Interessante sfogliare le novità di questi giorni, nel campo della fotografia. Fa sorridere perché sembra che si stiano facendo un sacco di passi “in avanti”, quando poi – nella realtà dei fatti – sembra che sia più un percorso all’indietro. Invece che focalizzarci su un unico punto, proviamo a vederne diversi.
Photoshop per iPad, i commenti (negativi) fioccano
Qualche giorno fa è uscita la versione “full” di Photoshop per iPad, dopo vari mesi di annunci, versioni beta (siamo stati invitati a partecipare a questa fase), e i commenti sono stati, in gran parte, molto negativi. Da questi, vanno tolti i commenti demenziali di chi urla “all’alto costo”, solo perché finora hanno craccato su computer i software e su iPad non possono farlo; lo diciamo una volta per tutte: la versione per iPad non costa nulla in più del piano di utilizzo dello stesso software su computer, quindi se lo si compra “solo per iPad” in realtà lo si sta pagando per usarlo “anche” su computer; se si usa la Creative Cloud, che comprende “anche Photoshop” ancor di più la versione per iPad è gratis. Andando oltre quindi alla massa di persone che scrive sulla questione prezzi solo perché ne ha facoltà (tecnica: possono riempire lo spazio di un commento aperto, non certo facoltà culturale), ci sono poi commenti più coerenti che riguardano le attuali funzionalità, che sono molto distanti dal dichiarato, ovvero di avere una versione “Full”, analoga a quella desktop. Ora che è tra le mani di tutti, i responsabili del progetto ammettono che… in realtà questa è più una promessa per il futuro. Molte funzionalità sono dichiaratamente “non disponibili per questo device”, peccato che visto che per esempio lo stiamo usando sull’iPad più moderno e potente disponibile al momento, questo significa che “semplicemente non è disponibile la funzione su iPad”. Scott Belsky, Adobe’s Chief Product Officer per la Creative Cloud, dice che bisogna avere pazienza, che la versione “1.0” non può certo portare 30 anni di innovazione di un software complesso come Photoshop tutte nella prima versione, ma oggettivamente se il marketing promette e gli sviluppatori non mantengono quanto promesso la colpa non è dei critici.
Nella realtà dei fatti, ci sono aziende molto più piccole di Adobe che questo passo di conversione lo hanno fatto da anni, portando su iPad versioni quasi identiche a quelle desktop (Affinity con Photo, per esempio), oppure hanno creato prodotti / app così mature ed innovative direttamente su iPad da inventare e proporre un nuovo modo di lavorare, come nel caso di Procreate. Ma la cosa che ci preoccupa è che queste promesse che non si riescono a mantenere sembrano essere diventate l’abitudine di Adobe: è successo con Adobe XD, soluzione per disegnare per gli schermi (Web, app, digital) arrivato con grande ritardo rispetto ai competitors (Sketch) e che solo adesso, a distanza di anni, sta iniziando a diventare decorosa, oppure come Adobe Rush che ha promesso di rivoluzionare la produzione video rendendola facile, che ancora annaspa sebbene sia “fuori” da più di un anno.
Errori del passato, che ritornano: quelli di Adobe, ma anche quelli degli utenti, che hanno grande facilità a criticare ma poi sono i primi che hanno difficoltà a cambiare. Una storia del passato, una storia del presente, una prospettiva per il futuro, che fa ricordare altre aziende, leader indiscusse, che hanno perso il rapporto con i clienti e che non hanno proseguito di pari passo all’evoluzione del mercato (Quark, Kodak…). Passiamo oltre.
