La fotografia, ormai dovrebbe essere una chiara evidenza, è un bene di lusso. Assurda come frase, in un contesto in cui la fotografia è “ovunque”, il bene più popolare al mondo: come fa ad essere “di lusso”? Giusto, ma i concetti vanno contestualizzati, e in questa sede il contesto è quello del prodotto “fotografia professionale”, realizzata da artisti/creativi/tecnici specializzati (barrate la voce che preferite, oppure prendetele tutte, a pacchetto). Lo diciamo da tanto, ma ogni giorno è sempre più evidente: ogni secondo si pubblicano quasi 1000 immagini solo su Instagram, che vuol dire oltre 84 milioni di fotografie al giorno, e questa produzione è solo la punta di un iceberg, ogni giorno, mediamente, si usa uno smartphone per oltre 170 minuti (gli utenti più “attivi” arrivano a 4,5 ore/giorno) , e la percentuale di questo tempo che si passa scattando fotografie è significativa. E, lo sanno bene tutti, anche quando il professionista ha un ruolo definito, accreditato e pagato, attorno ci sono diverse persone che comunque scattano “foto”, che siano di backstage o “alternative” a quelle che vengono prodotte di “mestiere”.
In questo contesto, è arrivato il punto di cambiare il ruolo della fotografia, dal punto di vista del mercato. Chiaro che ci sono ancora mille aree di business dove il fotografo può ancora “vendere il proprio lavoro”, con soddisfazione, ma è necessario puntare su due elementi centrali di sviluppo commerciale e di marketing. Ci si avvale di professionisti quando si manifestano principalmente quattro esigenze:
1) Complessità tecnica
2) Grande capacità creativa
3) Capacità di essere un media molto visibile
4) Fornire un prodotto prezioso, di lusso, unico ed esclusivo.
Da sempre, i fotografi professionisti si sono posizionati principalmente nella prima e nella seconda area (tecnica e creatività): hanno studiato la tecnica, e hanno proposto grande sensibilità creativa, ma sono i due settori più fragili, in questa era: la tecnica è sempre più un problema che si risolve grazie alla tecnologia che diventa sempre più avanzata, l’intelligenza artificiale comprende come risolvere anche la mancanza di competenza, difficile se non impossibile fare una foto “sbagliata” e sempre più anche gli ambiti più specifici trovano soluzioni soluzioni che rendono più facile ottenere un risultato ottimizzato, e la parte creativa rende sempre più difficile trovare strade originali che non siano “già viste”. Il grande problema è che il gusto del pubblico è influenzato da quello che vedono, e va rilevato che gli utenti medi sono molto più attivi nel “guardarsi in giro” (Instagram è usato molto più dagli utenti che non dai professionisti della fotografia che cercano in questa piattaforma più un mezzo di promozione che non una piattaforma per studiare i gusti e le evoluzioni degli stili). Di fatto, spesso la proposta creativa “tradizionale” appare meno appetibile come “desiderio di acquisto” da parte degli utenti, che vivono lo tsunami delle immagini che si evolvono alla velocità della luce. C’è spazio, ovviamente, ancora per fare molto, specialmente contaminando la creatività con culture che sono meno accessibili, che sono più profonde, ma è una competizione sempre più difficile.
Il terzo tema (visibilità) lo abbiamo trattato spesso, anche di recente qui. Spesso, si sceglie più un canale di distribuzione e di visibilità che non di pura “produzione”. Il fenomeno degli Influencer, dei creatori di contenuti (content creators) fa capire che i brand, ma non solo, puntano a commissionare immagini che “comprendono il canale di visualizzazione”; è come una volta si pagava un fotografo e poi anche la rivista che pubblicava le foto, il videomaker e l’emittente televisiva che lo metteva in onda. Oggi, tutto è concentrato in un solo referente, il produttore diventa media, e il valore si esprime in centinaia di migliaia, milioni di contatti. Se un fotografo vuole entrare in questo mercato con questo ruolo (lo fanno in tanti) deve sviluppare una strategia che porta ad usare i canali social con una politica che possa garantire visibilità molto ampia, e quello che invece si vede è che tutta (quasi tutta) la categoria dei fotografi usa i social come un canale di promozione, come abbiamo già detto sopra, con il risultato di numeri e ritorno bassissimo, anzi: di solito si spendono soldi, invece che guadagnarli.
L’ultimo tema (proporre esclusività e lusso) è il più nuovo, ed è un fenomeno che esiste da anni, ma che il periodo della pandemia ha fatto esplodere per un semplice motivo: la crescita della cultura digitale nella massa delle persone, che si sono avvicinate a qualsiasi settore che si incrocia con il digitale. Si, perché il lusso – da sempre legato alla fisicità, al possesso, all’esclusività – ha sposato il digitale. E questo incontro sta diventando esplosivo, unisce arte, esclusività, garanzia di transazioni economiche sicure, certificati di proprietà: tutte cose che ovviamente sono legate ai temi del collezionismo, ma anche in assoluto al valore reale di un bene “virtuale”. Se volete anche solo l’ultimo esempio, vicino al nostro mondo, è un “jpg” creato da Mike Winkelmann, conosciuto come Beeple, battuto da Christie’s per la folle cifra di 69,3 milioni di dollari, il prezzo più alto per un’opera SOLO digitale nella storia di questa casa d’aste. Il processo di acquisto su un certificato di proprietà NFT (Non Fungible Tokens) è il fenomeno più chiacchierato del momento proprio in funzione delle opere d’arte digitali, perché diventano verificabili e facili da scambiare su blockchain. Chiaro che si tratta di un estremo, e che le foto del nostro gatto (per quanto bellissime, anche grazie alla bellezza del gatto) possono guadagnare valori anche solo “simili” a questi valori, ma è importante – oggi, non in futuro – capire come questi fenomeni possono essere usati per iniziare ad esplorare percorsi di prodotti e di opere che pur digitali possono guadagnare una dimensione nuova. In passato, soluzioni di opere digitali stampate definite giclée hanno aperto la strada delle tirature limitate tipiche della riproduzione artistica anche nel settore digitale, poi sposata in particolare da Epson con il brand Digigraphie, ma in questo caso si parla di opere digitali al 100%, e i sistemi che ne certificano il valore hanno una concretezza decisamente più ampia.
Stiamo mettendo insieme una serie di contenuti e di strategie che uniscono i metodi di distribuzione nell’arte digitale, l’evoluzione delle gallerie d’arte nell’era del durante e post Covid-19, delle nuove interazioni tra artisti e mercato (specialmente emergenti… stiamo parlando ad un pubblico di professionisti che possono vedere in questa attività una strada concreta, e non solo visioni inarrivabili), del ruolo tra arte e brand e delle piattaforme e soluzioni proprio per capire come tutelare, verificare, proteggere, scambiare beni digitali, parlando quindi – concretamente e con un linguaggio semplice – di NFT e di blockchain. Se pensate che questo tema possa essere di vostro interesse vi chiediamo di offrirci un caffè (o più caffè, a seconda di quanto interesse avete per l’argomento), cliccando qui sotto: è una piattaforma carina, anche solo nel nome, e quindi abbiamo deciso di usarlo come un sistema per verificare l’interesse e l’attenzione dei nostri lettori.
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Foto in apertura: Ava Sol on Unsplash