come autore nel mondo del microstock, ma dopo varie prove sono giunto alla conclusione che il gioco non vale la candela, almeno nel breve periodo. Perchè? Perchè in primo luogo la qualità richiesta è elevata e in seconda battuta se non vengono rispettate le politiche commerciali delle varie agenzie microstock sono più i file che vengono scartati in partenza rispetto a quelli che vengono ammessi alla vendita. Quindi non è una soluzione praticabile come “svuotacantine”, nè praticabile a tempo perso e tantomeno con file di “serie b”.
Come giustamente riportava Luca, per avere un ritorno dal microstock bisogna avere un portfolio bello corposo e soprattutto ben indicizzato, cosa che richiede tempo, fatica e notevoli risorse economiche da impiegare per produrre una mole di lavori vendibili.
Faccio un esempio banale: per una foto di food di buona qualità bisogna comprare le materie prime, possibilmente cucinarle, eseguire lo scatto, passare alla postproduzione (meglio ancora con scontorno), caricare il file, indicizzarlo, e…. aspettare che venga approvato! Io penso che non occorra meno di mezza giornata per fare tutto questo. Mezza giornata che è fatta di costi vivi sostenuti subito (acquisto delle materie prime) e altri costi che sono dati dal nostro tempo. Non parliamo poi del costo di eventuali modelle/i se si tratta di foto a persone.
E tutto questo non sapendo nemmeno se poi la foto verrà venduta domani o tra 2 anni. Ammettiamo che siamo bravi e in mezza giornata facciamo 10 scatti buoni. I conti non tornano lo stesso. Perchè se il microstock può essere visto positivamente nel lungo periodo (per assurdo… sto 2 anni producendo solo foto di microstock e poi mi fermo e aspetto che producano fatturato), rimane però prima il problema di come sostenere i costi e poi monetizzare nel breve periodo, e mi pare che sia questa invece la questione più impellente di chi si occupa di fotografia oggi. O no?
Luca Pianigiani says:
Giacomo: si, come giustamente dici, si tratta di un investimento importante, come per tutte le attività, in un periodo difficile. BIsogna produrre tanto, di alta qualità, attendere il ritorno. Se non si inizia, però, non si può trarne vantaggio, un po’ come sperare di vincere al superenalotto senza comprare il biglietto.
Nel frattempo? Ci sono tante altre cose, la strada spesso non è unica, non è a senso unico. Ogni settimana proviamo a dare idee: parliamo di nuove strade di marketing, parliamo di nuove strade come per esempio il video con le reflex, parliamo di ottimizzazione sui motori di ricerca, di self publishing e di tanto altro… ognuno potrà trovare la strada, quella del microstock è una delle più forti, ma non l’unica e non esente da complessità.
Il nostro lavoro è quello di offrire visioni, dare consigli, proporre idee… ognuno ne prenderà quello che reputa più affine al proprio lavoro, alla propria professionalità. al proprio modo di vivere la professione. La cosa importante è capire che gran parte dei modelli di business attuali e passati che hanno fatto vivere di fotografia molti professionisti, ora non esistono letteralmente più. Non si sono ridotti, sono finiti. Le “cose nuove” forse sono imperfette, ma ci sono…
Luca Pianigiani says:
Giacomo: si, come giustamente dici, si tratta di un investimento importante, come per tutte le attività, in un periodo difficile. BIsogna produrre tanto, di alta qualità, attendere il ritorno. Se non si inizia, però, non si può trarne vantaggio, un po’ come sperare di vincere al superenalotto senza comprare il biglietto.
Nel frattempo? Ci sono tante altre cose, la strada spesso non è unica, non è a senso unico. Ogni settimana proviamo a dare idee: parliamo di nuove strade di marketing, parliamo di nuove strade come per esempio il video con le reflex, parliamo di ottimizzazione sui motori di ricerca, di self publishing e di tanto altro… ognuno potrà trovare la strada, quella del microstock è una delle più forti, ma non l’unica e non esente da complessità.