Getty Images: le sue foto diventano tutte Royalty Free
Una dichiarazione che di sicuro ha fatto palpitare il cuore a molti: Getty Images, una delle agenzia di immagini stock più importanti al mondo (forse la più importante), ha dichiarato che tutti gli archivi dell’azienda verranno convertiti in licenze Royalty Free, abbandonando la soluzione rights‑managed. Nel caso qualcuno non sia esperto di queste procedure, nella pratica non significa che di colpo le immagini di Getty siano diventate grazie alla modalità RF (Royalty Free, appunto) “gratis”, perché Free… non significa gratis, in questo caso, ma che se un utente compra un’immagine ne può poi fare l’uso che preferisce: può pubblicarla su un sito, sulla copertina di una rivista, in una campagna affissioni in tutto il mondo. Al contrario, le soluzioni RM (Rights Managed) hanno invece sempre messo sul piatto un costo da pagare in relazione all’utilizzo. In una mail inviata da Getty Images, è stato spiegato che:
“I modelli di licenza complicati creano attrito e i clienti richiedono semplicità: desiderano l’accesso più semplice e flessibile alle immagini pertinenti e autentiche”.
Tutto viene fatto quindi nell’ottica del cliente che “compra”, e a vantaggio di un aumento di fatturato potenziale per l’azienda; il terzo elemento di questa catena, il fotografo, non è stato interpellato, ma messo solo di fronte ad una scelta drastica: poter continuare a collaborare con Getty, ricaricando in modalità di licenza RF le immagini, oppure uscire da questo business. Già a partire dal prossimo gennaio 2020, il costo di un’immagine su questa piattaforma sarà – come già succede nella maggior parte dei casi – legata solo alla dimensione / numero di pixel del file che si scaricherà e non più all’uso.
Anche in questo caso, il passato e le discussioni degli ultimi 15 anni (almeno… in realtà anche di più) si dissolvono in un istante (il tempo di un click, o dell’invio di una email): ricordiamo tanti incontri con i fotografi che volevano maggiore tutela dei propri diritti d’autore, ricordiamo fiumi di parole che spiegavano che le fotografie devono essere vendute per il loro diritto di utilizzo e non come pomodori. Ora questa era è finita, non per un’opinione di un singolo o di qualche persona avventata, ma dal maggior venditore di immagini al mondo. Come potrà controbattere il “singolo” che vorrà ancora vedersi tutelata la cessione “parziale” delle immagini che realizzerà? Il mondo corre veloce, inesorabile. Può non piacerci, ma in questo caso (come in molti altri) le opinioni sono irrilevanti rispetto ai fatti, e conviene – invece che rimanere in un angolo a fare polemica, magari circondati da colleghi e amici che vivono la stessa brutta doccia fredda – trovare nuovi meccanismi per far fruttare il proprio lavoro: non bisogna essere partner di Getty per subire questa scelta: sarà inevitabilmente un’onda che riguarderà tutti (o quasi).
Nel business fotografico, tutto scende… a parte la pellicola
Altro pezzo di storia che torna. In un panorama che mostra solo dati negativi (alcuni davvero preoccupanti), una voce nel business fotografico senza un poderoso segno positivo: un +21% nelle vendite nel Q3 (terzo periodo finanziario dell’anno) nelle vendite di pellicole per Kodak. La notizia è sbandierata con emozione dal sito EMULSIVE, che si occupa e cavalca proprio del fenomeno “vintage” della pellicola fotografica, e come quasi sempre vengono usati i dati un po’ in funzione del “come fa comodo”.
Nella realtà dei fatti, questo valore, pur oggettivamente vero e sicuramente anche sintomatico di un fenomeno che da diversi anni trova consensi, specialmente tra le generazioni più giovani (quelle che non hanno mai scattato su pellicola), è “gonfiato” non solo dalle vendite di pellicole 35 mm e 120 destinata ai fotografi che scattano in giro per il mondo, ma anche da una forte presenza di pellicola per il settore cinematografico (ma che sempre pellicola è, quindi è giusto inserirla in questa area: è solo per far comprendere che non si tratta solo di un fenomeno di crescita di consumo puramente “fotografico”).
