In passato – prima dell’era digitale – la percezione del costo di produzione era un elemento che allontanava (rendeva impossibili) moltissimi sogni e progetti, anche quelli più ambiziosi. Quanti hanno pensato: come sarebbe bello pubblicare un libro… e poi si sono scontrati con costi proibitivi, con conti tra costi e ricavi improponibili. E hanno desistito. Tranquilli, non eravate da soli: voi, creativi dell’immagine, avevate pensato a un libro con tante fotografie stampate, magari ad altissima qualità, ma uno scrittore, che pur aveva vita più facile (solo testo nero, costo inferiore di stampa) aveva nel “costo di produzione” il maggiore vincolo, e così valeva anche per un musicista: produrre un CD, e prima ancor peggio un disco in vinile, era quasi impossibile da far pesare sulle fragili spalle del solo artista. Aggiungiamo, perché è tema che conosciamo molto bene per svariati motivi, la produzione di riviste: produrre e stampare una rivista è un costo che pochi si potevano permettere. Serviva un editore (di libri, di riviste), oppure una casa discografica per i dischi: altrimenti, tutto rimaneva solo nel cassetto.
No, non sono qui a parlare di “self-publishing”, che pur è una tematica affascinante che crediamo possa avere maggiore potenzialità di successo, in alcuni settori. Sono a scoprire, insieme a voi, che tutto questo sembra, oggi, privo di alcun valore: ci siamo preoccupati dei costi di produzione? Beh, sappiate che, nell’era digitale, si scopre che tutto questo, in realtà, è un costo irrilevante. E non perché possiamo rinunciare alla produzione “fisica” (il libro diventa un ebook, la rivista un “digital-Magazine”, il disco un Mp3 da scaricare), ma perché di colpo sembra che il costo di produzione non sia che una voce irrilevante del costo finale. Vi prego di seguirmi, perché è un argomento meno banale di quello che può sembrare, e anche meno distante dalla realtà quotidiana che viviamo tutti, qualsiasi sia il nostro ruolo nel mondo dell’opera d’autore.
Partiamo da un esempio concreto, che è stata la prima grande rivoluzione nel passaggio da “bene materiale” a bene “digitale”: la musica. Rimaniamo in Italia, e ben sappiamo che il successo dell’iPod e dell’iTunes Store è stato quello di offrire musica digitale ad un costo decisamente inferiore a quello dei CD: a spanne, più della metà per un album (9.99 Euro contro 20 Euro), e anche 1/5 o 1/6 se parliamo di singoli (un brano in download aveva un costo fisso di 0.99 euro contro anche 6 euro di un cd con il singolo del momento). Il mercato ha subito capito il vantaggio, era evidente. E la motivazione, anche, sembrava ovvia: non si stampa il cd, non lo si deve mandare dal centro di produzione al negozio… si risparmia un sacco di soldi di produzione e quindi costa meno, la metà o anche meno. C’è un altro vantaggio, che forse un numero inferiore hanno notato: se ci sono meno intermediari: nel caso di iTunes c’è Apple che guadagna una percentuale (35%, 0,29 dollari per ogni brano venduto a 0.99 dollari), è vero, ma questa è probabilmente inferiore agli step di guadagno del distributore e del negoziante finale. Se poi fosse la casa discografica direttamente a vendere (o l’artista stesso), il guadagno sul venduto digitale sarebbe del 100%.
