L’occhio del fotografo professionista: troppo sopravvalutato

L’occhio del fotografo professionista: troppo sopravvalutato

L’occhio del fotografo professionista, come guarda? Cosa riesce a “vedere”? Questa domanda, fatta così a bruciapelo, potrebbe portare ad una forma di mitologia: l’eroe fotografo, con l’occhio di falco, riesce a catturare dalla realtà cose che l’essere umano normale non riesce nemmeno a ipotizzare, ancor meno percepire.

In questo periodo, si cerca di recuperare valori che il mercato e le abitudini del “futuro” sembrano avere gettato nel fango: cose tipo l’odore della carta, il fascino dell’analogico e, appunto l’occhio del fotografo. Quest’ultimo è stato raccontato (dimostrato?)  in un recente video che pubblicizza/promuove una stampante. Non è nostra intenzione entrare in questo contesto nel merito del prodotto, e nemmeno (troppo) della strategia di comunicazione, che comunque appare funzionale al target e quindi probabilmente sarà portatrice di interesse e di risultati commerciali, proprio perché mette in luce un sentimento e l’esigenza di veder riconosciuto e palesato un valore professionale e artistico; quello che vogliamo enfatizzare è che il mestiere del fotografo – e rimane tale, malgrado o addirittura grazie all’evoluzione della cultura dell’uso della fotografia e dell’immagine – non è (solo) quello del vedere.

Andiamo per gradi, e vi raccontiamo cosa è stato realizzato in questo esperimento. Hanno messo davanti ad una bellissima stampa di una bellissima foto tre persone: una signora che non ha alcuna relazione con il mondo della fotografia, uno studente di fotografia e un fotografo professionista. Hanno poi installato un sistema di Eye-tracking per rilevare, in tempo reale, lo spostamento dello sguardo per cercare di analizzare come veniva “osservata” questa stampa da queste tre persone.

Il risultato ha mostrato come, evidentemente, la signora non esperta ha dedicato pochi movimenti di sguardo, e pur sollecitata a fare commenti sul quello che vedeva (quindi il tempo di osservazione si è protratto e il cervello era concentrato su quello che effettivamente stava guardando – la stampa/fotografia – e idealmente non su altro), la capacità di osservazione si è dimostrata abbastanza limitata. Un po’ meglio si è comportato il giovane studente di fotografia, che ha mostrato maggiore attenzione e capacità di osservazione, di una più profonda analisi in relazione ai dettagli e alle sfumature, e poi alla fine è stata la volta del fotografo professionista che ha dato una dimostrazione “pratica” di quello che effettivamente è capace di vedere un fotografo professionista. Qui sotto trovate il video dell’esperimento (che si capisce, crediamo, dopo questa spiegazione pur sommaria, anche se non comprendete bene l’inglese).

La morale di questa iniziativa porta ad una conclusione ufficiale: il fotografo professionista è in grado di vedere – super eroe in un mondo di babbani – molto di più e quindi ha bisogno e pretende strumenti che siano in grado di riconoscere, interpretare, riprodurre tutte queste sfumature. Ok, ci sta e funziona, complimenti a chi ha progettato questa strategia, anche se ci sono delle piccole incertezze che rendono un po’ meno scientifica questa dimostrazione: per esempio, che il fotografo in questione è Joel Grimes, un grande, davvero bravissimo fotografo pubblicitario che però è anche il fotografo che ha realizzato l’immagine stampata del test, quindi in qualche modo l’esperimento è viziato dal fatto che non guardiamo con lo stesso approccio una foto scattata da noi – di cui conosciamo ogni sfumatura e dettaglio – o da altri; in più, ma questo è solo un dettaglio che oggettivamente fa sorridere ma cambia poco nella pratica, Joel ha da tempo ammesso di essere daltonico, quindi la sua interpretazione del colore non è delle più affidabili).

Tutto questo non interessa: è una dimostrazione forse poco scientifica, ma che di sicuro dice la verità: è ovvio, ma è anche giusto ribadirlo (anche solo per farci sentire bene) che i fotografi professionisti riescono a vedere più dettagli di un essere umano normale, e ci mancherebbe: lo stesso vale per lo scrittore o per l’avvocato che sono abituati a scegliere e interpretare le parole con maggiore capacità, lo chef che riesce a capire al primo assaggio se qualcosa nella ricetta deve essere migliorato… è questione – appunto – di professionalità e anche di allenamento, non di super poteri. Il mestiere del fotografo, però, non è mai stato (anche se sembra e viene detto) quello di essere “bravo a guardare”, ma di essere “bravo a raccontare”. Il fotografo ha la missione non di assorbire, ma di trasferire. Essere acuti osservatori ovviamente è il mezzo fondamentale, ma non il fine. E questo fine purtroppo trova proprio in questo esperimento la sua maggiore delusione: quello che vede il fotografo non riesce ad arrivare al fruitore… già, la protagonista dell’esperimento non è il fotografo (al quale si cerca di vendere una stampante), ma la signora che potrebbe/dovrebbe essere così tanto colpita dal messaggio ricco di sfumature (e non dalle solite fotografie che fanno tutti) dal rimanere totalmente avvolta e catturata, similmente ad una manifestazione da sindrome di Stendhal.

Il mestiere del fotografo si è trasformato, forse è stato messo in disparte, non abbiamo statistiche ma è probabile che il 99% delle fotografie prodotte non siano scattate da un professionista. Ma questo non toglie il valore e l’importanza del suo ruolo… quello che importa è però capire che la risposta all’esistenza (sopravvivenza) di questa attività (professionale/artistica) è da ricercare non nella capacità di vedere (obbligatoria, ma quanto il conoscere la grammatica se si vuole scrivere un romanzo) ma nella capacità di comunicare/trasferire. Saremo/siamo bravi professionisti quando riusciremo/riusciamo a far vedere quello che vediamo ai destinatari delle nostre immagini.

