Parafrasando la famosa pubblicità No Martini, no Party, quello che appare evidente in questo periodo è che il ruolo dei fotografi negli ambiti più “ricercati” (per esempio, gli shooting di moda per importanti riviste) hanno subito un brutto colpo. Non è bastato l’attacco da parte di Vogue Italia che ha decretato pochi mesi fa che la fotografia “inquina” (anche quella digitale, non solo quella “chimica” del passato, che inquinava davvero), ora con la pandemia tutti hanno pensato bene che fosse impossibile muoversi e organizzare lavori con il coinvolgimento di tante persone, in poco spazio. Si poteva fare molto, per lanciare messaggi positivi, ovvero che era necessario imparare a lavorare in sicurezza, dare dei messaggi costruttivi (un po’ come ha fatto l’organizzazione del concerto del Primo maggio, che invece che seguire la moda dei concerti da casa, in diretta streaming, ha deciso di parlare di sicurezza nel lavoro per garantire il ruolo di tutti i lavoratori dello spettacolo che sono tra i più colpiti da questa situazione drammatica, e il messaggio di apertura dell’evento, fatto da Ambra Angiolini ne è una testimonianza).
Invece, è stata scelta la strada più semplice: invece che crearsi il problema, è stato eliminato, anche trasformando il tutto in una trovata creativa, come nel caso dell’ultima campagna di Gucci, curata dall’ormai leggendario stilista Alessandro Michele. Invece che organizzare shooting complessi e costosi, è stato pensato che oggettivamente i fotografi potevano starsene a casa, i capi di vestiario della collezione sono stati inviati ai modelli, che hanno fatto a meno di tutto (non solo dei fotografi, ma anche dei make-up artists e degli stilisti) e si sono ripresi in piena libertà espressiva. E’ stato dichiarato
“I let the models build their own images. To act as photographers and storytellers, producers and scenographers. I asked them to represent the idea they have of themselves. To go public with it, shaping the poetry that accompanies them. I encouraged them to play, improvising with their life,”
Non solo questo è stato un esempio evidente e forte, anche altre esperienze (per esempio su Vogue Australia) hanno seguito questo percorso, anche gestendo più direttamente il controllo delle ripresa tramite i canali di videochiamata, come FaceTime o Zoom. Ci sono molte strade interessanti, di cui ci stiamo occupando e che presto vi racconteremo, perché ci sono aspetti decisamente interessanti e promettenti (ma che sono meno “banali”) di come sono stati usati finora, ma ancora una volta nell’uso più “popolare”, l’idea è che il fotografo può essere sostituito da qualcuno che sta “al di là dello schermo”, e alla fine, “click” lo può fare chiunque. Già, questa è la vera tematica da affrontare, questo è il vero rischio da gestire e non è certo possibile farlo con la polemica e tantomeno con le rivendicazioni (dov’è il “sindacato dei fotografi”?).
E’ incredibile come gli equilibri si siano totalmente sballati, in questi pochi mesi. Dietro tutto questo non c’è il “Coronavirus”, ma è stato preso come pretesto per smuovere e attivare/velocizzare delle evoluzioni che erano già nell’aria e che attendevano solo una “spallata” per trasformarsi in “normalità”. Il 2020 sarà l’anno della trasformazione del nostro mestiere, così come quello di tanti altri.
In questi mesi ci siamo guardati attorno, l’impressione era quella che la fotografia avesse chiuso una sua era, ci siamo domandati cosa potevamo fare ancora per questo settore, così sfilacciato e senza più riferimenti, dove le iniziative si sono dissolte fino a scomparire, dove le tecnologie sembrano non interessare più (fare fotografie sembra ormai così facile, perché servono ancora dei professionisti?). Ora, di colpo, ci sembra evidente che non mancano le occasioni, anzi… che ce ne sono davvero tantissime, ma quello che manca è fantasia e la capacità di vedere oltre al primo livello che appare in superficie. Ve ne accorgete anche voi? Se la risposta è si, è evidente che avremo molto di cui parlare; se la risposta è no… ancora di più ;-)