Jumper

Newsweek interrompe la pubblicazione su carta. Chi vuole commettere gli stessi errori?

La notizia della settimana probabilmente è stato l’annuncio della prossima chiusura della versione cartacea di Newsweek: vivrà, a partire dal 1 gennaio 2013, solo in versione digitale. Ok, è vero: in Italia la notizia più discussa di questa settimana non è stata questa, ma che Belen è “davvero” incinta (sta bene, è un maschietto, lo chiameranno sembra Santiago… povero cucciolo!), ma non siamo qui a parlare di questi dettagli, ci auguriamo che il Sunday Jumper non sia merce da leggere dal parrucchiere, anche perché esce di domenica e anche al lunedi i parrucchieri sono chiusi (come i negozi di fotografia). Torniamo quindi a Newsweek che ci interessa decisamente di più. Perché chiude? Semplice da capire: negli ultimi 5 anni ha perso il 50% dei lettori, e gli introiti della pubblicità sono scesi, dal 2007 a oggi, del 70%. Non è – come qualcuno dice – da imputare all’editoria digitale, che è agli inizi e non ha fatto sentire ancora – nemmeno nella tanto evoluta terra americana – il suo peso schiacciante. Semmai, il digitale è una scappatoia per rimanere in pista: ci saranno tagli, il prodotto ne risentirà, ma la testata non sparirà e potrà far proseguire la sua storia che per ora conta 80 candeline.

Gli analisti (reali o improvvisati) hanno commentato questa notizia “storica”, ed è stato interessante leggere pareri e tesi, specialmente perché molti hanno collegato la notizia all’intero mondo dell’informazione, della stampa, della carta, quando forse è più sensato parlare di un caso isolato, al momento. Beninteso: dal lontano 1995 noi stiamo dichiarando che un certo tipo di editoria cesserà di esistere sulla carta (nel 1995 abbiamo pubblicato la nostra rivista cartacea Jump, e lo dicevamo nell’editoriale: se carta deve essere, deve essere di qualità, altrimenti non ha senso stampare e non a caso questa rivista era stampata su carta bellissima, a 5 colori, con copertine spettacolari dal punto di vista della lavorazione), ma un conto è parlare di tendenza, un conto è farne il funerale. Newsweek chiude su carta per due motivi: perché il progetto – editoriale ed economico – non è riuscito a stare al passo dei tempi (si parla di perdite di oltre 20 milioni di dollari all’anno), e poi perché è una delle tante riviste che non usano la carta come valore, ma solo come supporto. Nelle nostre (e non solo nostre) stime, i primi mezzi di informazione che cesseranno di usare la carta saranno i quotidiani, gli ultimi le riviste d’arte patinate e raffinate: proprio per quello che dicevamo nell’editoriale di Jump appena citato.

Quello che dobbiamo affrontare come evoluzione, quindi, non è l’attesa che la carta venga sostituita dal digitale, ma che si creeranno opportunità maggiori di veicolare certi contenuti in digitale, e altri su carta. E fin qui, tutto è abbastanza lineare, quasi scontato (anche se poi ci accorgiamo che le cose scontate non sono poi così scontate). Quello che invece ci affascina è che si possono valutare dei percorsi opposti, rispetto alle regole imposte dall’innovazione. Qualche giorno fa ho letto questa frase:

“The web is where we go to get answers but print is where we go to ask questions.”
(Traduzione: il web è dove si va per avere delle risposte, alla carta ci si rivolge per farsi delle domande)

Avevo una maglietta con una citazione di Albert Einstein, che diceva qualcosa di simile: “I computer sono stupidi perché conoscono solo le risposte”), come ad indicare che l’intelligenza è più vicina al porsi domande che non al dispensare risposte. Parlando di intelligenza o di stupidità, trovo tanto stupida la ricerca di risposte nella tecnologia innovativa per nascondere le domande che bisognerebbe porsi sui contenuti e sul valore degli stessi. Il vantaggio che bisognerebbe sviluppare con le tecnologie che permettono di raggiungere un pubblico ampio a costi prossimi allo zero (come Internet, per esempio) è quello di dedicare risorse di tempo e di soldi alla qualità del contenuto, e invece non è così: se costa poco la piattaforma di pubblicazione, si tende a dare meno valore a tutto. Siamo quindi intrappolati in ogni caso: se si usa la stampa i costi sono troppo alti e bisogna risparmiare su tutto, se si usa il digitale, visto che il costo di partenza è basso si finisce col fare budget risicati. L’uso di uno o dell’altro media quindi non è più ragionato, è solo un’esigenza di rimanere ancorati alla tradizione, o usare la carta dell’innovazione per celare la mancanza di risorse economiche.