Il nostro lavoro è quello di offrire visioni, dare consigli, proporre idee… ognuno ne prenderà quello che reputa più affine al proprio lavoro, alla propria professionalità. al proprio modo di vivere la professione. La cosa importante è capire che gran parte dei modelli di business attuali e passati che hanno fatto vivere di fotografia molti professionisti, ora non esistono letteralmente più. Non si sono ridotti, sono finiti. Le “cose nuove” forse sono imperfette, ma ci sono…
Giorgio Fochesato says:
Concordo con Luca sul fatto che il microstock sia una strada da percorrere. E’ una strada difficile ed impegnativa, che segue l’andamento di internet e quindi la velocità con cui accadono le cose all’interno di questo mercato è pari alla velocità con cui le situazioni e le mode viaggiano su internet.
Lavoro e vivo di microstock con iStock da quasi 4 anni. I tempi hanno cambiato il modo di approcciarsi al mercato. Se inizialmente la quantità produceva ottimi risultati con il tempo la qualità ha preso il sopravvento.
Ora per fare microstock bene ci vuole quantità e qualità perchè la concorrenza è tanta. Ma è anche vero che il mercato è in costante crescita. Se negli USA il mercato è probabilmente saturo perchè il “fenomeno” è noto da 10 anni, in Europa ed Asia il mercato è da sviluppare…
Il microstock è una professione in tutto e per tutto. Va affrontato con serietà e moltissimo impegno. Sicuramente a volte può sembrare un impegno eccessivo perchè “chissà cosa succederà fra 3 anni…”.
Richiede un investimento di tempo notevole perchè la produzione di immagini richiede tempo. E’ impensabile mollare tutto e fare solo microstock, per chi inizia. Richiede pazienza perchè i risultati impiegano tempo ad arrivare. Ma forse chi ora dedica 3 ore al giorno a questa attività e il resto del tempo segue la sua normale professione fra 1 anno avrà un incasso costante… e magari fra 2 anni il fatturato sarà maggiore.
Just my 2 cent ;)
buon lavoro a tutti e grazie a Luca per la citazione ;-)
Giò
Giorgio Fochesato says:
Concordo con Luca sul fatto che il microstock sia una strada da percorrere. E’ una strada difficile ed impegnativa, che segue l’andamento di internet e quindi la velocità con cui accadono le cose all’interno di questo mercato è pari alla velocità con cui le situazioni e le mode viaggiano su internet.
Lavoro e vivo di microstock con iStock da quasi 4 anni. I tempi hanno cambiato il modo di approcciarsi al mercato. Se inizialmente la quantità produceva ottimi risultati con il tempo la qualità ha preso il sopravvento.
Ora per fare microstock bene ci vuole quantità e qualità perchè la concorrenza è tanta. Ma è anche vero che il mercato è in costante crescita. Se negli USA il mercato è probabilmente saturo perchè il “fenomeno” è noto da 10 anni, in Europa ed Asia il mercato è da sviluppare…
Il microstock è una professione in tutto e per tutto. Va affrontato con serietà e moltissimo impegno. Sicuramente a volte può sembrare un impegno eccessivo perchè “chissà cosa succederà fra 3 anni…”.
Richiede un investimento di tempo notevole perchè la produzione di immagini richiede tempo. E’ impensabile mollare tutto e fare solo microstock, per chi inizia. Richiede pazienza perchè i risultati impiegano tempo ad arrivare. Ma forse chi ora dedica 3 ore al giorno a questa attività e il resto del tempo segue la sua normale professione fra 1 anno avrà un incasso costante… e magari fra 2 anni il fatturato sarà maggiore.
Just my 2 cent ;)
buon lavoro a tutti e grazie a Luca per la citazione ;-)
Giò
chiaro&scuro says:
L’argomento in questione così trattato si compone sulla base di un ragionamento scellerato e di una farragine su una scala tale che chiarificarla richiederebbe un lunghissimo articolo a sé stante (venti pagine almeno).
