La discussione sul valore dell’informazione negli ultimi mesi si è intensificata a causa di due fatti, vicini e opposti. Il primo è stato il tanto vociferato e poi applicato “paywall” del New York Times, primo vero esperimento ad altissimo livello di portare l’informazione del web al pagamento . Dal 28 marzo, il meccanismo è quello che dopo 20 articoli letti al mese (ma se si arriva attraverso i social network alle notizie questo numero è superiore), appare un simpatico messaggio che, con tono carino ed educato, ti chiede di mettere mano al portafoglio, il costo varia a seconda del tipo di device si desidera usare: solo computer e smartphone, computer e tablet, oppure “tutto”. Il secondo “fatto”, vicino e opposto, è stata l’acquisizione, ad una cifra vicina ai 300 milioni di dollari, dell’Huffington Post da parte di AOL. Per chi non lo sapesse, si tratta della più importante bandiera dell’editoria “free”; la creatrice di questo che era un blog nel 2005, Arianna Huffington, si è sempre schierata contro le soluzioni (anzi, addirittura ha spesso preso in giro queste soluzioni) che cercavano il ritorno economico tramite l’abbonamento pagante dei lettori.
Abbiamo l’impressione che questi “fatti” stiano passando sopra le teste di molte persone (come, per esempio, molti nostri lettori), che pensano che questo sia brusio che non coinvolgerà il loro lavoro e la loro vita… alla fine, si tratta di lotte che si stanno consumando negli USA, dove il mercato è diverso, e quindi ininfluente da quello che succede dalle nostre parti. Il problema è che, da questa parte del mondo (e da tutte le parti del Mondo) i maggiori interessati sono coloro che vivono da vicino queste rivoluzioni, ovvero gli editori, che osservano con grande curiosità gli andamenti dei numeri e le reazioni del mercato, per poi decidere se e come muoversi in questo ambito. Molti diranno che, comunque, poco cambierà: già gli editori investono pochissimo nella monetizzazione della fotografia (i prezzi sono stati così “limati” negli anni che abbiamo rasentato il grottesco), non saranno certo questi cambiamenti a stravolgere qualcosa che è già stato stravolto.
Per questo vi segnaliamo un articolo pubblicato un paio di giorni fa su uno dei blog dedicati al mondo della fotografia professionale più meritevole di attenzione a nostro giudizio. Si parlava di questo e di come il mondo dell’editoria – sempre più legata ad un’informazione che non riesce sul web a mantenere la propria protezione e che quindi viene copiata e linkata ovunque – tende ad investire sempre meno nei contenuti, perché, alla fine, il prodotto che “vende” non è il contenuto (testo e immagini sono nella stessa situazione), ma una serie di elementi collaterali, come per esempio il volume di utenti. Il fatto, segnalato sul post indicato, è che i lettori si attendono tendenzialmente un prodotto proporzionale a quello che spendono; dal momento in cui non spendono (visto che l’informazione è gratuita), alla fine accettano senza criticare e senza fare polemica. La soluzione, secondo questo post, è sperare che si possa creare rapidamente una cultura di contenuti a pagamento, anche sul web, in modo da poter avere utenti che “possano pretendere” maggiore qualità, nei contenuti sia delle informazioni scritte che quelle visuali.
L’impressione – forse siamo meno ottimisti, forse meno semplicistici – è che questo non succederà. Se guardiamo all’informazione che viene “pagata”, ci accorgiamo che non è certo esente da una bassa qualità, anzi. A volte ci domandiamo come sia possibile tanta bassa qualità in un prodotto che viene venduto (a volte anche ad alto costo). Perché l’informazione a pagamento sul web dovrebbe avere delle caratteristiche qualitative superiori a quelle dell’informazione a pagamento sulla carta? Se domani tutti i quotidiani italiani decidessero insieme (perché verrà fatto con una logica di “cartello”, quando si deciderà) di creare un paywall su tutti i siti di loro gestione, tutti si potrebbero naturalmente chiedere: “cosa farà il pubblico? Pagherà o andrà a cercare altre soluzioni?” (per esempio, rivolgendosi a soluzioni che riescono a superare questi blocchi, come per esempio – nel caso del New York Times questo account di Twitter creato ad hoc per bypassare il blocco). Noi, invece, ci domandiamo, anche a seguito di questo post: “cosa faranno gli editori?“. Si faranno la battaglia sulla qualità? Difficile da credere. Ci riempiranno, più probabilmente, di articoli che ci diranno – a parole – che la qualità per essere mantenuta alta deve essere pagata. E se non lo fosse, ci renderanno forse i nostri soldi? Se troveremo errori e li segnaleremo, ci daranno come premio abbonamenti gratuiti? Se verranno usate foto scelte male, impaginate peggio, che succederà? Saranno i soldi dei lettori che ci daranno – finalmente – prodotti editoriali di qualità, quando non ci sono riusciti i 180 milioni di euro di contributi statali garantiti anche per questo 2011? Da segnalare che questi soldi non vengono dati per quella che viene definita “la pluralità delle opinioni“, ma per sovvenzionare aziende che dovrebbero produrre utili con i loro prodotti e se non hanno questa capacità non si capisce perché debbano avere il diritto di proseguire creando debiti… un fotografo se crea debiti chiude bottega e va a vendere frutta al mercato… scusate, forse sono polemico, ma proprio non capisco!
