Era un amico, Daniele Broia. Di quelli che si ricordano con piacere, e – ora – con tristezza. E’ mancato qualche settimana fa, ma l’ho scoperto (me lo hanno fatto scoprire) solo pochi giorni fa. E, se ne parlo in questo momento, è per trasmettere qualcosa che mi ha lasciato questo amico; trasmetterlo a chi legge questo spazio, e specialmente a chi lo vuole capire.
Daniele era un fotografo, di quelli “alla vecchia maniera”, ma con questo non voglio dire che fosse vecchio, anzi (ok, aveva 69 anni, ma era un ragazzino, rispetto ai giovani vecchi che ci capitano spesso davanti agli occhi), intendo vecchio perché era uno di quelli che di fotografia hanno vissuto, amandola, esplorandola, studiandola. Per il suo studio, creato a Parma con l’amico e socio Floriano Finzi, aveva trovato un nome che rappresentava bene questo approccio: Fotoscientifica. Con una certa incongruenza, sembra qualcosa di molto “tecnico”, esterno alla “creatività”, ma di creatività dentro Fotoscientifica ce ne è stata sempre stata molta; diversa, innovativa, rivoluzionaria, ma decisamente creativa, ed è anche questo l’insegnamento che vorrei trasferire (che ho imparato da lui): la ricerca, anche quella scientifica, richiede molta creatività.
Ho conosciuto Daniele tanti, tanti anni fa. Mi era arrivata in redazione una brochure che lui aveva realizzato per autopromozione; io ero, all’epoca, redattore in una Casa Editrice – Fotonotiziario – e mi occupavo della testata dedicata alla fotografia professionale, che stava all’epoca diventando una vera e propria piattaforma di sviluppo degli argomenti della fotografia digitale, ma all’epoca non c’era ancora molto, di digitale, nel mondo della fotografia. Questa brochure mostrava delle immagini fotografate con luce pennellata, con un sistema di illuminazione chiamato Hosemaster ed inventato da un personaggio chiamato Aaron Jones (se qualcuno vuole saperne o ricordare di più, ecco un link). Il lato interessante era che lo stesso still life (delle boccette di profumo rosse, se non sbaglio) era riproposto in diverse pagine, mostrando le molteplici variabili possibili usando solo la luce: pura emozione, stampata tra l’altro magistralmente. Lo avevo contattato, intervistato e raccontato questo progetto, e l’amicizia si è poi sviluppata nel tempo.
Da buon emiliano (anzi… parmense: in quelle zone ci tengono a marcare le differenze anche tra città distanti poche decine di chilometri), era un uomo simpatico, affabile, e in più sapeva farsi volere bene. Sono stato parecchie volte nel suo grande studio – con la facciata “illustrata” con un mood Andy Warhol di una sagoma di una Nikon F Photomic. Era uno spazio dove si fotografava dal catalogo alle campagne pubblicitarie, al food (siamo nella Food Valley non a caso, e il Prosciutto – con la “P” maiuscola e con la ssss lunga, come vuole l’accento – è crudo e di casa). C’erano, in studio, immense celle frigorifere, dove i prosciutti che erano stati fotografati trovavano il loro posto definitivo, perché mica che un prosciutto, dopo essere stato fotografato poteva tornare nella filiera della vendita… (lo dichiarava come se fosse un fatto di sicurezza nazionale, ma sembrava tanto una scusa) e si trasformava quindi in “momento di intermezzo gastronomico” per gli amici e gli ospiti dello studio ;-) E poi c’era lo spazio per un’interminabile raccolta di pentole, piatti, posate, bicchieri: da perdersi, da non volersi ritrovare.
Daniele amava la cucina: il ragù era una delle sue specialità, ma non potevate chiedergli di farne solo un assaggino, per lui il ragù si faceva per “almeno” venti persone, altrimenti era un’eresia. E quando non cucinava personalmente, il suo ristorante preferito – in una zona d’Italia dove il peggiore posto è comunque un posto dove si mangia bene – si chiamava “Il tramezzino”, del fidato Ugo. Era un posto dove le idee, la creatività, la convivialità e anche il business trovavano posto a tavola. Nel periodo d’oro, i creativi delle agenzie milanesi, anche quelli con la puzza sotto il naso, preferivano andare “fuori porta” per scattare le fotografie, proprio per poter vivere queste esperienze culinarie raffinate.