In primo luogo occorrerebbe fare una riflessione sociologica sulle catastrofiche politiche di marketing di questo global-capitalismo scellerato in cui “il gregge”, preso nelle maglie di una rete invisibile, è costretto a dimenarsi tra loro per conquistarsi una sorta di fatuo galleggiamento destinato a un’inesorabile annegamento.
E in secondo luogo bisogna essere completamente ciechi o interessati apologizzare l’avvento delle agenzie “Microstock” (quanto a oligarchia e ruberia, già quelle RM bastavano e avanzavano).
Se non sì è in mala fede come può essere possibile indirizzare “il gregge” verso una ideologia velleitaria che induce l’ingegno, la creatività dei singoli verso la strada del misconoscimento assoluto e a un destino da schiavi-invisibili appannaggio di un’orda di farabutti e plutocrati?
Osservate chi sono gli illustri signori che stanno a capo della piramide!
Osservato da questa “prospettiva mi chiedo se v’e differenza tra le moltitudini di bimbini/e-invisibili schiavizzati dalle grandi “marche” (es. Nike, Coca Cola, Disney e quant’altro) costretto a lavorare 18/20 ore al giorno, per un solo dollaro, in ambienti immondi, malsani e “il gregge” sommerso, occidentale e occidentalizzato, che sottostà alle stesse regole di un mercato sempre più scellerato e vampiresco?
(Come c… è possibile acquistare un paia di scarpe o un oggetto qualsiasi “griffato” ma costruito da “SCHIAVI!” a cifre astronomiche senza un fremito di orrore? Lo stesso vale per i “sotto-fessi” del microstocchismo)
Il nec plus ultra del grottesco è che una sorta di beffarda differenza esiste e sta nel fatto che le moltitudini di bimbini/e-invisibili schiavizzati una qualche certezza – trenta dollari mensili – di sopravvivenza ce l’hanno al cospetto del “gregge” sommerso, occidentale e occidentalizzato costretto a riporre perpetue e precarie speranze in download a “credito”.
Nel frattempo dall’alto dei loro “paradisiaci artificiali”, le BESTIE!, gli illustri TRIMALCIONE dell’umanità s’ingrassano a dismisura.
Per chi vuol capire…
a eman e giacomo: bravi!!!
chiaro&scuro says:
L’argomento in questione così trattato si compone sulla base di un ragionamento scellerato e di una farragine su una scala tale che chiarificarla richiederebbe un lunghissimo articolo a sé stante (venti pagine almeno).
In primo luogo occorrerebbe fare una riflessione sociologica sulle catastrofiche politiche di marketing di questo global-capitalismo scellerato in cui “il gregge”, preso nelle maglie di una rete invisibile, è costretto a dimenarsi tra loro per conquistarsi una sorta di fatuo galleggiamento destinato a un’inesorabile annegamento.
E in secondo luogo bisogna essere completamente ciechi o interessati apologizzare l’avvento delle agenzie “Microstock” (quanto a oligarchia e ruberia, già quelle RM bastavano e avanzavano).
Se non sì è in mala fede come può essere possibile indirizzare “il gregge” verso una ideologia velleitaria che induce l’ingegno, la creatività dei singoli verso la strada del misconoscimento assoluto e a un destino da schiavi-invisibili appannaggio di un’orda di farabutti e plutocrati?
Osservate chi sono gli illustri signori che stanno a capo della piramide!
Osservato da questa “prospettiva mi chiedo se v’e differenza tra le moltitudini di bimbini/e-invisibili schiavizzati dalle grandi “marche” (es. Nike, Coca Cola, Disney e quant’altro) costretto a lavorare 18/20 ore al giorno, per un solo dollaro, in ambienti immondi, malsani e “il gregge” sommerso, occidentale e occidentalizzato, che sottostà alle stesse regole di un mercato sempre più scellerato e vampiresco?
