Quando si ha a che fare con degli studenti (come il sottoscritto), ci si accorge che gli “esami di fine anno” sono un elemento che condiziona e coinvolge in modo determinante il loro lato psicologico. Sono momenti devastanti dal punto di vista dello stress, ma tendono anche a tirare fuori il meglio (purché siano sensati… ci sono esami che davvero non lo sono), e fanno crescere. Ho vissuto con molti studenti e studentesse – che si stanno formando in grafica e, per quello che mi riguarda, in tecniche di progettazione su nuovi media – ansie e aspirazioni. Parlo ovviamente di persone che hanno passione, che si impegnano, che vogliono superare non solo un esame, fatto di un punteggio in trentesimi, ma uno scoglio per dimostrare qualcosa: ai genitori che stanno investendo nel loro futuro, ai docenti – con i quali esistono a volte rapporti difficili, a volte invece stimolanti – ma specialmente a se stessi.
Le nuove generazioni imparano ad avere una competitività molto forte, hanno uno spirito ed un istinto alla sopravvivenza più acuto di quello che avevamo noi, alla loro età. Siamo in una società che premia chi arriva prima, chi vince. Hanno esempi davanti ai loro occhi che garantiscono il successo a chi si dimostra superiore, chi non viene “eliminato“, chi supera le lotte. Non accettano la mediocrità, puntano sull’eccellenza, e se cercano scorciatoie lo fanno più per mancanza di pazienza, non per rendersi la vita più facile. Hanno in mente l’idea che “bisogna darsi da fare“; semmai si dovesse far loro una critica è che comprendono benissimo lo sforzo del centometrista, ma meno quello del maratoneta. Per loro, i traguardi si ottengono in settimane, mesi… non concepiscono facilmente un traguardo raggiungibile in anni, ma non è una colpa, è più una caratteristica che è anche figlia di una situazione sociale ed economica dove non ci sono (più) sicurezze nel domani: tutto deve essere raggiunto subito. Un leone, nella Savana, mica si domanda cosa mangerà come banchetto tra due mesi: il suo unico pensiero è quello del pasto di oggi, perché solo se supera quello può pensare di poter arrivare a quello del giorno successivo.
Gli esami sono quindi, per questi giovani, barriere complicate da affrontare. Si accorgono che spesso non hanno gli anticorpi per affrontarli, che nessuno insegna loro a gestire i momenti di crisi, lo stress, la pesantezza delle notti senza dormire. Ed è forse il maggiore insegnamento che possono prendere, proprio da questi momenti: il lavoro, la vita professionale (anche quella “non” professionale) è uno stress continuo, una crisi dietro l’altra, e si passa più tempo a gestire le crisi che non a produrre. Eppure, le scuole ad orientamento professionale non insegnano come affrontare questi momenti, a trovare le priorità e a gestire le urgenze. Si, ci vorrebbe un corso per queste cose, cerco di aiutarli in questi giorni a trovare l’equilibrio a cui si aggiunge un altro problema di fondo, che è l’autostima (altro elemento di equilibrio che va trovato). I (le) migliori non si accorgono di essere capaci, trovano che quello che fanno è tutto insufficiente, impreciso, inadeguato: in un periodo in cui – specialmente gli “anziani”, settore al quale purtroppo ormai appartengo – si crede che i giovani siano troppo sicuri di sè e sfrontati, in realtà ci si accorge che sono fragili: sanno che devono lottare, e quindi sembrano combattivi, ma non sanno trovare la tranquillità del sentirsi a posto con se stessi e nei confronti degli altri. Quanto ci somigliano, anche se si mostrano così diversi… sanno trovare le maschere delle certezze, anche migliori di quelle che usiamo noi, ma non riescono a tradire se stessi.
Qualcuno dirà che è sempre stato così, che non è cambiato nulla, ma non credo che sia poi così vero. Il paragone che oggi i giovani hanno è con loro coetanei che diventano titolari di aziende planetarie, creativi che nascono sul web e diventano stelle mondiali, persone che partecipano a dei talent e vendono in poche settimane dal debutto più dischi dei cantautori più blasonati in tutta la carriera e riempiono gli stadi. Si accorgono – o quantomeno ne sono convinti – che hanno poco tempo, che se a 22 anni non sei “arrivato”, allora non arriverai mai da nessuna parte. Noi lo sappiamo che non è così, ma non possiamo modificare la loro visione. Possiamo solo cercare di aiutarli a trovare la loro strada. Io personalmente ho capito che avrei bisogno di una “classe” organizzata dal punto di vista architettonico in modo diverso, con le persone “attorno”, invece che “davanti”, che la strada giusta è quella di un’interazione multicanale (da “uno a tanti“, e “da tanti a uno“), e so che non sarà facile, perché le aule sono strutturate per avere una persona che parla e spiega, e gli altri che prendono appunti e “imparano“. Ho anche imparato che i giovani sono come San Tommaso: se non “toccano” con le loro mani e la loro testa, tutto quello che appare teorico non li appassiona. Quando smettono di essere fruitori di un insegnamento e iniziano a farne parte, allora attivano la loro mente, il loro modo di imparare. Ancora una volta, è questione di ritmo: imparare qualcosa che “in futuro mi servirà” non serve, bisogna fare, subito, immediatamente, e mentre si “fa” si apprende.
La notte prima degli esami è un momento di pensiero per gli studenti, ma deve esserlo anche per chi fa formazione: mi sento molto più “sotto esame” io, rispetto a loro. Avrò dato tutto quello che potevo? Avrò costruito qualcosa che ha fondamenta solide? Sono riuscito a trasmettere un approccio fatto di tecnica, ma anche di pensiero, di mente, di passione? I voti sono il modo per valutare gli studenti, ma quali sono i voti per i docenti? La capacità di uno studente si verifica subito, con un voto; quella di un professore lo si scopre dopo anni, e nel frattempo, se questa capacità viene meno, i danni diventano enormi.
Durante gli anni della professione, si passa dall’essere “studenti” ad essere “insegnanti”: con gli assistenti, con i collaboratori, con i figli che vogliono seguire le nostre impronte. Chi sta dal lato degli “esperti” deve essere capace di capire e trasferire concetti, esperienza e passione non usando una modalità standard (“il modo giusto”), ma cercando di capire qual è la strada migliore per chi deve apprendere. Cercando di capire che l’approccio dei giovani va compreso, per andare oltre, nel profondo, dove ci sono le loro paure e incertezze, e iniziando il percorso dando sicurezza, prima di tutto. Una generazione solida che si basa su certezze e stabilità sarà una generazione che sarà costruttiva, utile alla società, positiva nelle scelte e nelle azioni. Abbiamo una grande responsabilità, alla fine siamo tutti costantemente sia da una parte che dall’altra della cattedra della vita.