Siamo andati a dormire in questi anni con questa sicurezza: i beni digitali sono più economici (molto più economici) da produrre, rispetto alle medesime versioni “analogiche”, quindi il risparmio è assicurato, è e sarà sempre più evidente. Bene, se siamo qui a parlarne, evidentemente sembra che non sia così…
Parliamo di libri, perché gli interrogativi vengono da questa “innovazione”: tutti, o quasi, si aspettavano (e si aspettano: in Italia stiamo aspettando i “comodi” dei grandi, mentre sono già attive piccole, ma dinamiche realtà come Simplicissimus e BookRepublic) prezzi per gli ebook molto più bassi di quelli che, invece, abbiamo e avremo. Sono state pubblicate delle cifre che spiegano che, nella realtà dei fatti, il costo “di produzione” di un libro non supera il 15% del costo totale del prodotto finale, il resto è dato da royalties per l’autore, profitto per l’editore, marketing e rivenditore. Su un libro nuovo, con copertina rigida (costo stimato 26$, abbastanza vicino al costo di un volume in Italia) il costo di stampa, magazzino e spedizione è pari a “soli” 3,25 Dollari. Va da sè che se si tolgono questi costi dal totale si arriva ad una versione “non stampata” che costa solo poco meno di quella cartacea. Se poi prendiamo a confronto non tanto l’edizione di “lusso”, come quella con la copertina rigida, ma quella con la copertina “leggera” o ancor peggio le edizioni economiche, ci accorgiamo che addirittura i prezzi possono avvicinarsi in modo considerevole, e addirittura invertirsi: ci sono libri che su Amazon costano di più nella versione per Kindle che in quella cartacea (è il caso, tra i tanti, della tanto discussa biografia di Tony Blair, che nella versione digitale costa 22,38 $ e 18,89$ in quella cartacea, oppure del primo libro della trilogia Millenium di Stieg Larsson che costa 9,94$ e 6,99$, il valore più alto è relativo alla versione digitale, quello più basso a quella cartacea economica).
La cosa che non torna è il confronto con la musica: scusate se sembra un tema inutile, questo confronto, ma non è così. Se il costo di un libro digitale non può essere, come abbiamo detto, molto distante da quello cartaceo (in Italia abbiamo anche il balzello che c’è un’aliquota IVA drasticamente diversa: libro, 4%; stesso libro, in versione digitale, è considerato “un software” e quindi aliquota Iva del 20%. Se ne sta discutendo, per uniformare, ma al momento è ancora così), perché la musica invece la differenza è tale? Difficile credere che Madonna si accontenti meno di Ken Follett quando la sua opera viene venduta per vie digitali, no? Ed è anche difficile credere che la produzione di un CD incida così tanto sulla vendita del prodotto finale, al contrario della carta stampata. Abbiamo fatto fare al volo, online, un preventivo per 1000 CD con scatoletta, serigrafia stampata a colori e booklet stampato a colori: costo unitario, 1,18 Dollari cadauno: confermiamo che costa POCO produrre un CD, non è quella la differenza rispetto al costo di vendita di CD versus versione digitale.
Siamo convinti che all’epoca della nascita di iTunes ci fossero degli equilibri e delle aspettative ben diverse, che elenchiamo velocemente:
1) All’epoca, il “nemico” delle case discografiche era Napster, Apple è arrivata a proporre una soluzione che diceva: online venderemo quello che viene scaricato illegalmente
2) Le case discografiche non immaginavano il successo che sarebbe venuto fuori, e quanto potere avrebbe guadagnato Apple da questo mercato
3) Per far digerire il “nemico” digitale ai rivenditori – che avevano al momento il mercato, e quindi potevano boicottare le case discografiche disposte ad aprire canali digitali – il prezzo del cd è stato mantenuto alto
4) Non va dimenticato che la discografia è (era) forse l’unica realtà economica che poteva permettersi di vivere bene producendo un bene che poi al 60-70% andava distrutto. Quello che succede, infatti, è che si vive sulle vendite di pochissimi artisti, sui quali si guadagna moltissimo, e poi si producono un sacco di dischi che vendono pochissimo e che, dopo un breve periodo di presenza nei negozi, viene distrutto, perché non più venduto.