(Come c… è possibile acquistare un paia di scarpe o un oggetto qualsiasi “griffato” ma costruito da “SCHIAVI!” a cifre astronomiche senza un fremito di orrore? Lo stesso vale per i “sotto-fessi” del microstocchismo)
Il nec plus ultra del grottesco è che una sorta di beffarda differenza esiste e sta nel fatto che le moltitudini di bimbini/e-invisibili schiavizzati una qualche certezza – trenta dollari mensili – di sopravvivenza ce l’hanno al cospetto del “gregge” sommerso, occidentale e occidentalizzato costretto a riporre perpetue e precarie speranze in download a “credito”.
Nel frattempo dall’alto dei loro “paradisiaci artificiali”, le BESTIE!, gli illustri TRIMALCIONE dell’umanità s’ingrassano a dismisura.
Per chi vuol capire…
a eman e giacomo: bravi!!!
Luca says:
A parte filippiche sull’estrazione del plusvalore, che non hanno senso in questa sede ne piu’ e ne meno che i problemi mestruali di mia moglie… La realta’ semplice e’ questa, chi produce immagini di qualita’ oggi ha una strada diretta per farle fruttare in modo semplice, diretto e efficace. D’altro canto ha pochi costi assoluti. Chi produce immagini generiche e prive di valore aggiunte prima forse potendo contare su di una posizione di privilegio le poteva vendere tramite i soliti canali noti, oggi si trova a fare i conti solo con la qualita’ del suo lavoro. Eppure posso dire che oggi qualunque fotografo professionista con solide basi puo’ ben guadagnare dal microstock senza rischio di investire altro che se stesso.
Che senso ha lamentarsi non lo capiro’ mai…… Prima i costi erano enormi, le difficolta’ a farsi rapprensentare radicali, oppure si andava in agenzie con agenti che mai ti avrebbero fatto lavorare….. risutlato milioni di immagini valide giacevano inutilizzate. Ora siccome non possiamo far altro che lamentarci non per i nostri limiti ma per quelli del sistema dobbiamo dire che uno strumento valido non va. Ho preso il mio archivio lo ho ripulito, ho cestinato circa 100.000 scatti, ne ho salvati circa 100.000 di queste ne ho selezionati 11.000 e da questa base ne ho post prodotti sui 3.000. Risultato da 60 faldoni di archivio difficilmente utilizzabili oggi ho un hard disk da 4 TB di immagini che lavorano anche quando dormo, su cui ho un controllo diretto e che amministro dal mio studio. Niente piu’ film, niente piu’ duplicati, nessun problema per avere una stampa, che esce dal plotter in tempo reale. Certo ho investito quattro anni di lavoro nel tempo libero per digitalizzare il mio archivio e ne sono davvero contento.
Luca says:
A parte filippiche sull’estrazione del plusvalore, che non hanno senso in questa sede ne piu’ e ne meno che i problemi mestruali di mia moglie… La realta’ semplice e’ questa, chi produce immagini di qualita’ oggi ha una strada diretta per farle fruttare in modo semplice, diretto e efficace. D’altro canto ha pochi costi assoluti. Chi produce immagini generiche e prive di valore aggiunte prima forse potendo contare su di una posizione di privilegio le poteva vendere tramite i soliti canali noti, oggi si trova a fare i conti solo con la qualita’ del suo lavoro. Eppure posso dire che oggi qualunque fotografo professionista con solide basi puo’ ben guadagnare dal microstock senza rischio di investire altro che se stesso.
Che senso ha lamentarsi non lo capiro’ mai…… Prima i costi erano enormi, le difficolta’ a farsi rapprensentare radicali, oppure si andava in agenzie con agenti che mai ti avrebbero fatto lavorare….. risutlato milioni di immagini valide giacevano inutilizzate. Ora siccome non possiamo far altro che lamentarci non per i nostri limiti ma per quelli del sistema dobbiamo dire che uno strumento valido non va. Ho preso il mio archivio lo ho ripulito, ho cestinato circa 100.000 scatti, ne ho salvati circa 100.000 di queste ne ho selezionati 11.000 e da questa base ne ho post prodotti sui 3.000. Risultato da 60 faldoni di archivio difficilmente utilizzabili oggi ho un hard disk da 4 TB di immagini che lavorano anche quando dormo, su cui ho un controllo diretto e che amministro dal mio studio. Niente piu’ film, niente piu’ duplicati, nessun problema per avere una stampa, che esce dal plotter in tempo reale. Certo ho investito quattro anni di lavoro nel tempo libero per digitalizzare il mio archivio e ne sono davvero contento.