No, siamo convinti che l’informazione mainstream, quella governata dai “grandi” non migliorerà quando verrà adottato il paywall (perché, potete esserne sicuri, verrà eretto il “muro” del pagamento anche da noi). Genererà forse soldi in più che non saranno certamente rigirati sul miglioramento della qualità del prodotto, ma incamerati insieme agli altri tanti milioni di euro provenienti dalla pubblicità e dalle sovvenzioni. Cosa dobbiamo sperare, quindi, per una crescita della qualità dell’informazione e un riconoscimento di una qualità (anche economica) del nostro lavoro? Noi siamo sicuri che sta nascendo una nuova categoria di editori (valutate davvero che l’Huffington Post in 6 anni è passata dall’essere “nulla” ad essere una realtà pagata 300 milioni di dollari). Una nuova categoria che ha capito, oppure sta comprendendo, che oggi il digitale in tutte le sue vesti (siti, blog, app) può far fare in un solo colpo tanti passi in avanti. In questi mesi, visto che ci stanno riconoscendo una esperienza importante nella progettazione di nuove riviste innovative (JPM Magazine, con il suo successo incredibile sull’Appstore, ha creato molta attenzione e ci ha dato credibilità), riceviamo ogni giorno richieste di consulenza e di richiesta di collaborazione. Stiamo studiando nuove strade e nuove idee, e percepiamo quanta voglia c’è di fare qualcosa di veramente innovativo. C’è linfa nuova, e non solo in Italia (l’altro giorno siamo stati su Skype con una casa editrice brasiliana, e il tono della discussione era di altissimo livello, le intenzioni di entrare sul mercato con prodotti nuovi anche dall’altra parte del mondo). C’è bisogno di creare una coscienza collettiva: il mondo cambia, sta cambiando. Non spariranno certamente i grandi editori, anche se qualcuno rischia, ma sarà come il concetto della “coda lunga”: metà del fatturato di Amazon è fatto da contenuti (libri) che sono creati da piccoli autori. Oggi proporre idee che possono sviluppare nuovi percorsi di comunicazione, nuove riviste che possono creare nuovi business, esplorando strade che i grandi non possono, non vogliono e non sono in grado di percorrere, è una piattaforma sulla quale investire: un investimento in cui tutti devono credere, anche nella produzione di immagini: smettiamo di cercare di bussare sempre alle stesse porte, e di fare ricerca (creativa, tecnica e promozionale) per essere in prima fila dove il business esploderà. E di cui è bene ed è importante parlare. Visto che su Jumper dobbiamo parlare di tanti aspetti del mondo della fotografia professionale, e visto che di questi argomenti non possiamo riempire qui chilometri di testi, abbiamo accettato molto volentieri l’invito della neonata testata online “ilColophon” e collaboreremo con una rubrica sulle tendenze, sulle novità e sulle tematiche più ad ampio respiro del mercato delle riviste digitali. Iniziate quindi a seguirla da subito: è gratuita (ma fatta con qualità… come si farà a spiegare questa cosa, se gli editori dicono che senza pagare la qualità non può essere garantita? A pensarci… anche Jumper è gratuito come spazio… e qualcosa di buono lo pubblichiamo, ogni tanto) e ci scrivono persone che hanno argomenti interessanti da trattare. E siamo solo all’inizio, il bello è che crescerà.