Chiaro che i numeri delle vendite delle pellicole sono minuscoli, quindi le crescite in percentuale sono facili da ottenere, e che questo non riesce certo a migliorare le sorti di Kodak (che infatti mostra nello stesso quadrimestre ulteriori perdite) e nemmeno di altre aziende. Siamo in un momento di grande evoluzione/cambiamento, anche se meno “percepita” dalle persone, dalle aziende e ovviamente (lo diciamo con tristezza) dai media: l’analogico, che pur è tornato in luce positiva, come in questo caso specifico, sta scontrandosi con un’evoluzione che lascerà sempre meno spazio a prodotti e soluzioni che, inevitabilmente, sono costose. Molte riviste cartacee anche di grande qualità che si sono fatte apprezzare negli ultimi anni hanno chiuso, giganti del mondo della stampa stanno subendo contrazioni di mercato che non si possono non notare, e la notizia di una possibile fusione di due colossi “stampa-centrici” come Xerox e HP (ne parla qui il New York Times) fa riflettere anche in questo caso tra passato che vuole tornare e futuro che sembra non concedere spazi (al massimo nicchie).
Il passato ritorna, e fa riflettere…
Finiamo con una nota, quasi personale. Nel preparare un convegno, che si è tenuto a Riccione la scorsa settimana, organizzato da AlbumEpoca (del gruppo PhotoSi) abbiamo spulciato in rete, e abbiamo trovato (e poi comprato, usato) un numero di una rivista che abbiamo progettato e realizzato agli inizi degli anni ‘90: Professional Imaging, per conto del Gruppo Editoriale Foto-Notiziario. Il numero in questione era dell’ottobre del 1993, circa un anno prima che il sottoscritto uscisse da questa casa editrice per fondare Jump, rivista che è stata la naturale evoluzione di questo progetto di cui vi sto parlando.
Stiamo parlando di 26 anni fa…e si scriveva (il sottoscritto scriveva) a commento della copertina:
L’idea era quella di parlare di telematica: in questo periodo l’argomento è molto dibattuto negli ambiti informatici, linee ad alta velocità ISDN, personal computer che si integrano al telefono trasformandosi in perfette segreterie telefoniche, in cornette del telefono da usare senza mani: i nuovi Apple Centris 660 AV e Quadra 840AV dispongono di microfono e casse incorporate nel monitor e questo ci consente di rispondere al telefono continuando a lavorare, ascoltando a viva voce dalle casse e parlando tramite il microfono; la Indy della Silicon Graphics risponde addirittura di una microtelecamera per trasmettere la nostra immagine sul monitor del computer del nostro interlocutore telefonico.
Alla luce di oggi, tutto questo fa sorridere, ma al tempo stesso fa riflettere: oggi siamo immersi dalla tecnologia, eppure questo fenomeno – sistemi che interagiscono con noi con la voce, webcam e schermi di realtà aumentata, interazioni a distanza, reti che vanno alla velocità della luce, hanno fatto un percorso lungo per arrivare a noi, ad essere considerate “normalità”. All’epoca, quando il sottoscritto scriveva queste cose, le persone sgranavano gli occhi… eppure sono successe, e oggi non potremmo immaginare un mondo che non sia governato da tutto questo che è per noi “normale”.
La risposta per riuscire a vivere il presente è guardare oltre, essere aperti al futuro, senza per questo dimenticare il passato che torna, in modo fluido, costante, ma anche provocatorio. Il passato torna dandoci l’illusione che tutto possa tornare indietro, che i valori che abbiamo costruito (o che sono stati costruiti) nel passato abbiano ancora un significato, e non è così: il valore c’è solo se si riesce a distillare, a interpretare in chiave moderna e se non si cade nella polemica sul futuro e sulle nuove generazioni. Una frase per concludere parla di un allarme nei confronti delle nuove generazioni (quante volte siamo tentati, da “vecchi” – a volte “vecchi troppo giovani” – di dichiarare con sdegno):
“La nostra gioventù ama il lusso,
è maleducata, si burla dell’autorità e non ha alcun rispetto degli anziani.
I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano
quando un vecchio entra in una stanza,
rispondono male ai genitori, in una parola: sono cattivi”
Quanto ritroviamo nel presente, guardando i giovani? Tanto, peccato che questa frase non l’ha scritta un genitore guardando i figli appassionati di musica Trap… ma Socrate, nel 470 a.C. Buon futuro, a tutti: sarà migliore di quello che crediamo ;-)