Oggi, il panorama del mercato della musica è un po’ diverso: non tanto da noi, dove siamo ancora indietro nel consumo digitale e nelle proposte alternative ad iTunes, per esempio – rimanendo in casa Amazon – il nuovo disco di Katy Perry (preso ad esempio di un best seller) costa 12.99$ in versione CD e poco meno, 7,99$ nella versione scaricabile in Mp3 dal sito, ma se guardiamo un disco meno popolare, per esempio quello che sto ascoltando ora (bellissimo e preso su iTunes, noi dall’Italia purtroppo non possiamo scaricare i brani da Amazon!), di una artista sconosciuta a quasi tutti chiamata Audrey Assad, costa esattamente la stessa cifra, in versione digitale o in CD: 7,97$. E il mondo dei libri, che sta diventando digitale, è più maturo, più attento e più desideroso di proteggere il proprio business, rispetto al mondo della discografia nel 2003, quando è nato l’iTunes Music Store.
Dove vogliamo arrivare, dopo questa dissertazione economica? Che il valore di un bene non ha nulla più a che fare (almeno in questa fase storica) con la produzione. Dobbiamo lavorare tutti, prima su noi stessi e poi sui nostri clienti, per trasmettere questo concetto: un bene, come un libro, un disco, una fotografia, non trova e non deve trovare nel valore di produzione la voce più importante e significativa. Facendo un parametro con il mondo vicino al nostro, abbiamo vissuto (e viviamo tutt’ora) il periodo in cui i clienti credono che dal momento in cui non usiamo più le pellicole e non dobbiamo più svilupparle, il costo delle fotografie sia pari quasi allo zero. Quanto più affianchiamo il prezzo di produzione a quello di vendita, più il digitale sarà devastante per la nostra sopravvivenza.
Il mercato dei libri digitali sta difendendo il costo del libro “fisico”: da utente-lettore posso non essere d’accordo, da autore ed editore dico che è una strada corretta, anche se pericolosa a lungo andare. C’è una storiellina su Edison, inventore della Luce elettrica, trovata mentre si raccoglievano informazioni per realizzare questo post, che dice qualcosa sulla quale meditare. Gli hanno chiesto: “un giorno la gente “comune” potrà permettersi l’elettricità?” e lui ha risposto: “un giorno, solo le persone ricche potranno permettersi le candele“.
Lo stesso varrà per libri (di carta), dischi (vinile, o cd), foto (stampate): solo i ricchi se li potranno permettere. Nel frattempo, in questo periodo di confusione, che non sarà breve, è bene ragionare sul valore del contenuto, e non del contenitore. Se gli utenti vorranno una “scatola” rispetto all’altra, potrebbe essere utile soddisfarli avvicinandoli come valore, scegliendo come elemento di riferimento quello più alto, e non quello più basso.
Nunzio Bellini says:
Se ho capito bene, dobbiamo far quindi pagare le idee e non quanto costa produrle….
giusto, giusto, giusto.
La genialità al potere!
Beh, spero di averne.
ciao e grazie per i sassolini che getti nello stagno.
Nunzio
Alessandro says:
Sono totalmente d’accordo, come fotografo non vendo “stampe” ma mie fotografie.
marco says:
caro Luca,
ci sono moltissimi progetti realizzati ed opere che rimangono nel cassetto per colpa dei costi di produzione.
Spesso l’artista produce senza prima domandarsi come veicolare l’opera e, solo una volta realizzata, comprende i vari ostacoli che deve ancora superare per renderla visibile.
Prima di internet questo problema era ancora più sentito ora un pò meno ma il fatto di pubblicare una propria opera in versione cartacea o digitale credo sia il fine di ogni artista.
