La Photokina 2008 è ormai alle nostre spalle. E’ andata… siamo oltre. In questi giorni ci stiamo dando da fare per pubblicare un sacco di notizie, abbiate pazienza: ce ne sono tante altre di cose da raccontarvi, ma abbiamo bisogno di un po’ di tempo ancora per completare tutto il nostro report. D’altra parte, non siamo abituati a raccontare le cose facendo “copia e incolla”, e cerchiamo di affrontare anche le notizie dei prodotti presentati in una fiera con un’analisi che non si può fare riportando qualche frase dai comunicati stampa. Seguite quindi tutto quello che, finora, abbiamo scritto – se non l’avete fatto ancora durante questi giorni – e proseguite a farlo anche nei prossimi giorni.
Un dato che emerge, comunque, è che questa Photokina – prima, durante e presumibilmente anche dopo – è contrassegnata da mosse strategiche e di sinergia tecnica e commerciale (immaginiamo, purtroppo, che si tratti più della seconda che non della prima): Leica che collabora con PhaseOne, Sinar che collabora con Leaf, Zeiss che produce ottiche compatibili con Canon (ne abbiamo parlato settimana scorsa), e così via… c’è persino FujiFilm che fa accordi con Nintendo: si, proprio quella dei giochini, della Wii! Tutta questa ricerca di accordi non è legata ad un allargamento della filosofia della socializzazione, tanto cara al web 2.0. Il problema è di carattere economico: da soli non si fa nulla ormai, in un mondo che si fa più piccolo, più di nicchia, bisogna trovare allora un modo per non cadere nel profondo buco nero che ci porta fuori dal mercato. Purtroppo, tutto questo è solo un piccolo tassello di un puzzle molto più complesso, che riguarda l’economia mondiale.
Tutti abbiamo seguito, nelle scorse settimane, i fragorosi tonfi dell’economia americana, i fallimenti della Lehman Brothers e tutto quello che ne è seguito. Quello che non si riesce mai a capire – se non si è esperti di economia, e non siamo certo noi che possiamo dichiararci tali – è che quello che succede in ambiti così lontani dal nostro possano influenzarci concretamente, in modo diretto, oltre ad occupare qualche minuto del dialogo al bar, prima di tornare sugli argomenti davvero “caldi”… chi vince il derby di Milano? Inter o Milan? Poi torniamo a casa, in studio, accendiamo il computer e scopriamo che un sito molto vicino ai fotografi di tutto il mondo, Uber, da domani chiude. Una mail mandata a tutti gli utenti, dice: ci sono brutte notizie, gli investitori che fino ad oggi ci supportavano, hanno deciso di fermarsi (come dire… hanno altri problemucci per la testa) e le porte di Uber si devono chiudere, almeno per ora.
Che dire… probabilmente pochi di voi avevano un account o visitavano spesso Uber, e quindi è facile fare spallucce, e passare oltre. In realtà, di colpo, ci troviamo con centinaia di migliaia di pagine web di fotografi che scompaiono, di relazioni che sono nate (o potevano nascere) grazie ad uno strumento che muore non perché non funzionava, non perché non aveva successo, ma solo perché chi muove i soldi ha deciso di non supportare più un progetto perché sono finiti a lui i soldi e non sa come farli con qualcosa che sembra non essere abbastanza importante da meritare attenzione in un momento così duro.
Il futuro si basa sull’economia, non sull’innovazione, non sulle idee. E questo è davvero molto triste. In questi giorni ero in giro per l’Italia per un convegno di presentazione di Acrobat 9, e si trattava di un evento rivolto ad un pubblico dell’area business, non a quella creativa. In questo evento veniva fuori – con il supporto di importanti personaggi del mondo del lavoro – che stiamo passando da un’economia industriale a quella post-industriale, dove non si vendono beni materiali, ma immateriali: design, immagine, idee, progetti… proprio questa settimana c’erano a Milano le sfilate di moda, ed è un lampante esempio di quello che oggi vale di più, nell’economia italiana: non certo la produzione di acciaio.
Il problema, però, è che le idee sono vincolate ai soldi: non a quelli che possono fare, ma a quelli che alcuni decidono che potranno sfruttare: spesso, analisti che non hanno fantasia, che non hanno visioni che vadano oltre il loro naso. Quando le vacche sono grasse (ma voi, nell’era delle vacche grasse… ci siete mai passati? Comincio a pensare che dove passo io, ce ne sono state sempre e solo di magre!), si possono anche investire soldi in idee “strane”, alternative… innovative. Ma quando c’è da stringere la cinghia, tutto diventa superfluo, arrivano i tagliatori di progetti, che si tirano indietro. E si chiude Uber, e forse tante altre realtà, vicine a noi, come il panettiere, come il macellaio. E ci obbligano a sostituire le nostre abitudini, la nostra cultura, la nostra passione con soluzioni “più giuste” dal punto di vista commerciale.
Bisognerebbe creare un sindacato delle idee. Attenzione, non dei lavoratori che producono idee… delle idee. Che devono essere difese e tutelate, perché sono il lato migliore di noi, sono migliori di noi; un WWF che possa operare al di sopra della politica e specialmente dell’economia, per proteggere e preservare le idee. Chissà, forse si potrebbe fare, dovremmo pensarci tutti. E, mentre ci pensiamo, abbiamo conservato una piccola porzione dell’idea di Uber: con Iterasi (lo ricordate? Ne abbiamo parlato qui) abbiamo salvato la home page dove potete leggere la lettera, e vedere scorrendo in fondo quello che era la struttura del sito, e un esempio di spazio di un’utente di Uber (Raja), preso a caso, oppure quello di un caro amico, Chris Weeks . Fateci un giro “postumo” (in realtà, anche se leggete il SJ al lunedi, potreste ancora trovare tutto sul sito ufficiale, grazie al vantaggio del fuso orario).
Buona domenica: si, è vero, il tono di questo SJ è meno frizzante del solito, ma abbiamo pensato fosse giusto condividere queste sensazioni, anche per cercare, tutti insieme, di comprendere i rischi della rincorsa verso un futuro che – in mano al mondo economico – non può trovare la sua giusta dimensione futura. Non certo per le idee… che sono quelle che alimentano la nostra vita e il nostro spirito.
Luca Pianigiani