La fotografia non chiude, i negozi si. Ma ci sono soluzioni…

La fotografia non chiude, i negozi si. Ma ci sono soluzioni…

Chiude Photo Discount Milano

Anche uno degli ultimi baluardi tra i negozi storici di fotografia di Milano ha chiuso. Quel Photo Discount di Piazza De Angeli che è stato punto di riferimento non solo per la zona ma per tutti. Dell’immenso spazio dell’epoca (che poi si era ridotto nel tempo) ero particolarmente legato all’area dell’usato, dove si trovavano non solo le Nikon, Canon, Leica che erano il sogno della mia gioventù di fotografo, ma erano le vetrine interne alla galleria, in fondo, dove si trovavano banchi ottici, luci e accessori che mi hanno aiutato a costruire il primo “studio” fotografico. Una Toyo 45 usata è stata un punto di partenza per un percorso che – oggettivamente – mi ha portato fino a qui.

Volevo parlare di questo, ma sentivo che tutto poteva già essere stato raccontato, rimpianti e polemiche comprese. Dalle stesse parole di Dario Bossi – incrociato mille volte, che ho sempre stimato per la sua determinazione sebbene spesso i pareri fossero discordanti – si punta il dito contro Amazon, contro le fotografie scattate con i cellulari e non con le pellicole, ma al tempo stesso mi sembrava tutto inutile da discutere. Leggendo i commenti, nell’articolo del Corriere che abbiamo letto, si parla anche di “colpe” degli importatori che non hanno concesso margini superiori al 10% e quindi non hanno tutelato i negozianti. E c’è una tristezza del non essere arrivati alla targa di “bottega storica” e di non avere fatto proseguire la storia per la terza generazione. E in questo percorso di pensiero, fatto di tristezza, di un po’ di rabbia, di inevitabile preoccupazione perché in questo mondo che crolla e che abbiamo vissuto da dentro, che ci ha alimentato sia dal punto di vista intellettuale che da quello più concretamente economico da oltre 30 anni, non ci si può estraniare del tutto: sopravvivere quando attorno a noi tutto sembra crollare fa – inevitabilmente – pensare al fatto che nessuno è esente dall’onda così violenta che ha colpito questo settore.

Eppure, non è questo che, nel cuore e nella mente, volevo trattare. E’ difficile da spiegare il percorso della scrittura del Sunday Jumper. Qualcuno penserà che sia tutto organizzato, invece quando ci mettiamo a scriverlo, sempre alla domenica mattina, il percorso non è chiaro. C’è un punto di inizio (a volte, nemmeno quello) e il punto finale invece arriva con l’istinto, con il percorso che fa la mente. Una specie di psicoterapia, qualcosa da fuori ti porta a mettere insieme degli elementi, ma tu che li vivi non lo sai, coscientemente. Oggi è capitata una coincidenza incredibile, che deve farci capire che non stiamo vivendo in un mondo peggiore, ma in un futuro che è diventato presente e che spesso non comprendiamo perfettamente. Ho aperto Google per cercare informazioni sulla chiusura di Photo Discount, e mi è apparso come primo link l’articolo del Corriere sopra indicato. All’apertura, come spesso accade, la pagina richiamata si è aperta con una pubblicità che è apparsa per qualche secondo per poi lasciare spazio al contenuto richiesto. Quante volte clicchiamo sulla “X” per chiudere, senza pensarci: la pubblicità è disturbo, quindi non le dedichiamo tempo e attenzione. Eppure è successo qualcosa di strano: prima di tutto la pubblicità non è apparsa in realtà “prima” della pagina dell’articolo, ma un paio di secondi dopo. Si trattava di una pubblicità di Moncler, già argomento interessante perché negli anni ’80, quando la fotografia “vera” era ancora al top, e il digitale non ancora così forte, era il tempo dei paninari che amavano i giubbotti di questo marchio (o, come diceva Giorgio Faletti a Zelig, i “giumbotti”). Ma qualcosa nel cervello ha creato un segnale di allarme, di concentrazione non comprensibile.

Non capivo perché quella attenzione, ma forse la pigrizia della domenica mi ha impedito di collegare i punti alla giusta velocità e dopo pochi secondi la pagina pubblicitaria è sparita, e ho capito il collegamento del cervello: la pagina di pubblicità proponeva una fotografia di gruppo, e anche quella dell’articolo ne proponeva un’altra; la prima, in bianco e nero aveva una modernità e un effetto “cool” davvero prorompente, la seconda, a colori, un alone di tristezza e di passato. Non è questione di bianco e nero o colore, non voglio banalizzare dicendo che il passato del linguaggio fotografico diventa futuro… è solo una coincidenza che però si aggiunge nel discorso generale, più importante. Sta di fatto che ho provato a ricaricare la pagina, ma il sistema non l’ha più riproposta; ho cambiato due volte browser per tornare alla situazione di origine, e ci ho perso qualche minuto: dovevo sapere cosa stesse raccontando quella coincidenza, ma per farlo dovevo recuperare la pubblicità perché sapevo solo che si trattava di una pubblicità Moncler. Ci sono riuscito, e ho capito perché questo mestiere richiede di avere un istinto di segugio: se non si vogliono raccontare storie già sentite, allora bisogna seguire strade diverse, e anche perdersi. Non si trovano strade nuove, se non ci si perde, e io sono uno che si perde con grande facilità, non avendo il senso dell’orientamento e nemmeno la memoria visiva per le strade.