Riguardo i costi volevo precisare che mentre i libri in versione cartacea, come ben hai indicato, sono caricati di un iva del 4% , che viene assolta dall’editore e non si ricarica sul consumatore finale, nel caso di libri versione digitale l ‘iva è al 20% e viene ricaricata poi sul consumatore finale, il che non è poco; tra le 2 forme abbiamo poi il libro contenente cd o dvd dove si seguono le stesse regole ed imposte del cartaceo, il che francamente è paradossale e non indicato neppure nelle normative specifiche;
il fatto che le versioni digitali, di opere intellettuali, siano equiparate ai software ( quindi ecco spiegata l’applicazione iva al 20%) è il segnale del fatto che in materia sia il legislatore nazionale che quello europeo non siano al passo coi tempi e i nostri politici ma, soprattutto, gli editori non stimolino un dibattito e una regolamentazione in materia, anche se tornerebbe utile sia a loro che a tutti.
Per quanto riguarda la dissertazione sui costi, credo si sia in una “fase ponte” ( passaggio dal cartaceo al digitale e dalla crisi alla ri-presa) e che, comunque, il costo di un prodotto sia esso : di novità, di nicchia,o per la grande distribuzione, verrà nel tempo indicato dal mercato e dai costi di produzione perchè non è possibile secondo la scienza economica prescindervi;
in questo panorama dove la confusione pare sia dettata già dalla legge, per l’artista è ancora più difficile comprendere cosa e come fare; in tal senso Seneca diceva: “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, pertanto, occorre muoversi sapendo, prima, cosa voler fare e se si deve leggere per trovare conforto almeno fare come dice Woody Allen “leggo per legittima difesa”.
ciao a tutti
sante castignani says:
Bentornato al lavoro! No comment sul tema del giorno, hai detto tutto tu.
Sergio Molino says:
Oh, ma allora sono proprio finite le vacanze!
;-)
Per il resto ci stiamo lavorando.
rino says:
prendiamo spunto dalla siae che applica le tasse alla fonte, ovvero sul bene al momento dell’acquisto, indipendentemente dall’uso che se possa fare (foto proprie, musica autoprodotta, etc.), facciamo pagare l’opera non l’operato!!!
buon lavoro
Simone says:
Ciao Luca,
prima di tutto ben tornato e ben tornati a tutti i tuoi colleghi.
Sono d’accordo con ciò che scrivi nell’articolo ma non nella parte finale. Per prima cosa, considerando la piega che sta prendendo l’economia non penso che la storiella di Edison sia vera. E’ molto probabile che nel futuro la gente comune NON potrà permettersi l’elettrica, ma la candela si. Un’altra considerazione: le parole di Edison possono essere al massimo del 1931 (anno della sua morte); beh le candele non sono un bene di lusso, ma l’elettricità lo sta diventando.
Quindi, secondo il mio modestissimo parere (il quale è proprio modesto), non succederà nè per i libri, nè per le foto stampate. Per i cd probabilmente si, visto che comunque si tratta di un supporto materico per un qualcosa di digitale.
Lo so che il mio è un ragionamento retrò, ma penso che la foto debba essere un oggetto da “tenere in mano”. Ovviamente il mio discorso cade completamente per la fotografia usata per lavoro. Ed in questo caso sono in sintonia con te.
Grazie per il tempo dedicatomi.
Buon lavoro a tutti.
Luca Pianigiani says:
Ovviamente quella di Edison va letta come una metafora. Dice che l’innovazione nasce per le masse, e tende a sostiture il “vecchio” che viene invece rivalutato da un pubblico di nicchia (che ha tempo per le sfumature e anche un po’ per le pippe!).
Sta di fatto, comunque, che alla Rocinha di Rio, favela dove la povertà ha la “P” maiuscola, trovi la corrente elettrica…. può costare tanto ma è impossibile o quasi non averla
Immagino ti piaccia toccare una stampa, ma è proprio questo tipo di sfumatura che fa parte della nicchia, la massa allargata la vedrà su internet.
