L’innovazione ci porta a guardare sempre avanti, ed è una bella prospettiva, quasi eroica, quasi da leggenda: l’eroe dice: non mi guardo mai alle spalle, vado avanti! Bellissimo, ma questo porta spesso a fare un grande sforzo che porta, addirittura, ad “inventare” quello che è stato già inventato tanti anni fa, e quindi non si tratta più di “andare avanti”, ma di fare un percorso all’indietro.
Il passato non deve essere una prigione (per non andare avanti, per bloccarci), e nemmeno una scusa per rimanere ancorati ad una “comfort zone”, ma non deve essere nemmeno snobbato e, peggio ancora, sconosciuto, si rischia davvero di rimanere affascinati dal “nuovo” senza capire che la genialità di chi – con una infinità di mezzi inferiori e precedenti – ci ha mostrato una strada che oggi è stata solo reinterpretata.
In questi mesi si parla, per esempio, moltissimo della nuova tecnica di riconoscimento facciale della nuova generazione di iPhone… e la meraviglia entusiasma tutti (oltre a quelli che per qualche motivo amano essere “alternativi”, oppure quelli che per “religione tecnologica” si sentono di difendere altri brand). Tutto il fanatismo di questo genere è contrario al nostro pensiero, quindi lo tralasciamo senza ulteriori commenti, quello che vogliamo mettere in enfasi è che questa tecnologia è la versione più raffinata di quello che da anni conosciamo e vediamo sulla tecnologia di ripresa delle fotocamere (che identificano un viso e quindi ottimizzano la ripresa in funzione di questo tipo di soggetto), e del riconoscimento facciale che capisce tra tante foto quali hanno ritratto Mario, Francesca, la Nonna, eccetera… senza che glielo indichiamo noi con un tag, e di recente questa “intelligenza” viene allargata, su Google Foto, anche ai nostri animali: non solo riconosce un gatto da un cane, ma la nostra gatta Luna tra tanti altri gatti.
Ma non saremmo qui a parlare di questa cosa che è moderatamente ovvia. La grande meraviglia è che il riconoscimento facciale ha una storia molto più lunga, e come spesso capita è legata ad applicazioni che non c’entrano con l’intrattenimento, ma la ricerca scientifica, legale e addirittura militare (diciamolo: l’immagine digitale arriva tutta da questa area e non è un caso che le prime aziende che l’hanno sviluppata avevano legami molto forti con i governi più impegnati nella supremazia militare). La questione del riconoscimento facciale ha quindi una storia che va molto indietro, e dal punto di vista fotografico ha il nome di un francese, Alphonse Bertillon, figlio e nipote di prestigiosi studiosi che nel 1882 fu nominato capofotografo alla questura di Parigi. In questa attività, inventò l’antropometro, un sistema di riconoscimento biometrico che di fatto è un sistema che ha la funzionalità e lo scopo di identificare una persona sulla base di una o più caratteristiche biologiche precedentemente acquisite all’interno di un database. E’ facile pensare a questa tecnologia abbinata ad un sistema informatico (computer) ma all’epoca Bertillon usò un approccio informatico… ma usando delle schede “analogiche” che raccoglievano e schematizzavano sotto forma di fotografie, migliaia di fotografie. Per chiarire la situazione, leggiamo su Wikipedia:
annota tutte le caratteristiche fisiche dei detenuti, fonda così il primo laboratorio di polizia scientifica e d’identificazione dei criminali, inventa l’antropologia giudiziaria chiamata appunto Sistema Bertillon o Bertillonage un sistema di identificazione rapidamente adottato in tutta l’Europa continentale e in seguito anche a Londra. Il suo metodo consisteva nella rilevazione delle misure fisiche dei detenuti in quanto l’ossatura umana non cambia più dopo il ventesimo anno d’età ed ogni scheletro è diverso per ciascun individuo. Il nome del detenuto, le descrizioni e le misure fisiche del corpo di un individuo (cranio, lunghezza degli arti, lunghezza delle dita e dei piedi, lunghezza del naso, caratteristiche dell’orecchio) e una foto segnaletica, frontale e laterale dell’individuo a mezzo busto, venivano annotate su una scheda detta “Osservazioni Antropometriche”.
Questo sistema, non perfetto nella sua attuazione (sembra che le misurazioni prese direttamente da Bertillon davano risultati eccellenti, ma in mano ad altri operatori – pur formati dallo stesso inventore – non portavano alla stessa precisione), via via è stato sostituito dalla rilevazione delle impronte digitali e poi ovviamente da sistemi sempre più evoluti. Ma di sicuro è stato, per l’epoca e per i mezzi esistenti, rivoluzionario.
In sintesi, questo viaggio ci porta quindi a rivalutare la conoscenza che avevamo, come esseri umani, ben più di un secolo fa. La precisione del sistema Face ID di Apple si ricollega a questi studi, a queste intuizioni, semplicemente lo fa molto più velocemente e con maggiore precisione, ma ci mancherebbe altro. Il futuro non si scrive da zero, è una continua e costante evoluzione, e ci impone quindi di studiare guardando sia in avanti che all’indietro. E – ancor più affascinante almeno per noi che ce ne occupiamo da sempre – è capire che la fotografia è una tecnica/scienza che è davvero il ponte tra passato e futuro: unisce il passato al futuro dei computer, che sempre più sono alla ricerca di intelligenza visiva, e non è un caso che la scommessa sul futuro informatico si basi sulla potenza di calcolo grafica/visuale (GPU) più che sulla pura (e sempre importante) potenza pura di calcolo dei dati (CPU). Molte delle tecnologie che sono state sviluppate in fotografia (non solo l’esempio citato, ma anche la fotogrammetria, per fare un altro esempio…). A conferma che l’evoluzione va vista dalla giusta prospettiva, concludiamo con una citazione di un personaggio abbastanza “vintage”, Eraclito (vissuto mezzo millennio prima di Cristo), che diceva:
“E’ lo scorrere dell’acqua ciò che identifica il fiume, non il suo tracciato”
Seguiamo questo scorrere della vita, con convinzione, con entusiasmo, e imparando a guardare sia in avanti che indietro… ci sarà molto utile.