Se c’è una evidenza, mentre si completa un “primo anno” di cambiamento causato dalla pandemia che ha stravolto tutto e tutti, è che serve una visione diversa, che mette tutti nella condizione di pensare oltre a quello che abbiamo fatto finora. Tecnicamente, in ambito business, si parla di tecnica Pivot. Il pivot è quella forma o figura (anche nello sport) che è capace di cambiare il gioco. Nella pratica, significa cambiare radicalmente la direzione di un’azienda quando ci si rende conto che i prodotti o servizi attuali non soddisfano le esigenze del mercato. L’obiettivo principale di una visione pivot è aiutare un’azienda a migliorare le entrate o sopravvivere nel mercato, ma il modo in cui ruoti la tua attività può fare la differenza.
Esempi sono evidenti, davanti a noi: cosa fa una azienda come Uber, oppure Lyft (forse meno conosciuta da queste parti, ma analoga nella logica ad Uber) in un momento in cui le persone non si muovono più da casa, o si muovono molto meno, visto che come business centrale c’è l’idea di “far muovere le persone”? Lo hanno fatto, spostando l’offerta dallo spostamento delle persone allo spostamento di cose (home delivering) oppure proponendo un servizio di noleggio di auto e non di conducenti. Oppure Campari e Ramazzotti (l’azienda di liquori, non il cantante) che hanno spostato la produzione di alcune sedi da bottiglie di “aperitivo” a “gel alcolico disinfettante”, oppure Fiat (FCA) e Ferrari che hanno spostato una parte delle attenzioni della produzione dalle auto ai ventilatori polmonari. Ma gli esempi sono tantissimi.
I fotografi, i creativi che hanno visto ridurre il proprio business per i cambiamenti, cosa possono fare per cambiare? In questi mesi, abbiamo mostrato e proposto varie idee, e ce ne sono tante, ma deve esserci prima di tutto la percezione di questa esigenza di trovare nuove sfaccettature, purtroppo il maggiore danno arriva dalla voglia di “non cambiare”. Cambia tutto, cambierà tutto, sta cambiando anche davanti ai nostri occhi, ieri hanno vinto persino i Måneskin a Sanremo, impossibile crederci? Quattro ragazzi che sono tutto l’opposto di quello che potrebbe rappresentare i cliché dello spettacolo più “Italian-tradizionale” che esista, eppure hanno vinto sui favoriti, su quelli che erano i “codici”.
Un aiuto, per trovare una soluzione, è – lo abbiamo detto già più di una volta – di pensare al mestiere dei creativi come a dei “content creators”, quelli di cui tutti parlano. Quando ero giovane, un sacco di persone “volevano diventare fotografi” (me compreso), poi questo desiderio è sparito quasi del tutto: ancora qualcuno lo vuole fare, ma pensa al mestiere del fotografo stile BlowUp, film del 1966…. E che ovviamente usa la pellicola (l’analoggggicoooo) perché solo così si è fotografi veri, e un sacco di docenti alimentano questa visione. Ora l’area del desiderio è quella di essere dei “content creators”, persone che attraverso il fare contenuti trovano la loro strada e il loro futuro. Bene, se pensate che l’unica strada per ottenere questo sia il mondo dei “social”, che come ben si sa richiedono numeri enormi per poter monetizzare i contenuti erogati gratuitamente, forse potreste riflettere su quelle che sono le piattaforme che lavorano sulla fidelizzazione di un pubblico limitato ma fedele, tra queste segnaliamo Patreon, la conoscete? Uno spazio dove i creatori di contenuti offrono ai propri “fans” prodotti esclusivi, in cambio di anche piccoli abbonamenti mensili. Nella pagina introduttiva della piattaforma svetta in questo periodo la frase:
Il sistema non è a favore della creatività: funziona sulla base di algoritmi. E non sulle idee. Sulla quantità e non sulla qualità. Su cosa vende. E non su cosa è buono. Su tutto il resto, meno che sulla persona che ha avuto l’idea. È così che va il mondo? Ma neanche per sogno! Per noi, la creatività è tutto.
Perché si insiste per cercare le attenzioni di un pubblico che dimostra nei fatti di non essere interessato, di un mercato e di “clienti” che non vogliono comprare – se non a prezzi stracciati – i nostri servizi, quando nel mondo ci possono essere persone che apprezzano il nostro lavoro? Dobbiamo spostare l’asse dal “creare contenuti per qualcuno che ce li chiede” a “contenuti che le persone possono desiderare”, e comprendiamo che questo è un cambiamento davvero molto difficile, ancor più l’analisi di quello che si produce: chi è creativo tende a fare quello che ama fare, e a cercare di trasformare questo gusto in prodotto da vendere, senza capire che questo approccio “artistico” non sempre (quasi mai) funziona. Serve personalità, originalità, ma anche una visione di quello che il mercato chiede, e che è (sarebbe) disposto a pagare. Per aiutarvi in questo percorso, vi consigliamo di vedere il video del CEO di Patreon, Jack Conte, che vi riportiamo qui sotto, dove si parla dei 5 trend per il 2021 per i creatori di contenuto. Se l’inglese non è il vostro forte, potete mettere i sottotitoli e la traduzione automatica in italiano, non sarà perfetta ma vi aiuta a capire che dietro un progetto imprenditoriale di vendita di contenuti ci sono analisi e visione non solo creativa. Speriamo possa esservi di ispirazione ;-)
Foto in apertura: Vinícius Müller on Unsplash