Il ragionamento porta a dire non tanto questo, ma sull’errore dilagante di credere che il costo di produzione e il materiale fisico possa determinare in modo primario il costo di un prodotto frutto di creatività e di carattere autorale. se facciamo così rischiamo di raggiungere la percezione che il valore di un bene digitale sia prossimo allo zero. spero che questo commento possa darti ulteriori stimoli. Buona giornata!
leonardo bigagli says:
Ohhh, finalmente un bel sunday Jumper. Era un po’ che non ti leggevo caro Luca, xchè ultimamente mi sembravi esser diventato più un rappresentante della Apple che un giornalista, critico, appassionato di fotografia. Oggi invece hai portato alla luce un bell’argomento, e stimolato, almeno in me, ma credo in tutti un bell’argomento di riflessione. Mi piace molto la metafora di Edison che rende bene il concetto e che invita tutti a riflettere su quali prodotti avranno un vero valore, anche economico, domani…
Ciao da un toscanaccio come te.
Michele Gianotti says:
Bentornato, Luca,
la maggior parte di noi fotografi si è sempre fatta pagare l’opera.
Luca Pianigiani says:
Michele, questa teoria (giustissima) è purtroppo troppo distante dalla realtà. E lo sai bene anche tu… Purtroppo non solo i fotografi, ma tutti gli autori, hanno sofferto e soffrono di un valore che viene riconosciuto troppo spesso dal “peso” fisico del lavoro consegnato (per esempio: numero di stampe di un album di matrimonio). Ma il valore spesso viene anche calcolato in funzione delle giornate o delle ore di lavoro: anche questo è un parametro “fisico” e non “concettuale”. Follett non viene certo pagato per 1000 giorni di lavoro a 1000 dollari al giorno… E’ rischioso quindi pensare che non siamo “pagati” da un meccanismo di costo di produzione che è invece molto “da prodotto industriale” e non da “opera”. La visione data in questo articolo non è direttamente collegato al mondo della fotografia, ma mette in luce approcci molto diversi tra due industrie di contenuti (Musica e Libri) e le relative differenze. Spero possa essere vista quindi l’utilità di quanto scritto e che se ne possa trarre utilità.
Luca Pianigiani says:
Leonardo, a volte bisogna leggere e non passare senza approfondire: dire che facciamo “pubblicità” a Apple (ci pagasse, almeno…) è frutto di una visione distorta e banalizzante. L’ultima volta che abbiamo dedicato un SJ ad prodotto Apple era 9 SJ fa. Negli ultimi tre mesi abbiamo parlato di luce, di video con le reflex, di Kodachrome, di un fotografo di subacquea che usa Hasselblad, di strategie di vendita di fotografie. E’ vero, tre mesi fa abbiamo dedicato un SJ al concetto (e non al prodotto) dello schermo ad alta risoluzione dell’iPhone4 e uno all’iPad, prodotto che, chissà com’è, è uno degli argomenti che sta rivoluzionando (nel bene e nel male) il mondo dell’editoria e che – forse forse – è affine al mondo della fotografia, e comunque quando parliamo di prodotti lo facciamo con un’analisi che va ben oltre il prodotto, ma cerca di trarne utili stimoli per il lavoro. Se ci si sofferma al titolo, o alla foto e non si va a fondo, forse la colpa non è di chi scrive (o almeno non solo).
Ti ringrazio che quello di oggi tu possa reputarlo invece di qualità, almeno una volta facciamo qualcosa di utile…. ma se rileggessi attentamente quello che abbiamo scritto (compresi gli articoli che non sono del SJ, che per esempio abbiamo scritto durante le vacanze), forse scoprirai che ci potrebbero essere piccole cose interessanti.
E con questo, senza polemica: viva la Toscana e viva la fotografia ;-)
roberto says:
in realtà..per quanto concerne la fotografia almeno.. il costo di produzione esiste.. l’attrezzatura costa grosso modo come 15anni fa.. si è abbattuto il costo supporto,la pellicola e la camera oscura.. ma il sensore costa in ricerca e c’è sempre la “camera chiara” che ha la forma di un computer.
Comments are closed.