chiaro&Oscuro says:
A parte il fatto che per quelli emarginati, (e non per demeriti… tutt’altro) travolti dal “terremoto” che c’ha procurato all’estinzione del copyright, affaccendati a riciclarsi o a fare, come quella moltitudine di giovani disoccupati o sotto-occupati (altra installazione d’arte contemporanea omaggio della globalizzazione) che s’arrabattano e s’affannano per portare a casa, quando gli va bene, un salario da fame; dei “problemi mestruali di Sua moglie” non gliene può fregar di meno, così come contrariamente a quanto asserisce Le rispondo che: le “filippiche sull’estrazione del plusvalore” – che a mio avviso, in tal caso, s’è sconfinato oltre il limite dell’illecito e dell’illegale – c’entrano, e come se c’entrano!… (vive su Marte?)
ps. errata corrige sul mio commento precedente: “a eman e giacomo: bravi!!!”
ver. corretta: Eman e Giacomo: ottime osservazioni, bravi!!!”
chiaro&Oscuro says:
A parte il fatto che per quelli emarginati, (e non per demeriti… tutt’altro) travolti dal “terremoto” che c’ha procurato all’estinzione del copyright, affaccendati a riciclarsi o a fare, come quella moltitudine di giovani disoccupati o sotto-occupati (altra installazione d’arte contemporanea omaggio della globalizzazione) che s’arrabattano e s’affannano per portare a casa, quando gli va bene, un salario da fame; dei “problemi mestruali di Sua moglie” non gliene può fregar di meno, così come contrariamente a quanto asserisce Le rispondo che: le “filippiche sull’estrazione del plusvalore” – che a mio avviso, in tal caso, s’è sconfinato oltre il limite dell’illecito e dell’illegale – c’entrano, e come se c’entrano!… (vive su Marte?)
ps. errata corrige sul mio commento precedente: “a eman e giacomo: bravi!!!”
ver. corretta: Eman e Giacomo: ottime osservazioni, bravi!!!”
Francesco Ridolfi says:
La mia esperienza mi dice che il microstock è a tutti gli effetti una branca dell’attuale mercato fotografico che vale la pena percorrere!
Da circa tre anni collaboro con le varie agenzie di microstock (in licenza non esclusiva..) e ad oggi gran parte del mio fatturato deriva proprio da questo tipo di business.
E’ vero che c’è stata una crescita esponenziale sia nei nel numero di compratori, ma anche di illustratori e fotografi da ogni parte del globo.. e oltre al numero c’è un costante trend di crescita in termini di qualità dell’immagine (ciò che un paio di anni fa poteva essere considerato accettabile e vendibile oggi rischia di prendere soltanto la polvere..).
Insomma è sicuramente una sfida dove doversi rimboccare le maniche, ma può valerne davvero la pena!
Francesco Ridolfi says:
La mia esperienza mi dice che il microstock è a tutti gli effetti una branca dell’attuale mercato fotografico che vale la pena percorrere!
Da circa tre anni collaboro con le varie agenzie di microstock (in licenza non esclusiva..) e ad oggi gran parte del mio fatturato deriva proprio da questo tipo di business.
E’ vero che c’è stata una crescita esponenziale sia nei nel numero di compratori, ma anche di illustratori e fotografi da ogni parte del globo.. e oltre al numero c’è un costante trend di crescita in termini di qualità dell’immagine (ciò che un paio di anni fa poteva essere considerato accettabile e vendibile oggi rischia di prendere soltanto la polvere..).
Insomma è sicuramente una sfida dove doversi rimboccare le maniche, ma può valerne davvero la pena!
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