Il futuro non ci impone una battaglia all’ultimo sangue, per far vincere la carta o il digitale: ci obbliga a pensare che il mercato ha bisogno di contenuti di qualità, e per qualità intendiamo informazioni che il pubblico richiede in quella forma e sostanza e non “qualità” con la Q maiuscola, quella con la puzza sotto il naso, quella fatta per pochi eletti. Ci sta – nell’informazione di “qualità” anche il gossip di Belen e del suo pancione, se il pubblico è interessato ad avere informazioni su questo, non possiamo essere noi – nessuno di noi – giudice dell’effettiva importanza o inutilità di questo contenuto. Quello che non serve è l’informazione duplicata mille volte, riportata male, scritta male, poco chiara, stupida e maldestra. Probabilmente il 70% di quello che si pubblica ogni giorno (su qualsiasi media, sul web di più solo perché è più facile ed economico, e quindi c’è di più) dovrebbe essere buttato nel cestino. L’altra cosa che il futuro “ci impone” è di capire cosa e come pubblicare su un media rispetto all’altro. Non si usa il web solo perché “costa meno”, o la carta solo perché “così lo leggono tutti”. Sono teorie sbagliate, portate avanti con ignoranza e senza analisi. Bisogna capire (studiare!) quando e cosa funziona meglio su un sito, cosa su un foglio di carta, cosa su uno smartphone o su un Tablet. Bisogna pensare che forse il futuro non è quello di imporre un media, ma offrire all’utente il contenuto sul media che preferisce, e per fare questo bisogna sapere come prepararlo e pubblicarlo su ciascuno di questi strumenti.

E c’è di più: bisogna capire che gli utenti sempre più usano più device in contemporanea. Google di recente ha pubblicato un report che mette in evidenza come ormai negli USA il 90% di tutta l’informazione viene fruita su un monitor (alla carta, alla radio, ai cartelloni rimane un esiguo 10%…), ma che in questo spazio di uso “digitale” dell’informazione, la percentuale di coloro che usano contemporaneamente due o tre device è in grande crescita: quello che è interessante è capire come e cosa si fruisce su uno smartphone, su un tablet, su un computer, sulla TV… perché da questi studi si possono far nascere delle strategie, non certo dal nulla. E anche come usare i mezzi più “tradizionali” rafforzandone il potenziale proprio in vista di un loro uso molto più di nicchia.

Se questo è importante per quello che riguarda i media, lo è anche in tutto il mondo della comunicazione e dell’immagine: se vogliamo, è applicabile anche nel settore della fotografia e del suo macroscopico pubblico. Prima dell’avvento del digitale, la stampa era fondamentale, ora è “fondamentalmente non necessaria”, ma non per questo deve cessare di esistere, bisogna collocarla in un contesto di valore. Qualche giorno fa mi è capitata tra le mani (o meglio davanti agli occhi: era un sito!) una statistica dalla qualche viene fuori che l’inchiostro delle stampanti è il “liquido” più costoso al mondo, dopo i profumi, ma prima dello Champagne (e mooolto prima della costosissima benzina). Impressionante, vero? La cosa che mi stupisce è che non si riesca a posizionare la stampa – come prodotto – come qualcosa di lussuoso, e proposto quindi nella sua migliore e massima qualità e nobiltà, e si cerca invece di posizionarla come alternativa naturale alla distribuzione digitale delle immagini (email, gallery on line, Facebook). Questo dimostra che anche nei mercati vicini a noi, non siamo in grado di posizionare prodotti, strategie commerciali, orientare i clienti e i fruitori dei contenuti.

Dobbiamo aprire gli occhi, non farci influenzare dalle emozioni, dalla nostra storia, dalle nostre abitudini. Dobbiamo affrontare le cose con una visione lineare, nitida, analitica. Per questo, stiamo insistendo moltissimo sulle tematiche del marketing, per questo abbiamo visto quante persone ci stanno seguendo nelle iniziative che stiamo tenendo un po’ in tutta Italia dove mettiamo a fuoco esigenze, strategie, studio di comportamenti, azioni da attivare subito. Per esempio – lo ricordiamo per chi rischia di perderselo – quello del 9 novembre, dove parleremo proprio di strategie di marketing per fotografi, nell’ambito del mondo online (quello che appare come il più promettente ed il più aperto). Non vogliamo vedere tra i nostri lettori (che sono amici, ai quali vogliamo bene) che ci siano casi come quello del Newsweek. Abbiamo il grande vantaggio in Italia di essere tre anni indietro rispetto a queste tendenze, ma non possiamo permetterci di perdere tempo…