La ricerca di Daniele Broia nel settore dei beni culturali
Come ho già detto, vi parlo di questo non per ricordare, ma per trasmettere. In questo scenario, tra il piacere della vita e la voglia di trovare sensazioni e ritmi più “umani”, trovava spazio la ricerca: per esempio per le tecniche di riproduzione e di restauro virtuale di opere e di documenti. Daniele è stato “folgorato” da questo settore, e ha messo a disposizione intelligenza, competenza, studio, e – ancora una volta lo diciamo – creatività che hanno sconvolto il settore dei beni culturali, con soluzioni che hanno riportato alla luce (è proprio il caso di dirlo) dettagli, elementi storici, scritte, date dal mondo dell’invisibile. Usando sistemi di illuminazione e luci speciali, ripresa digitale ad elevatissima risoluzione, inventando sistemi per automatizzare e potenziare ogni singolo aspetto di questo processo di riproduzione, Daniele e la Fotoscientifica sono entrati dalla porta principale in molti musei, biblioteche, Archivi di Stato, Istituti. A volte addirittura creando tormenti: si sa che in questi settori l’innovazione non è sempre ben vista. Ha anche studiato e sviluppato sistemi per consentire la visualizzazione – su DVD e online – di porzioni di immagini enormi, rendendole fruibili anche a distanza, anche alle persone che non erano i “depositari” dei beni, ma a tutti coloro che desideravano studiarli ed analizzarli. Una democrazia di accesso molto apprezzabile, che mi ha portato a stimarlo, ancor di più (amo la democrazia dell’accesso).
Negli ultimi anni, anche se le nostre vite si sono un po’ allontanate, ho seguito le sue evoluzioni verso l’immagine di sintesi (3D), il video (qui l’ho seguito di più e lui è venuto a trovarci in diversi eventi che abbiamo organizzato sull’evoluzione del video con le reflex), sullo sviluppo del mercato dell’immagine stock. Negli ultimi anni il suo viso era meno sereno, chi voleva vedere se ne accorgeva. Un giorno in macchina mi ha parlato di qualche problema fisico, e si capiva che era più grave di quello che diceva.
Qualche mese fa lo aspettavo ad un evento a Milano, aveva confermato ben prima la sua presenza. Non è venuto, non l’ho sentito… le corse quotidiane non hanno permesso di fare quella telefonata o scritto quella mail che avrebbe fatto scoprire che il malessere era cresciuto. Poi il silenzio, vigliacco.
Questo settore ha bisogno di passione e impegno, quello che ha contraddistinto il lavoro di Daniele negli anni. Un mix di visione, creatività e imprenditorialità. Oggi diamo troppo per scontate le cose, appena si raggiunge un risultato si vuole una medaglia, si cercano punti di arrivo e non ponti per partire. Il Daniele Broia, fotografo, che ho avuto il piacere di conoscere, non si è mai accontentato, non si è mai fermato. La sua esplorazione è andata avanti, continuamente, pur lasciando spazio all’umanità, al vivere il piacere della vita. Quanto abbiamo da imparare, ora senza la sua inconscia guida. Non posso dire di avere conosciuto tutte le sfaccettature della sua personalità, ma quelle che ho conosciuto mi hanno insegnato molto, e mi danno la forza per parlarne, qui con voi. Perché ogni perdita deve essere occasione per ricordarsi che non si può perdere il valore.
marco says:
Parole bellissime che mi hanno trasmesso tutto il bene che provava per questa persona speciale.marco
Fiorenzo says:
Sono veramente addolorato per questa triste notizia, ricordo benissimo quegli articoli su fotoscientifica delle boccette rosse e del restauro dei vecchi manoscritti. Grande Daniele addio.
Fabio says:
Broia… “utilizzo il cognome perché lo ho conosciuto a 25 anni quando ero un giovane grafico” ha rafforzato e confermato il mio amore per la fotografia pubblicitaria. Oggi grazie a lui ed a pochi altri sono felicissimo della scelta che mi hanno incoraggiato a fare. Grazie Daniele.
Vittore says:
Non lo conoscevo grazie Marco per il tuo/suo ricordo.
laura says:
Grazie Luca di questo bellissimo ricordo. Ho conosciuto Daniele Broia e ho ammirato la sua umanitá e la sua professionalitá.
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