Comments (7)
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  • Francesco Menzera
    Dic 6th, 2015
    Francesco Menzera says:

    Complimenti per l’articolo Luca, un interessante analisi di una forma di pubblicità che sicuramente riscuoterà successo, ma che pecca di essere forse troppo… Pubblicitaria fine a se stessa dopo questa tua valida ed acuta analisi.
    La tua ultima frase “Saremo/siamo bravi professionisti quando riusciremo/riusciamo a far vedere quello che vediamo ai destinatari delle nostre immagini.” poi è un karma che seguo da sempre e che consiglio di tenere a mente a chiunque voglia definirsi fotografo (amatore o professionista).
    Buona domenica e buona settimana anche a te!

  • Alessandro Bianchi
    Dic 6th, 2015
    Alessandro Bianchi says:

    Mi collego alla tua conclusione Luca e vado oltre.
    Chi sono i nostri destinatari?
    Mi viene da pensare all’utente finale che legge le riviste o al quale si rivolgono le pubblicità.
    Chi sono i “filtri” dei nostri destinatari? I photo editor e le agenzie pubblicitarie ad esempio, ma queste 2 categorie sono anche i nostri destinatari diretti ed hanno più o meno il nostro occhio.
    Foto editor, agenzie pubblicitarie e pubblico finale hanno lo stesso occhio? Non credo.
    Siamo noi fotografo che dobbiamo “abbassare” il livello del nostro occhio per adeguarsi al pubblico?
    Non è che forse stiamo facendo un buon lavoro perché stimoliamo il pubblico ad “innalzare” il livello del suo occhio?
    Insomma se fossimo musicisti dovremmo fare solo musica pop e tormentoni o continuare a fare la musica che ci va di fare cercando di istruire, anche attraverso la musica stessa, il pubblico che forse oggi non ci apprezza ma domani potrebbe ringraziarci?

    1. Luca Pianigiani Author
      Dic 6th, 2015
      Luca Pianigiani says:

      I nostri destinatari sono il nostro cliente. Un’azienda che aiutiamo a comunicare meglio, un’idea che vogliamo che entri nella testa delle persone comuni. “Alzare” o “abbassare” il livello non sono termini concreti e specialmente non hanno nulla a che fare con la qualità. Si possono fare messaggi che sono semplici e comprensibili, ma anche molto profondi, si può fare invece “cultura” che tende al contrario ad essere non comprensibile se non a pochi (e quindi ghettizza e prova a metterci al di sopra…). Dobbiamo capire chi siamo, cosa ci viene chiesto (se siamo professionisti, abbiamo una committenza, e questa ci deve indicare quale è l’obiettivo del nostro impegno).

      C’è, oggi più che in passato, un eccesso di contenuto, la scelta a volte non è quella di “fare di più”, semmai “di meno”, ma di colpire il pubblico. Il “target” (alto, basso, medio) dipende, ripeto, non da noi, ma dal committente.

      1. Alessandro Bianchi
        Dic 6th, 2015
        Alessandro Bianchi says:

        Alzare e abbassare non era inteso come la qualità o chissà quale sofisticata ricercatezza, intenso solo spingersi un po’ oltre, lasciare un margine di libera interpretazione a chi guarda la foto. Non essere così descrittivi da rischiare di essere didascalici, cosa che spesso secondo me l’osservatore finale si aspetta.
        Insomma essere si dei arratori ma anche stimlatori.
        Il mio primo commento Luca non era una critica al tuo articolo, peraltro molto interessante e che apre spunti e voglia di capire per migliorare.
        Era più che un commento un pensiero fatto a voce alta, scritto di getto, ancora in brutta copia, mentre lo pensavo, forse è per questo che sono stato frainteso.

        1. Luca Pianigiani Author
          Dic 6th, 2015
          Luca Pianigiani says:

          Avevo capito perfettamente il tuo commento, ed è una preoccupazione giusta e complessa da sviluppare. Ho provato ad orientare una visione chiara su quella che è la nostra missione: trasmettere messaggi, e quasi sempre sono messaggi che ci vengono richiesti, e non sono necessariamente “solo nostri”. Al tempo stesso, il nostro lavoro è proprio quello di trovare una strada che rafforza quello che spesso è un messaggio grezzo (compra questa cosa…) con un messaggio emotivo, coinvolgente, e in quest’epoca addirittura “condivisibile”.

          Grazie per il tuo commento ;-)

  • Pingback: L'occhio del fotografo. - Max Bedendi - Fotografo

  • Federico Meneghetti
    Dic 9th, 2015
    Federico Meneghetti says:

    Bell’articolo che mi fa riflettere parecchio su una questione che mi pongo da tempo; sarà mica che noi fotografi professionisti da anni diciamo che siamo incompresi, sottopagati e “gli altri” non ci meritano mentre la realtà è che quando ci commissionano un servizio noi lo interpretiamo come un lavoro da 1197 punti mentre il cliente voleva semplicemente un lavoro da 212 punti? Quindi è una semplice questione di incomprensione! Ma allora dobbiamo abituarci a produrre per 212 punti e accontentare comunque il cliente ma con un minor dispendio di energie oppure continuare con i nostri 1197 e capire che lo facciamo per la nostra personale soddisfazione e non pretendere maggior considerazione scocciando con i nostri continui mugugni? Ovviamente la mia è una provocazione ma veramente sempre di più mi auto-convinco che sto lavorando per me e non per il tale cliente e solo così posso ottenere risultati migliori….. poi dietro l’angolo e inaspettatamente si può trovare sempre chi sa leggere 1197, 2340 0 3110 punti e allora va bene così ………..

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