Incredibile, la storia raccontata da Moncler è quella di varie collezioni che propongono delle interpretazioni del prodotto Moncler da parte di vari creativi. Il progetto si chiama Moncler Genius, e propone nove differenti progetti che “definiscono l’unità Moncler”. La frase che definisce il tutto è

One House, different voices

Scorrendo il sito si trovano varie proposte, tutte originali e “bizzarre”, sono quelle che in gergo credo siano definibili “capsule collections”, ma tutte legate allo stesso DNA dell’azienda e del prodotto. Tante voci, una sola appartenza.

Quello che credo sia mancato, in questi anni nel nostro mondo della fotografia, è un’unica appartenenza, i trend esterni – che hanno fatto crescere la fotografia, la sua evoluzione, ma anche quella del commercio, dei negozi, del rapporto tra utenti e brand, della logistica: tutto questo è stato vissuto come una tempesta da combattere, esterna, invece che parte di un unico percorso che avvolgeva e poteva far crescere tutti. La lotta frontale (piccoli negozi contro Amazon, distributori/importatori contro GDO e ecommerce, fotografia analogica contro digitale, reflex contro smartphone, professionisti contro amatori) ha portato solo feriti, e tutti dalla stessa parte: da quella che era più debole, che cercava di contrastare l’incontrastabile. Non è stata una “unica casa” e ora nella “casa della fotografia” chi ha fatto così tanto per crearla e renderla accogliente negli anni è stato sbattuto fuori dal proprio alloggio.

Invece che cercare di far capire il proprio valore, bisognava rafforzarlo attraverso quello che veniva via via percepito dagli utenti come qualcosa di desiderabile e vantaggioso. Come si fa a dire ad un importatore che deve “tutelare” i negozi, se poi da questi negozi non si può generare un business che possa essere funzionale? Se Amazon e l’ecommerce non solo toglie fiato agli stessi negozi, ma agli stessi importatori e distributori, come si fa a puntare il dito contro? Se le persone trovano più immediato e sensato scattare foto con uno smartphone, che propone qualità sempre più alte (avete visto i test DXO degli ultimi smartphone usciti? Per esempio del nuovo Galaxy S10, o dello Huawei P20 Pro), sbagliano gli utenti? Come sono state interpretate queste evoluzioni dal settore della fotografia? Cosa si poteva fare? Non siamo riusciti ad essere punti di riferimento, di ispirazione, di metodo… solo vecchi e anche un po’ saccenti e noiosi. E, si sa, i saputelli nel mondo digitale, dove le parole che si vomitano sulle tastiere generano solo conflitto. Ne parlava Andrew Keen, in un libro intitolato Dilettanti.com un po’ datato, ma che merita ancora di essere letto perché attualissimo, che ha il sottotitolo: Come la rivoluzione del Web 2.0 sta uccidendo la nostra cultura e distruggendo la nostra economia. Combattere contro nemici forti deve portare ad allearsi, non c’è scampo, ma non si tratta nemmeno di sopravvivenza, ma di intelligenza e anche del comprendere quanto sia importante essere contemporanei. Solo le specie che sono capaci di cambiare sono le più forti, sembra avere (con altre parole) il buon Darwin, anche se poi sembra che questa citazione in realtà non sia mai stata pronunciata dallo studioso e ci fa capire che molto di quello che pensiamo di sapere in realtà si basa sul falso. Vale però il concetto, che è condivisibile: bisogna sapere come cambiare, non mettersi sempre in posizione rigida, senza cercare di ammorbidire gli scontri frontali.

I pensieri che sono usciti dalla coincidenza del collegamento con la pubblicità Moncler sovrapposta alla notizia della chiusura di Photo Discount continuano a rimanere nella mente. Ci è difficile credere che il mondo possa semplicemente chiudere dei capitoli senza poterli affrontare come delle naturali evoluzioni che lasciano (lascerebbero) spazi e ruoli a tutti. Crediamo ancora nei negozi di fotografia (non certo come quelli di una volta), così come crediamo alle riviste cartacee, come crediamo ai mercati dove comprare la verdura fresca al sabato, come crediamo alla cultura come salvataggio di tutta l’umanità. E siamo convinti che le persone – gran parte di questa massa che sta di fronte a noi – vogliono lo stesso. Bisogna trovare il linguaggio per farlo, bisogna capire come catturare la loro attenzione, il loro tempo e – non ultimo – i loro soldi. E questo andrebbe fatto insieme, in un collettivo che raccoglie forze comuni. Ecco, di questo forse siamo meno sicuri: si tende a trovare zattere di salvezza individuali, e non collettive, senza capire che solo se si salva l’ecosistema si può sopravvivere. Se vogliamo fare come dice Trump, ovvero che i problemi dell’inquinamento semplicemente “non esistono”, allora si finirà con il soccombere tutti, perché non si sopravvive a lungo su una zattera che ci tiene a galla, in un oceano vuoto: stare a galla porta poi al fatto che finiscono il cibo e l’acqua, e si muore di fame e di sete… o peggio ancora di noia.

Vorremmo vedere fotografie di gruppo di mondi che si uniscono, che trovano equilibri nuovi che mantengono le sensibilità e le competenze di valori che devono e possono essere mantenuti. Chiunque con farà un passo concreto di avvicinamento, non andrà lontano.

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